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«Salve signor Richardson

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«Salve signor Richardson.»

Lo saluto educatamente. Il migliore amico storico di mio padre, nonché l'uomo che ha contribuito a mettere al mondo la mia nemesi. E' esattamente l'opposto di lei, a partire dai modi gentili e pacati per poi finire alla non somiglianza. Direi che hanno in comune solo gli occhi e la spropositata passione per la musica. Mi ricordo perfettamente che riusciva a farci ballare una famosa canzone anni ottanta, senza farci scannare.

Ha sempre voluto trovare vari modi per far andare d'accordo me e sua figlia, senza mai riuscirci completamente. Gli invidio la pazienza spropositata che lo aiutava a non arrendersi facilmente, il quale lo portava addirittura a coalizzarsi con mio padre quando partivamo per le vacanze, per farci fare più attività insieme. Questo ha solo contribuito ad inasprire di più il sangue che scorre tra noi. Cristo, odiavo quando si alleavano; fortunatamente adesso non hanno mosso un muscolo su questa faccenda, forse perché quando ci hanno visto tornare insieme, si sono convinti che siamo diventati finalmente amici?

Meglio che la pensino così cazzo...

Le nostre madri invece, più comprensive, già sapevano che avrebbero perso in partenza, ma non si sono risparmiate l'alleanza con i loro mariti...quelle merde di fissazioni inutili.

«Ahh ti prego Duncan, chiamami Louis. Mi farai sentire vecchio!» Sorrido nel vederlo ridere. Nonostante tutto ho condiviso molte cose con lui; quando i miei genitori erano troppo impegnati per trovare ogni modo per far crescere la loro agenzia, il signor Richardson cercava di non farmi pesare quest'assenza che, allora, era molto evidente. Non c'erano mai, oppure quando erano in casa stavano quasi sempre col cellulare in mano, lasciandomi impalato nel'ennesima delusione. Se non fosse stato per Louis, a quest'ora li odierei. Appoggiava mio padre e lo aiutava sempre quando ce n'era bisogno, venendo ricambiato senza neanche il minimo sforzo.

Alla fine ho imparato molto dalla loro amicizia così profonda; per questo con i ragazzi ho un legame particolare, dove in primo piano è posizionata la lealtà.

Ci sarò sempre per loro.

«Va bene...Louis.» Sottolineo in modo evidente il suo nome, facendolo ridere ancora più forte.

«Tuo figlio è paurosamente diventato come te crescendo!»

«E che ti aspettavi?» Replica mio padre con un ghigno d'orgoglio, con quella voce grossa che si ritrova. E pensare che con mia sorella adotta un tono che mi meraviglia ancora sentire, dopo quasi un anno e mezzo.

Si sentono degli schiamazzi provenire fuori la vetrata della cucina. Ci voltiamo tutti in contemporanea, ammirando la scena che fino a pochi minuti fa stavo già spudoratamente divorando in camera mia. Le mando indirettamente un'occhiata storta e scocciata; una cazzo di maglietta addosso non può mettersela?

«I tuoi invece non hanno ereditato per niente la tua timidezza.» Lo prende in giro il gorilla, ricevendo come risposta due alzate di dita medie tutte dedicate a lui.

Tu guarda...allora queste reazioni sono di famiglia.

«Mi fa piacere vederli spensierati nonostante quello che ti stia succedendo Lou...» Ho visto rare volte mio padre incupirsi, e questo è uno di quei casi. In che senso "Nonostante quello che ti stia succedendo?"

«Non voglio affatto che le mie condizioni possano pesare alla mia famiglia più di quello che già facciano...ma è difficile Kev...»

Mi verso del caffè in una tazza, curioso di sapere la faccenda. Infondo è l'uomo che mi ha visto crescere oltre mio padre e mio nonno, quindi m'interessa non poco. «Cosa sta succedendo?» Chiedo diretto, senza peli sulla lingua. Entrambi si voltano verso di me, notando Louis sorridere senza coinvolgere gli occhi stanchi nascosti dagli occhiali tondi, e mio padre perdersi man mano nei suoi pensieri abbassando lo sguardo.

«Ho un tumore al fegato Duncan...è ormai un anno tondo che questa malattia mi sta alle calcagna, non volendomi proprio lasciare in pace.» Impreca fintamente divertito, volendo far passare l'ultima frase pronunciata come un modo per far alleggerire l'atmosfera, non riuscendoci.

Ingoio con difficoltà la calda bevanda scura, già non volendone bere dell'altro. «Non voglio crederci...» Alla fine getto quel che rimane del caffè, lavo velocemente la tazza rimettendola apposto, e ritorno ad osservare chi mi faceva frequentare molto spesso casa Richardson. Una situazione di merda che cerca di affrontare con tutta la disinvoltura che possiede. «Potresti fare un trapianto o qualcosa del genere...cazzo.» Da quello che so, chi ha l'epatocarcinoma potrebbe usufruire di un trapianto e sostituire l'organo.

La sua risposta non tarda ad arrivare. «Potrei ma...non ne sono sicuro. Tra un paio di settimane dovremmo consultare il Dottor Thompson, che so essere molto bravo e professionale...quindi fino ad allora è tutto un forse figliolo.»

Mio padre non ha spiccicato mezza parola, ancora concentrato sullo stesso punto fisso. «Andiamo Kevin magari me ne metteranno uno che apparteneva ad una persona con molto più fegato di me!» Louis lo guarda di sbieco, cercando di prenderlo in giro sul fattore coraggio. E' incredibile come vadano così fottutamente d'accordo, da giovani erano come il diavolo e l'acqua santa e la foto nel corridoio di sopra ne è la prova. 

Si vede un giovane Kevin Reyes con gli occhiali da sole, giubbotto di pelle, jeans stretti e degli stivaletti che urlavano direttamente minacce, con stampato in faccia quell'aria da nervoso perenne. Sembrava il capo di qualche banda di criminali. Accanto a lui un semplice Louis Richardson con una polo orribile persino per quei tempi chiusa in una felpa marrone slavata, dei jeans chiari e larghi e delle scarpe da ginnastica inguardabili; il tutto incorniciato da degli occhiali sempre tondi e un apparecchio che racchiudeva solo i denti inferiori.

A pensarci mi ricorda qualcuno...

Mi devo ricredere, hanno più cose in comune di quanto mi aspettassi.

«Lou...ti prego...» Lo supplica mio padre, cercando di riassumere lo sguardo duro che lo contraddistingue. Questi due, anche se poli opposti esteticamente, sono così simili da riuscire a farmelo percepire a pelle. Sembrano come fratelli.

Conosco mio padre, ma questa non è la motivazione principale per farmi dire che ci sta soffrendo. E mentre cercano di cambiare argomento, mi volto nella direzione della ragazza che cerca ancora di pavoneggiarsi facendomi alzare gli occhi al cielo, dedicandole una breve affermazione che, per la prima volta, suona empatica nei suoi confronti.

Chissà cosa ti passa per la testa per questa situazione...

Esco di casa salutando i presenti, avvicinandomi velocemente alla macchina che mio padre mi fa usare quasi tranquillamente, solo perché guida la mia moto. Un'audi grigio scuro, sempre lucida e con zero macchie su di essa. Salgo a bordo e con un rombo sonoro m'immetto in strada, quasi parcheggiando davanti al marciapiede della mia cara vicina che, rimasta sola, mi guarda con aria interrogativa.

Le dedico un occhiolino giusto per infastidirla un po'. 

«L'ho trovato molto interessante lo spettacolino che hai messo su...» La squadro di nuovo da capo a piedi, toccando più da vicino tutto quel ben di Dio che si porta dietro...lo sa addirittura venerare, concedendomi una vista che non mi è affatto dispiaciuta al Lolita.

Anche se mi scoccia ammetterlo, è così.

Si avvicina piano, abbassandosi quanto basta per osservarmi da fuori il finestrino. «Già...peccato che il disgusto non è ben accetto, sai?!» Ancora con quel dito, glielo mozzo cazzo.

«Invece quel...triangolo per me è ben accetto. L'azzurro è il mio colore preferito, lo sapevi?» Non aspetto che replichi; indosso gli occhiali da sole osservandola boccheggiare per l'imbarazzo e mettersi sollevata solo per coprirsi la scollatura. Le sorrido di sbieco e sfreccio verso il Decathlon che si trova dall'altra parte della città.

Oh piccola Gab...inizi proprio a divertirmi.

𝐁𝐄𝐇𝐈𝐍𝐃 - 𝑫𝒊 𝑵𝒖𝒐𝒗𝒐 𝑻𝒖Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora