17. Ciò che è necessario

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Nikita

La prima cosa che vide, non appena aprì gli occhi verdi, fu il mio viso, pericolosamente vicino al suo. Un sorrisetto pigro gli si affacciò sulle labbra, allora strinsi maggiormente la presa attorno al collo tatuato, cercando di fargli capire che il mio non era affatto uno scherzo e che le mie intenzioni non erano pacifiche; non si scompose davanti alla mia aggressività, rimase immobile ad osservarmi, mentre chiudevo gli occhi in due fessure strettissime.

«Non hai rispettato i patti, Ares.» Sibilai, stringendo ancora la presa. Il suo viso si arrossò leggermente, eppure non reagì, come, invece, mi ero aspettata che facesse. «Hai messo in pericolo mia madre!» Sbottai, incapace di mantenere il controllo.

Non mi importava se, al suo sguardo indagatore, sarei sembrata una patetica donnetta troppo legata alla madre, se si sarebbe beffato di me in eterno per quello sfogo o se, invece, mi avrebbe punita. Semplicemente non mi importava. Ero amareggiata, infuriata ed estremamente delusa. Gli avevo donato la mia fiducia e, seppur fossi stata obbligata a farlo, una parte di me era certa che avrebbe onorato il suo accordo, prendendosi cura di Nastya, proteggendola dalla mafia albanese e dal loro desiderio di vendetta; ero convinta che non le sarebbe capitato nulla, perché la casa, ai miei occhi, sembrava una fortezza. Lo stesso Ares mi era sembrato un valido pachan, eppure, in qualche modo, i nemici di mio padre si erano avvicinati a lei più di quanto avrebbero dovuto.

«Pensavo che Nastya fosse al sicuro, che tu fossi un uomo di parola, un pachan che i suoi uomini temono e rispettano, uno di cui eseguono gli ordini senza emettere un fiato, non uno che fa entrare in casa una maledetta spia.» Ero arrivata a quella conclusione mentre ero nel bosco, negli istanti in cui stringevo i denti, per combattere il freddo della notte e per non produrre alcun rumore, così da essere invisibile ai nemici: la mafia albanese aveva degli informatori nella Bratva dei Volkov, poiché ero certa che non fossero in molti a sapere della riunione di Ares a Varsavia, annunciata, inoltre, con pochissimo preavviso.

«Nikita.» La sua voce risultò più roca del solito, forse poiché si era appena svegliato, oppure a causa delle mie mani, che continuavano ad avere una presa forte sulla sua gola. «Mi dispiace per quello che è accaduto.» Nonostante fossi sorpresa delle sue scuse, non mostrai nessun mutamento nella mia espressione, la quale continuava, invece, a renderlo partecipe di tutta la furia che c'era dentro di me.

«Non mi bastano delle scuse. Lei. Deve. Essere. Al. Sicuro.» Lo scandii bene, così che ascoltasse bene le mie parole e le recepisse il più chiaro possibile.

Sentii vagamente, perché troppo concentrata sui miei sbuffi affannosi e sulla presa, che continuavo a chiudere, le sue mani salire sui miei fianchi e infilarsi al di sotto della maglia che indossavo, per accarezzare, con i polpastrelli, la pelle chiara.

«Lo so e rimedierò ai miei errori, ma adesso devi fare un respiro profondo e allentare un po' la presa.» Continuò a muoversi sul mio corpo con lenti carezze, mentre parlava cautamente, senza permettermi di leggere nulla nella sua espressione, che continuava ad essere distaccata.

«Tu non capisci.» Soffiai.

«Nikita, non molto tempo fa hanno messo un ordigno in una delle macchine di Athena, ci doveva essere lei, nell'auto che è esplosa, invece, per un colpo di fortuna, hanno invertito le macchine e lo scoppio non l'ha uccisa. So come ti senti, quando vedi una persona a cui tieni in pericolo.» Mi ricordai della sera in cui avevo conosciuto i suoi fratelli, la stessa in cui eravamo stati interrotti da una chiamata, poi mi venne alla mente il nostro incontro del giorno seguente, quando mi aveva annunciato che ci saremmo sposati prima del previsto, perché eravamo in guerra. Un po' riluttante, dopo ancora un minuto, in cui mi limitai a fissare i suoi occhi, sciolsi l'intreccio dalla sua gola e rimasi lì, seduta su di lui, con il petto che si abbassava e si alzava per l'adrenalina, che mi aveva animata fino a quell'istante, e i capelli sparsi sul viso.

La regina di piccheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora