22. Brutte notizie

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Nikita

30 novembre 2013, Samara, Russia, Accademia di Leuchtenberg.

«Cinque, sei, sette e otto. Tira quelle punte Niki, dai!» Mi incoraggiò Tasha, mentre ripetevo il mio assolo, perfezionandolo prima dell'esibizione che ci sarebbe stata una settimana dopo.

Stesi la gamba destra e mi preparai per i piquette in punta.

«Brava, splendido arabesque.» Annuì soddisfatta, mentre io eseguivo il passo e mi osservavo distrattamente nello specchio della sala, per capire se mi stessi muovendo con grazia.

Terminai le pirouettes e raccolsi le braccia al petto per la posizione finale, poi sorrisi al pubblico immaginario, tentando di calmare il battito furioso del mio cuore.

«Eccellente, Nikita, sei stata perfetta.» Si avvicinò, passandomi la borraccia colma d'acqua.

«Grazie, Tasha!» Le sorrisi appena, sempre soddisfatta di ricevere un suo complimento.

«Al termine dello spettacolo, ci sarà il galà di fine anno al quale dovrete partecipare tutti voi ballerini assieme ai vostri genitori, l'invito è già stato spedito.» Il mio cuore saltò un battito. Sperai che Vladimir mancasse all'evento, poiché non avevo voglia di riaverlo in casa, vicino a mia madre. Dopo quello che era successo, Nastya aveva cercato in ogni modo di tenermi lontana da lui, ma non sempre ci era riuscita, poiché eravamo costrette ad incontrarlo, quando lasciava San Pietroburgo per raggiungerci a Samara. Fortunatamente accedeva raramente, però la sua ombra scura non ci abbandonava mai totalmente e, seppur distante, i suoi ordini gravavano sulle nostre teste come macigni.

«D'accordo, Tasha, non vedo l'ora di esibirmi!» Forzai un sorriso, poi, dopo averla salutata, giunsi nello spogliatoio.

15 dicembre 2013, Samara.

Il tempo era passato in fretta e quella fredda mattina di dicembre mia madre ed io, seppur con i visi seri e spenti, ci dirigemmo all'aeroporto di Samara, per accogliere Vladimir in arrivo con il jet privato di famiglia. Ci disponemmo l'una accanto all'altra vicino alla berlina nera che ci aveva accompagnate lì, e Nastya, di nascosto, mi strinse la mano, quasi a volermi confortare. Girai il viso verso di lei e le sorrisi, poiché volevo ricordarle che ero forte e che l'una sarebbe stata la spalla dell'altra per sempre, che avremmo superato anche quella visita, insieme, come nei due anni appena trascorsi. Lei, come se mi avesse letto nella mente, annuì e mi posò un bacio sulla fronte, poi tornò a guardare rigidamente davanti a sé.

L'aereo atterrò puntuale, non appena fu sistemata la scaletta, mio padre scese e si sistemò il cappotto, senza accennare nemmeno uno sguardo nella nostra direzione; non s'impegnò, quindi, neanche a fingere che gli importasse vedere la sua famiglia giunta ad accoglierlo dopo mesi di lontananza.

«Entriamo in auto, qui fuori fa freddo.» Fu la sola cosa che disse, quando ci raggiunse.

Nonostante avessi solo quattordici anni fui contenta del modo in cui stava agendo, poiché non volevo che lui indossasse la maschera e si comportasse come un padre normale, presentandosi per la persona che sapevo non fosse. Io lo conoscevo per quello che era davvero, non potevo fare a meno di guardare la sua anima putrida, che sembrava emanare un odore acre, simile a quello del fumo, come se fosse uno dei demoni dell'inferno e, quindi, si fosse portato con sé il fetore del luogo da cui proveniva. Quando mi guardava negli occhi, riuscivo soltanto a pensare al tradimento a cui avevo assistito, alle percosse che Nastya aveva ricevuto, al corpo del signor Pavlov che cadeva al suolo e a tutto ciò che era venuto dopo. Sentivo ancora l'orrore, la tristezza, il senso di panico e di soffocamento, che avevo provato durante quella notte traumatizzante. Scacciai via quei pensieri e ripensai alla musica e alla danza, le uniche cose, oltre l'affetto materno, capaci di spezzare i tormenti e riscaldare il mio cuore.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 22 ⏰

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