Nikita
Quella sera sognai le fiamme, alte, possenti, mi circondavano senza lasciarmi via di fuga. Mi vidi in quella casa che avevo odiato, nel suo studio, mentre battevo con i pugni sulla porta, sperando di poter fuggire da quel fuoco che ardeva incessantemente, mentre lui mi guardava dalla sua scrivania, con le braccia incrociate al petto, un ghigno soddisfatto sul quel viso pallido, livido, mangiato dai vermi in più zone, sporco di terriccio.
«Fammi uscire!» Gli gridavo, terrorizzata, ma rimaneva immobile, ignorando le mie urla.
«Brucerai, come ho bruciato io.» Aveva sibilato e, d'improvviso, la sua pelle aveva preso fuoco, insieme alla mia.
Mi ero svegliata con il respiro affannoso, gli occhi vitrei spalancati, che correvano in ogni angolo della stanza, alla ricerca di un contatto con la realtà. Le coperte erano intrecciate attorno al mio corpo sudato, le mani stringevano il lenzuolo bianco e il camino, che ancora crepitava davanti a me, mi mandava scosse di terrore lungo il corpo, riportando alla mente le immagini orribili di quell'incubo.
Avevo sentito la bile salirmi lungo la gola ed ero corsa giù dal mio letto, per chinarmi sul water e svuotare un misto di succhi gastrici e cibo. Avevo stretto i bordi di ceramica, con il capo chino, mentre i conati si calmavano e riprendevo a respirare normalmente, senza alcun affanno. La mia pelle era appiccicosa, imperlata di sudore, eppure, sentii i brividi di freddo scorrermi lungo le braccia, procurandomi la pelle d'oca. Posai la testa sul bordo della vasca da bagno, che avevo accanto, e rimasi lì, a osservare il soffitto, su cui spiccava il lampadario luminoso.
Allungai un braccio, per aprire l'acqua, così da lasciar riempire la vasca, mentre, con lentezza, mi alzavo in piedi, mi privavo di ogni indumento e raccoglievo i capelli in una crocchia disordinata. Quando vidi uscire nuvolette di fumo e l'acqua raggiunse quasi i bordi, mi immersi. I muscoli parvero provare sollievo, davanti a quel calore improvviso, e si rilassarono, permettendomi di ritrovare la calma perduta a causa di quell'incubo. Sospirai leggermente e, in un attimo, mi spinsi sott'acqua. Tenni gli occhi aperti e osservai quella realtà distorta che avevo davanti. Quando fui senza fiato, mi tirai su e presi una grossa boccata d'aria.
«Michelle, va tutto bene?» La voce di Nadya risuonò al di fuori della porta del bagno. «Ho sentito degli strilli e poi i tuoi conati, hai bisogno di aiuto?» Me lo chiese, anche se sapeva che le avrei detto di no, che non le avrei permesso di vedere le condizioni pietose in cui ero, le ombre scure che mi avvolgevano, sghignazzando alle mie spalle, deridendomi senza pietà. Me lo domandò perché lei era fatta così, era tranquilla, sincera, dolce e si preoccupava terribilmente per me, poiché infondo, nonostante avessi imparato a nascondere tutto con maestria, sapeva che qualcosa non andava, che non ero la stessa ragazza di un tempo, quella con cui ero cresciuta, prima che tutto avesse inizio.
«Sto bene, Nadya, ho mangiato qualcosa che mi ha fatto male.» Le avevo risposto, giocando distrattamente con le bolle che riempivano la vasca.
Cadde un attimo di silenzio, quasi supposi che fosse andata via, eppure, un sospiro leggero giunse dall'altro lato del legno.
«Va bene, allora, se hai bisogno sono giù.» Il suono dei suoi passi e la chiusura della porta mi confermarono che ero nuovamente sola, a galleggiare nella mia mente tormentata.
****
Era pomeriggio inoltrato, avevo dormito tutta la mattinata, eppure non mi sentivo riposata o sveglia, anzi, avvertivo le membra fiacche e un tremendo mal di testa martellare nelle mie tempie.
«Buongiorno, mamma.» Le sorrisi, quando scesi le scale e la trovai davanti al camino acceso, intenta a osservare le fotografie che, quando c'eravamo trasferite, avevo sistemato sulla mensola. Cercai di nascondere il mio malumore, le immagini di quell'incubo che ancora tormentavano la mia mente stanca e logorata, per non causarle preoccupazioni che potessero aggravare la sua situazione. Per la stessa ragione, non le avrei raccontato dell'aggressione avvenuta fuori dal Luxury. Era andato tutto bene, fortunatamente, perché spaventarla?
«Ciao, piccolo fiocco di neve, come stai?» Le posai un bacio dolce sulla guancia un po' rugosa, ma ancora morbida al tatto, profumata di quella crema che lei usava sempre al mattino e alla sera. La sua pelle sapeva di boschi, di quel tenue odore dei pini e del terriccio bagnato dalla pioggia. Sapeva di autunno. Quegli occhi da cerbiatta, nonostante fossero più spenti, rispetto a qualche anno prima, restavano vigili e ammalianti, contornati da folte ciglia scure. Il naso era piccolo e diritto, leggermente arrossato sulla punta a causa del calore del camino; anche gli zigomi affilati e magri, comunemente pallidi, quel giorno avevano una dolce spolverata di rosso. Le labbra sottili, diverse dalle mie, erano aperte in un morbido sorriso, cercai di fissarlo nella memoria, di ricordare per sempre quell'immagine sincera che stavo vedendo, di imprimere odori, colori e ogni particolare della sua bellezza. Il corpo, che un tempo era stato più sinuoso e simile al mio, era coperto da un maglioncino di cashmere verde scuro e da un pantalone nero, mentre ai piedi portava delle pantofole calde.
La bellezza l'avevo ereditata da lei, insieme all'eleganza nel portamento e nell'approcciarsi agli altri, nonostante quel suo modo di essere stonasse con quella che prima era la sua vita. Era una donna minuta, ma tremendamente determinata; amavo vederla combattere le sue battaglie e vincere, senza perdere la speranza nemmeno un istante. Era un'eterna ottimista. Io, invece, un'eterna pessimista. Non ero stata fin da bambina così, avevo sperato, creduto e, quando tutte le mie aspettative erano crollate, avevo semplicemente smesso di vivere nelle fantasie e mi ero approcciata alla realtà. Mia madre non mi giudicava, capiva che c'era un principio alla base del mio cambiamento e, pur non condividendolo, mi lasciava libera di avere le mie idee e il mio carattere.
«Michelle?» Mi richiamò, vedendomi distratta. Sbattei le palpebre e tornai alla realtà.
«Scusami, sono ancora assonnata.» La aiutai a posare la fotografia e a sedersi sul divano di pelle bianca. «Dovrei essere io a chiederti come stai, mamma.» Le aggiustai la fascia che aveva sul capo, abbinata al maglione.
«Una mamma non smette mai di preoccuparsi per i suoi figli.» Spiegò, prendendo fra le dita sottili la tazza di tè appoggiata sul tavolino da caffè.
«Cosa vorresti fare oggi? Avevo pensato di cenare fuori.» Proposi, sistemandomi meglio sul sofà.
«Mi sembra perfetto, potrebbe raggiungerci anche Nadya.» Avevo annuito e richiamato la bionda, probabilmente chiusa a studiare nella sua camera.
Presto, l'avevamo vista scendere dalle scale, con una morbida tuta indosso, i capelli raccolti in una crocchia disordinata e gli occhiali da vista cadenti sul naso piccolo.
«Cosa c'è?» Aveva domandato, rubando un biscotto dal piatto che avevamo di fronte. La vidi rivolgermi una lieve occhiata preoccupata, mentre si sedeva vicino. Stava ancora rimuginando su quanto aveva sentito.
«Stavamo pensando di cenare fuori, tesoro.» Aveva spiegato Irina.
«Oh, è una bellissima idea.» Aveva sorriso, annuendo con il capo.
«Potremmo andare a fare una passeggiata in città, se non ti stanca troppo, mamma.» Avevo aggiunto. Parve trovare l'idea fantastica, infatti, mi rivolse un cenno soddisfatto.
«Mi sembra fantastico e, se dovessi stancarmi, potremmo trovare un ristorante e accomodarci.» Chiarì, rilassando le spalle.
«Va bene, allora, corro a prepararmi.» Nadya sparì oltre al piano superiore.
«Grazie per tutto quello che fai, Nikita.»
«Mamma.» La ammonii severamente, guardandomi attorno e assicurandomi che nessuno dei domestici l'avesse sentita. Sorvolai sulle sue parole dolci, odiavo sentirla parlare così. Lei aveva fatto tanto per me, mi aveva allevata, educata e aveva sopportato il peso di tutto da sola, prendermi cura di lei era il minimo che potessi fare. Le volevo così tanto bene, anche se non ero brava ad esternare con i discorsi i miei sentimenti, cercavo di dimostrarglielo attraverso i gesti, perché lei era l'unica a meritarselo davvero.
«Scusami, sai quanto io ami chiamarti così.» Sospirai.
«Vieni, andiamo a prepararci.» Le dissi solamente, prendendola a braccetto e aiutandola a salire le scale.
Ehiii, di sopra vi ho lasciato l'immagine della mamma di Nikita. Scusate ma il loro rapporto🛐. La vedrete molto spesso come personaggio, poiché parte integrante della trama❤️❤️
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La regina di picche
ChickLitPrimo vol. Mafia Series Nessuno sa cosa successe quella notte, quale fu la causa di quell'incendio che spazzò tutto via. Gli inquirenti non seppero darsi una spiegazione, forse, però, nemmeno la cercarono davvero, perché quello che importava era la...