13. Sposa cadavere

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Nikita

Mi aveva chiesto di ballare per lui, ed io avevo accettato, non potendomi rifiutare. Mi aveva dato una settimana esatta per preparare un'esibizione che potesse piacergli, si era assicurato che comprassi gli abiti giusti, facendomi accompagnare, da uno dei suoi scagnozzi, in uno dei negozi in cui vendevano i tipi di indumenti adatti ai miei spettacoli al Luxury. L'uomo era rimasto fuori, in attesa, mentre la commessa, una donna minuta, di all'incirca cinquant'anni, mi conduceva nei camerini per soddisfare le mie richieste, nonostante avesse una smorfia stranita che sul volto, nata quando le avevo detto cosa stessi cercando.

Allo scadere della settimana era tutto pronto per soddisfare la ridicola richiesta di Ares. Il Luxury, quando ne varcai le porte, era totalmente vuoto, fatta eccezione per l'uomo che sapevo mi stesse attendendo davanti al palco. Era stato lui a chiamare il direttore, per chiedergli di lasciare la struttura a sua disposizione per una notte; il mio capo aveva accettato l'esorbitante somma di denaro che gli era stata promessa e aveva aperto le porte del suo fottuto locale al mafioso che mi aveva costretta in quella situazione.

Nel camerino vi ero solamente io: mi passavo distrattamente il rossetto rosa carne sulle labbra, prendendo tempo prima di salire su quel palco, che mai avrei creduto di odiare, come stavo facendo in quell'istante. Ares Volkov, forse, non si era reso conto dell'effetto che aveva avuto la sua imposizione sulla mia psiche, eppure io lo sentivo piombare con violenza su di me, ricordandomi quanto fossi impotente. Io ballavo per me stessa; era l'unico momento in cui avevo davvero il controllo totale del mio corpo e della mia mente, riuscivo a mettere a tacere quei mostri che ringhiavano nella mia testa, i pensieri distruttivi e i ricordi di tutto quello che avevo sfortunatamente vissuto. La danza mi teneva in vita ed era qualcosa su cui io, e solo io, potevo avere il controllo. Mi esibivo per un pubblico vasto, ma lo facevo poiché ero consapevole che sarei riuscita a gestirli, a manipolare la loro attenzione verso di me, a controllare le loro menti. La danza mi dava il potere, lo stesso di cui Ares Volkov mi stava privando con prepotenza e senza alcun rimorso, perché sapevo che, in quanto uomo della Bratva, pachan dei Volkov, non sarebbe stato così facile giocare con la sua mente, portarlo a desiderare quello che io sceglievo. Non mi sarei arresa, non avrei abbassato il capo davanti alla sua prepotenza, alla sua austerità e alle sue regole; avrei fatto quello che era necessario per salvare le persone che amavo, eppure non avrei mai permesso a nessun'altro, come avevo fatto in passato, di piegarmi.

Quando arrivai dietro le quinte, feci partire la musica che avevo scelto per quell'esibizione e, nell'introduzione iniziale, scivolai con lentezza sul palcoscenico, inscenando una camminata determinata e lasciva. All'inizio non mi girai a guardarlo, eppure fui sicura che le sue iridi fossero ben concentrate su di me, poiché le sentivo scorrere in ogni angolo del mio corpo, alla ricerca di qualsiasi dettaglio potesse raccogliere. In qualche modo, seppur mi fossi promessa di non cedere mai alla tentazione, a quella strana smania che circolava dentro il mio corpo, spinta dal desiderio di cibarmi del suo compiacimento e di alimentare il mio ego, mi voltai ad osservarlo. I suoi occhi brillavano di un'intensa e oscura malvagità, che mi portò a rabbrividire all'istante e fece vibrare il mio basso ventre; lo vidi scrutare attentamente la gonna di tulle nero trasparente a palloncino, che metteva in mostra la lingerie in pizzo che avevo indossato, per poi salire lungo il busto, fasciato da un corpetto, anch'esso nero, infine le sue iridi si soffermarono sul mio viso pallido, sul quale ricadeva un velo sottile del colore della notte, e sui miei occhi, coperti da una maschera in pizzo.

I miei abiti, in particolare il velo, richiamavano il vestiario delle spose, eppure la tonalità che avevo scelto, non era altro che una metafora oscura, che indicasse quello che provavo. Il nero era il colore della morte e lui doveva saperlo bene, vista la vita che conduceva. Io, con quegli indumenti, volevo mandargli un messaggio su quella che sarebbe stata la conseguenza al matrimonio che lui mi aveva imposto: la morte della mia persona. Non avevo mai sognato di sposarmi, forse soltanto quando, troppo piccola per capire quanto crudele fosse il mondo, mi rifugiavo nelle favole e m'immaginavo con indosso il mio vestito fiabesco e con accanto il mio principe, poi, quando la brutalità della realtà aveva cominciato a macchiarmi, avevo dimenticato tutte le mie fantasie. Eppure, avevo creduto, che, se mai avessi compiuto la scelta di sposarmi, sarebbe stata a causa dell'amore. Ero consapevole, invece, che la storia tra me e Ares Volkov non sarebbe stata condita dalla dolcezza e della serenità nate dall'amore, piuttosto dalla cattiveria e dal terrore nati dall'odio. Ecco perché, quindi, quella sera, davanti a lui, stavo impersonando una giovane sposa con la morte attaccata al suo corpo e con il destino già segnato.

La regina di piccheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora