Nikita
Anno 2008, San Pietroburgo, Russia.
Quando tutto ebbe inizio, avevo solo nove anni. Ricordo fosse agosto e facesse caldo, il giorno in cui mamma mi diede la notizia.
«Papà ha detto che la città non è più sicura per noi, piccolo ficco di neve.» La voce fu pacata, mentre mi spazzolava i capelli davanti allo specchio.
«Perché, mamma?» Sapevo Vladimir si occupasse di affari loschi - solo poiché ero una bambina molto attenta e astuta, infatti egli non aveva mai osato parlare apertamente della Bratva in mia presenza -, perciò immaginai subito che ci fosse un collegamento.
«Noi Lipovsky qui a San Pietroburgo siamo molto importanti, tesoro, tuo padre è il capo di molto uomini e questo non piace ad altre famiglie.» Seppur fossi piccola, Nastya fu onesta con me, senza però approfondire, svelando dettagli troppo cruenti: non mi disse che mio padre era il pachan o che c'era in atto una guerra asprissima per la conquista del potere, mi spiegò tutto con semplicità, senza celarmi la verità.
Questo, in una famiglia normale non sarebbe mai accaduto; a quella tenera età, in un altro contesto di vita, avrei ancora avuto intatta l'ingenuità della fanciullezza, io, invece, l'avevo vista incrinarsi prematuramente. Probabilmente, se non avessi portato sulle spalle il peso del cognome Lipovsky, avrei passato le mattine a lamentarmi, come ogni bambino, perché non volevo svegliarmi per andare a scuola, i pomeriggi a giocare con i coetanei del vicinato, le sere ad andare a letto presto, dopo aver ricevuto i baci e gli abbracci di entrambi i miei genitori, e non solo di mia madre.
Invece, io che avevo vissuto in un mondo diverso, oscuro, desideravo arrivasse la luce del giorno, così che io e la mamma ci saremmo potute allontanare da quella casa pregna di ricordi infelici, di urla e di percosse, i pomeriggi li passavo sperando che Vladimir tornasse il più tardi possibile o che fosse partito per un viaggio d'affari e le sere a premermi il cuscino sulle orecchie, per allontanare i suoni dei lamenti delle donne che portava nella nostra villa e che scopava, come poi compresi una volta cresciuta, a poche porte di distanza da dove dormiva Nastya.
«Lui verrà con noi?» Il mio fu un sussurro appena udibile, perché non desideravo che qualcuno sentisse al di fuori di mia madre.
«No, resterà qui, saremo solo io e te.» Ricordo che pensai quello fosse il giorno migliore della mia vita, perché, finalmente, Nastya ed io potevamo stare lontane da quell'uomo che odiavo, lo stesso che la maltrattava, la sminuiva completamente e le rendeva gli occhi vitrei e tristi.
«In che città ci trasferiremo, mamma?»
«Andremo a Samara, piccolo fiocco di neve.»
****
Anno 2008, Samara, Russia.
Arrivammo nella nuova villa a distanza di due settimane dall'annuncio di Nastya. Mio padre non ci salutò con abbracci affettuosi, prima della partenza, si limitò a lanciare un'occhiata cupa a sua moglie e a fare un cenno a me.
Per arrivare nella nuova città, avevamo dovuto prendere il jet privato di Vladimir ed era stata la prima volta per me. Volare mi piacque tantissimo, a stento riuscii a mantenere la compostezza richiesta dall'etichetta davanti alle guardie assegnateci.
Giunti alla villa, ci fu presentato il personale e conobbi anche una bambina poco più piccola di me di nome Nadya, figlia della nostra nuova cuoca. Era carina, aveva sempre il sorriso sdentato stampato sul volto luminoso e capii presto che parlava tanto, non riusciva a stare un secondo in silenzio. Seppur all'inizio m'infastidisse, presto diventammo amiche, poi, all'improvviso, senza capire come fosse successo, non riuscivamo a stare lontane, anche se dovevamo essere caute, perché le guardie riferivano tutto a mio padre e lui non amava che io facessi amicizia con i figli dei suoi dipendenti.
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La regina di picche
ChickLitPrimo vol. Mafia Series Nessuno sa cosa successe quella notte, quale fu la causa di quell'incendio che spazzò tutto via. Gli inquirenti non seppero darsi una spiegazione, forse, però, nemmeno la cercarono davvero, perché quello che importava era la...