2.Sguardo diverso

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KNOX


23 Dicembre

Mi lascio cadere sulla sedia, stremato dal folle giro in cerca di regali.
Se c’è una cosa che non sopporto delle feste, è proprio questa.
Voglio dire, mi piace donare alle persone che amo, ma “essere costretto” da un’incombenza come il Natale, mi stressa. Preferisco sorprenderli quando meno se lo aspettano, semplicemente perché ho trovato qualcosa di interessante.
In questo caso, devo cercare qualcosa di interessante. È molto più difficile.
Appoggio le buste sulla sedia vicina e alzo lo sguardo per incontrare quello di Julian e Alison.
«Abbiamo finito, vero?».
Mia sorella sorride e abbassa gli occhi sul menù, scritto su tovagliette di carta disposte sul tavolo.
«Abbiamo sistemato i nostri genitori, nostro cugino e le zie. Alla nonna lo spediamo e noi tre ce lo siamo scelto a vicenda. Chi manca? A Noah l’hai fatto?».
«Sì, qualche giorno fa».
«Ah sì? E che gli hai regalato?» chiede, curiosa come al solito.
Scrollo le spalle. «Niente di che, cose nostre. Comunque, che prendete? Io una montagna di pancakes e almeno dieci litri di caffè».
Julian sbadiglia, passa il dito sul menù e appoggia il mento al palmo della mano.
«Anche io ho bisogno di caffè. Sono troppo stanco».
«Jules, il caffè non risolverà i problemi di insonnia» commenta Alison.
La cameriera ci raggiunge mentre lui sta per rispondere, quindi la conversazione sfuma e tutti e tre ordiniamo la colazione.
È una biondina con gli occhi marroni, le lentiggini sul viso, un paio di occhiali con la montatura nera e la divisa del posto.
Pantaloni e t-shirt scura con un logo bianco e rosso a sinistra, sotto al colletto.
È molto carina, giovane e sorridente; si ferma a osservare mio fratello per un lungo momento, poi rivolge l’attenzione a me. Le faccio l’occhiolino e lei arrossisce, prima di scrivere l’ultimo ordine e tornare in cucina.
«Devi provarci con ogni cosa che respira?».
Alzo gli occhi al cielo. «Non ci stavo provando, Ali».
«No, certo. Senti… qui abbiamo un problema serio» indica Julian con un cenno del mento, poi scivola più vicino a lui e gli accarezza i capelli.
Ha la testa appoggiata all’indietro sulla panca imbottita di stoffa rossa; le palpebre chiuse, le labbra tirate. È bianco come un cadavere, con le borse sotto gli occhi.
Anche se non sapessi cosa è successo, si capisce benissimo che non sta bene.
«Jules?» lo chiamo.
«Vi prego, non ricominciate. Lo so, ok? Lo so. Non ce la faccio».
«Non volevo dirti di smettere di pensarci. Volevo solo proporti un’alternativa, a Natale. Cioè, se non te la senti, possiamo trovare una scusa per assentarci e passiamo la giornata a casa mia. Noi tre, senza mamma, papà e parenti vari».
«Mamma ci ucciderebbe».
Alison ridacchia. «Probabile, ma non dovremmo sopportare la zia Milly e i bambini urlanti di Daniel e Jessy».
«Mamma e papà ci tengono. Non c’è bisogno di trovare una soluzione alternativa. Sto bene».
«Stai bene? Ma ti sei visto?» ribatto.
Non credo abbia idea di come appare ai miei occhi.
So che dorme poco e male, perché quando gli chiedo qualcosa, non soffermandomi al semplice “come stai”, mi risponde in modo sincero.
Non so più cosa fare con lui.
Ho capito che i sentimenti per Aiden sono molto più importanti di quanto avrei creduto, ma non mi sono mai ritrovato in una situazione del genere. Né in prima persona, né ad assistere Julian o Alison con i cuori spezzati. Hanno vissuto delusioni d’amore, cotte finite prima ancora iniziare, ma questa
è un’altra cosa. E non ho idea di come farlo stare meglio.
Cazzo, sono un fratello di merda.
La cameriera ci raggiunge con i piatti: pancake, muffin, torta di mele e caffè. Pago e la saluto con un ammiccante sorriso, in cambio ricevo uno sguardo malizioso e la splendida visione dei suoi denti che mordono il labbro inferiore.
È imbarazzata, ma anche interessata.
Forse, prima di uscire, potrei chiederle il numero.
Alison mi schiocca le dita davanti agli occhi e mi rendo conto che stavo fissando il culo della ragazza, mentre si allontanava.
«Se Julian se la sente di passare il Natale a Stirling, per me va bene, sopporterò. Però...» si gira verso nostro fratello, gli prende la mano e intreccia le dita. «Mi prometti che se hai bisogno di andare via e stare per conto tuo, ce lo dici? Ti facciamo compagnia, ok? Solo noi».
Julian accenna un sorriso triste. «Va bene».
Spazzoliamo il cibo in pochi minuti, io ed Alison cerchiamo di ironizzare su qualunque cosa, per strappare a Julian qualche risata spontanea e non di circostanza.
Quando abbiamo finito, usciamo e ci addentriamo di nuovo per le strade della città vecchia, con il cielo coperto sopra le nostre teste e il vento che ulula e si infila sotto la stoffa pesante delle giacche.
«Quindi, questa sera studi?» chiedo a mio fratello.
Annuisce, arrotolando meglio la sciarpa intorno al collo.
Ha la pelle chiara come la mia, ma il suo viso è sempre stato più delicato. Appena l’aria si fa fredda, le sue guance diventano rosse come mele, donandogli un aspetto innocente.
Per me, resterà sempre il bambino di cinque anni che si nascondeva sotto al letto perché aveva paura del mostro nell’armadio, ma, osservandolo, mi rendo conto che è diventato un uomo.
È cresciuto in un batter d’occhio; il tempo è volato e lui è passato dal chiedere di accompagnarlo a fare un giro in bici a pregarmi per una bottiglia di whisky, che gli faccia dimenticare le pene d’amore. Logicamente lo mando a fanculo, quando ci prova.
Anche a me piace il whisky, ma non mi piace vedere mio fratello stare male. È già in condizioni pessime così, l’alcol non migliorerebbe di certo la cosa ed é inutile che si giustifichi accusandomi di ubriacarmi tutti i sabati. Io bevo, ma non mi ubriaco.
C’è una bella differenza.
«Devo anche finire delle commissioni da consegnare, appena dopo Natale».
«Copertine?» chiede Alison.
«Sì. Una è di una graphic novel, una di un libro fantasy».
Julian ha un talento naturale per l’illustrazione e l’università ha solo affinato delle capacità che già
padroneggiava. Alison può capirlo meglio di chiunque altro, visto che è una musicista, mentre io con l’arte c’entro come una rosa in un campo di patate.
Sono sempre stato appassionato di motori, da quando ero piccolo, e appena ho finito la scuola, ho espresso il desiderio di iniziare a lavorare.
All’epoca, c’era un meccanico vicino alla falegnameria dove lavora nostro padre, che mi aveva dato l’opportunità di passare qualche pomeriggio in sua compagnia, a imparare il mestiere, o almeno le basi, per quanto il tempo libero me lo permettesse.
Mio padre non mi faceva uscire se prima non avevo ultimato i compiti a casa.
Una volta finiti gli studi, mi ha assunto come apprendista a tempo pieno e sono bastati un paio d’anni per tentare fortuna in un’officina a Edimburgo.
Il mio attuale capo era rimasto sorpreso dalla mia bravura e soprattutto dalla dedizione, quindi era stato contento di offrirmi un contratto, con una paga anche piuttosto buona.
Se penso alla prima settimana vissuta qui, a quando cercavo l’appartamento e a tutti i cambiamenti che ci sono stati, mi viene da ridere.
Non è stato un trauma lasciare Stirling, o i miei genitori; il problema è stato separarmi da questi due scemi che camminano davanti a me, con l’aria spensierata di chi sa che guarderò loro le spalle, sempre.
Mi uccideva dover aspettare il weekend per tornare a casa dei miei e vederli; per sopportare la mancanza, spesso li andavo a prendere all’uscita di scuola, anticipando il pullman che li avrebbe
portati a casa.
Da quando Julian si è trasferito, la situazione è migliorata, ma non vedo l’ora che Alison venga a
studiare all’università, così mi sentirò di nuovo completo.
«Ehi, Ali».
«Sì?».
Si ferma e si volta, le labbra screpolate e gli occhi arrossati dal vento.
Abbassando lo sguardo, mi rendo conto che non ha messo le mani in tasca e non indossa i guanti.
Mi avvicino d’istinto e accarezzo le sue dita, racchiudendole nei miei palmi. Non mi si freddano mai le mani, non so perché. Anche senza guanti, diventano al massimo tiepide.
«Sei gelata».
«Fa freddo».
«Dovevo regalarti un paio di guanti. Anzi, sai cosa? Li andiamo a comprare».
«Knox, va tutto bene. Ho i guanti a casa».
«Ma hai le mani fredde, adesso».
Julian scoppia a ridere; una risata vera, di gusto, che mi fa ripartire il cuore nel petto, come se finora fosse rimasto in un angoletto buio, a disperarsi perché non riusciva a farlo sentire meglio.
«Sembri la mamma» commenta, concludendo con una pernacchia.
«Se stai cercando di andare a fanculo, accomodati».
«Sul serio, Knox, dai. Se Ali sta bene così, lasciala stare».
Sbuffo, poi do un’occhiata alla strada che si snoda davanti a noi, facendo particolare caso alla presenza di negozi di vestiti o souvenir tradizionali. In questa città non è inusuale trovare negozi che vendono sciarpe e guanti a ogni angolo, infatti, ce n’è uno a una decina di metri.
«Siete due ragazzini capricciosi! Il negozio è di strada, quindi, adesso ci andiamo, prendiamo un bel paio e lo consideriamo un’aggiunta al mio regalo di Natale».
Entrambi ridono e io avanzo da solo, ignorando le stupide imitazioni della voce della mamma, mentre ripetono ciò che ho appena detto io.
Appena esco dal negozio, li trovo lì fuori, quindi porgo il paio di guanti in lana nera a Alison e incrocio le braccia, fingendomi offeso. Tanto lo sanno che non me la prendo facilmente.
«Grazie, fratellone» dice lei, dopo averci infilato le dita.
Si avvicina, si solleva sulla punta dei piedi e aspetta che mi chini, per posare un delicato bacio sulla mia guancia. «Cosa mi stavi dicendo?».
Riprendiamo la passeggiata verso il residence dove vive Julian. «Mi chiedevo dove andrai ad abitare quando inizierai l’università».
Nostro fratello le accarezza la testa, poi nasconde le mani in tasca.
«Potrei lasciarti la mia stanza. Io spero di riuscire a trovare lavoro durante l’estate e magari prendere in affitto un appartamento». Si blocca per un istante, si morde il labbro. «Oppure, magari...». So cosa sta pensando.
Magari, potrebbe tornare insieme ad Aiden e traslocare nel suo appartamento, qui a Edimburgo, o trasferirsi a Parigi e lavorare lì, vivere con lui.
Da una parte, la speranza che il suo sogno si avveri mi fa librare il cuore nel petto; dall’altra, il pensiero che si allontani da me, mi scatena un moto di nausea.
Scaccio entrambi gli scenari, per non illudermi e non disperarmi.
«Ci ho pensato, ma dovrò fare qualcosa anche io, perché non credo che mamma e papà possano continuare a pagare l’affitto della camera al residence».
«Lo hanno fatto per me, finora» ribatte Julian. «Sto rimettendo i soldi sul tuo conto e appena finirò l’università e avrò un lavoro a tempo pieno, potrò versare rate più consistenti. Hai già quello che ti serve per il primo anno e per qualche mese di affitto».
Alison scuote la testa. «Non voglio che tu mi dia i soldi, Jules. Ti servivano, li hai spesi… sono soldi di tutti e tre. È una cosa di famiglia».
«Appunto perché è di famiglia, voglio ridarteli. Hai diritto a studiare ciò che vuoi, tanto quanto me, Ali».
Concordo con Julian.
E poi, ho un’altra idea.
«Jules ha ragione, ma se non dovessero bastare i suoi, ho una piccola somma da parte, accumulata in questi anni di lavoro. Per i tuoi studi, dico».
Alison si affretta a scuotere la testa, gli occhi si riempiono di lacrime. Mi muovo senza neanche pensarci: la attiro a me, la stringo contro il petto e la avvolgo tra le braccia.
Julian si aggiunge qualche istante dopo, coprendole le spalle e chiudendo il cerchio.
«Ali, tu sei la cosa più importante per noi due. Vogliamo il meglio, capisci? Vogliamo che tu abbia la possibilità di costruirti il futuro migliore. Ciò che desideri, qualsiasi cosa».
La sento singhiozzare, il viso sepolto nella stoffa della giacca. Io e Julian ci scambiamo uno sguardo e ci sorridiamo. So di aver parlato per entrambi.
«Stavo pensando… perché non vieni a stare da me?» chiedo, dando voce all’idea che mi frulla in testa.
Alison si muove e Julian la libera, appena prima che io sciolga l’abbraccio.
Nostra sorella ha gli occhi ancora colmi di lacrime, ma anche sgranati per lo stupore.
«Dici sul serio? E come faresti, se io venissi da te?».
«In che senso?»
«Con le ragazze».
Scoppio a ridere. «Ho due camere da letto, piccoletta. Io, la mia, tu, la tua. Vorrà dire che non farò più sesso sul divano».
«Cristo, che schifo. Non mi siederò più su quel coso» commenta Julian.
Sollevo un sopracciglio. «Come se tu non l’avessi fatto in ogni angolo della tua stanza».
«Non c’entra nulla! Io ho solo una camera e un bagno… non sono tante opzioni a disposizione».
Restiamo in silenzio per una frazione di secondo, poi scoppiamo a ridere, ma quando finisce il momento, lo ripeto, con un tono più serio.
«Non stavo scherzando, Ali. Che ne pensi?».
Prima che risponda, capisco che è un’ottima idea da come il suo viso si colora di gioia. «Sarei felicissima di stare con il mio fratellone».
Julian tossicchia e io gli rifilo una sberla in testa. «Auguri».
Altra sberla. «Sta’ zitto tu!».

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