16.Serata LGBTQ

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KNOX

7 Aprile


Sono appena arrivato in mezzo alla pista con Liam e due ragazze venute insieme a lui.
La sala è piena di gente, come ogni venerdì sera, solo che c’è un clima diverso rispetto al solito.
È una serata LGBTQ+, con due deejay trans che si alternano, una drag queen come vocalist e sei ballerini maschi con i tacchi.
Non so come ho fatto a convincere Liam a unirsi a me. Non che abbia qualcosa contro qualsiasi altro orientamento sessuale o espressione di genere, non
potrei mai uscire con un tizio omofobo, quindi è ovvio che non sia quel tipo di persona.
Ho vissuto con un padre così per vent’anni, gli amici cerco di scegliermeli bene.
Però non è esattamente il suo genere di serata, con tutti i lustrini e gli animatori ammiccanti che circolano in mezzo alla folla. Eppure quando l’ho chiamato ha subito accettato di uscire con me, a
patto che estendessi l’invito anche alle sue amiche.
Non è che ne fossi entusiasta, d’altronde lui non sarebbe stato la prima scelta come partner per questa serata.

Ho provato a chiamare Noah nel pomeriggio per sapere come stava dopo lo svenimento, ma non mi ha risposto.
Gli ho scritto un paio di messaggi e ho ricevuto risposte telegrafiche, poche parole che mi rassicuravano sul suo stato di salute.
Alla fine ho provato a invitarlo alla serata queer, proponendogli in alternativa un semplice film a casa mia, nel caso in cui non si sentisse ancora bene. O un caffè in un locale poco lontano da casa, per evitare che si ripetessero situazioni spiacevoli.
Non ha risposto a nessun invito, oserei dire che ha ignorato qualsiasi mia interazione.

Avrei potuto passare il venerdì sera sdraiato sul divano, a riposarmi e ad aspettare una sua chiamata, ma avevo così bisogno di uscire che ho cercato l’unica altra persona con cui partecipo alla vita mondana, l’unica altra persona che valga la pena chiamare amico.
«Stanno iniziando a mettere roba decente, eh?» commenta Liam, sollevando il bicchiere con il drink
e facendomi l’occhiolino.
Mi concentro sulla musica, riconoscendo i bassi vibranti di una canzone di Tiësto.
«Ora sì che si ragiona».
Le due ragazze mi sorridono, Liam scola il suo Gin Tonic e passa un braccio intorno alla vita di una delle due. Ovviamente non ricordo i loro nomi.

L’altra ragazza si sposta davanti a me, inizia a ballare abbastanza vicino da intrecciare le nostre gambe.
Anche io ho un bicchiere in mano, quindi imito la mossa del mio collega e incollo i nostri corpi, lascio che le note danzino nella mia testa spingendo il resto del corpo.
Ondeggio al ritmo pulsante perdendomi in un estasi che conosco, dimento perché sono qui e chi ho accanto.
Penso a ballare, svuotando il cervello e godendo dei sorsi freschi della Coca Cola che mi scivola in gola.
Ho deciso di evitare l’alcol, perché non mi sento in vena di cazzate.

Non so quanto tempo sia passato quando riapro gli occhi per guardarmi intorno, so solo che la ragazza che ballava con me è sparita e che Liam mi sta facendo segno di unirsi a loro per bere qualcos’altro. Nego con un cenno della testa e mi limito a raggiungere un tavolo per poggiare il
bicchiere.
Ritorno in mezzo alla pista subito dopo, questa volta dandomi l’opportunità di osservare ciò che succede nello spazio che mi circonda.
Ci sono ragazze che si baciano in mezzo alla pista, gruppi di amici abbracciati che saltellano e cantano, due uomini con una donna in mezzo, incollati in una danza sensuale.
Poi ci sono brillantini ovunque, arcobaleni e braccia al cielo, sorrisi più luminosi dei glitter e lingue che si intrecciano. È un atmosfera che mi fa sentire bene, perché tutti assaporano la stessa libertà in cui mi piace librarmi ogni giorno della mia esistenza.
Non tutti hanno la stessa fortuna.

Sposto lo sguardo verso il palco e vedo la vocalist in mezzo ai due deejay, la consolle enorme manda dei bagliori ipnotici e davanti a loro c’è un palco stretto e lungo.
I ballerini si piegano sulle gambe, si rialzano strusciandosi l’uno contro l’altro, poi si girano dando le spalle alla folla e mostrando gambe lunghe e culi sodi, a malapena coperti in quei shorts di jeans strappati.
Mi esce un sorriso, uno di quelli veri, che mi fa sentire bene.
Sono belli da vedere ed è facile lasciarsi andare. Non mi preoccupo spesso di chi mi guarda, ma questa atmosfera scioglie le mie scarse inibizioni più di quanto non faccia l’alcol.
Sorrido anche mentre riprendo a ballare; sebbene il mio gruppo mi abbia lasciato per andare al bar, non mi sento affatto solo.

Respiro, escludo i pensieri negativi e, in fondo, non riesco a non nutrire quella flebile speranza che si è accesa a casa di Noah. È stupido anche solo pensarlo, ma vorrei che ci fosse lui, qui.
Al centro della pista.
A gustare la sensazione di non avere alcuna definizione, nessun confine, niente limiti da rispettare.

Sto ancora ballando quando, per un fortuito caso o per un segno del destino, mi ritrovo a girarmi verso l’entrata. L’ennesima canzone finisce.
Le luci laser e i faretti colorati lasciano la sala nella penombra ed è difficile distinguere una persona dall’altra, ma non mi ci vuole nemmeno un secondo per capire che quello nel rettangolo della porta è Noah.

Mi si blocca il respiro in gola e un’ondata di calore risale fino al viso appena lo vedo avanzare, con una t-shirt trasparente e un paio di pantaloni neri strappati alle ginocchia.
Non aspetto che mi trovi lui.
Mi muovo subito per raggiungerlo a metà della sala, afferrandogli il braccio non bendato per attirare la sua attenzione. Si gira, mi vede e apre le labbra in un sorriso che potrebbe provocarmi un infarto.
Come cazzo ho fatto a non rendermi conto di quanto sia bello?
Cioè, lo sapevo, ma non così…
Dio, non così.

«Ehi» lo saluto.
«Ehi. Scusa se non ti ho risposto».
«Hai letto il messaggio».
Annuisce, guardandosi intorno con le iridi che brillano di gioia.
«È da tanto che non partecipo a una serata del genere».
Gli passo un braccio intorno e apro la mano sulla sua schiena, invitandolo a muoversi davanti a me.
«Balliamo?».

Per una volta non chiede niente.
Non fa battute, non accampa scuse e non mi chiede di bere qualcosa per sciogliersi. Mi dona un altro sorriso disarmante e con un cenno del mento indica il centro della pista.
Ci spostiamo uno dietro l’altro finché non troviamo un piccolo spazio in cui muoverci.
Quando si volta, noto la collana d’acciaio che porta al collo, una bandiera arcobaleno come ciondolo, che luccica sotto la stoffa trasparente.
I capelli sono spettinati e la sua faccia non ha niente di diverso da tutti gli altri giorni della nostra esistenza.
Ricordo i suoi tratti da bambino, ricordo il modo in cui cambiava da adolescente, persino i primi accenni di barba e i tentativi infruttuosi di tagliarla in maniera decente.
Ricordo i lividi dopo una scazzottata, gli svenimenti, gli occhi febbricitanti e le lacrime che a volte hanno solcato il suo viso. Penso al numero infinito di foto che riempono gli album o la memoria dei nostri telefoni.

Eppure penso che non l’ho mai, mai guardato come sto facendo adesso. Non ho mai provato l’impulso di osservarlo fino a essere sazio di ogni più piccolo dettaglio.
Non ho mai sentito il bisogno pressante di stargli così vicino.
Non so cosa stia succedendo, fuori e dentro di me, ma mi scoppia il cuore e la mia unica certezza è che sono pronto a sentire la detonazione, perché non ho intenzione di negarmi questo primo piccolo e intenso frammento di emozione.
Qualcosa di nuovo, che stringo al petto con le unghie e con i denti, con la ferma convinzione di non volere che voli via, lasciandomi il solito vuoto incolmabile.

Noah comincia a ballare, a poca distanza da me. Faccio un passo avanti e la musica mi fa l’effetto di una droga.
Quindi, nella mia testa lampeggiano pensieri confusi a chiare lettere: e se la risposta che cercavo tanto fosse davanti ai miei occhi?
E se non avessi mai trovato il modo di riempire il vuoto, perché l’unico incastro possibile era quello che mi rifiutavo di vedere?

Chiudo gli occhi.
Allungo la mano e sento quella di Noah rispondere al contatto.
Il suo corpo si fa più vicino e il mio stomaco si ribalta.
Dopo tre respiri profondi, metto a tacere il cervello. Un passo avanti, i nostri corpi si toccano, i miei occhi si aprono e incontrano i suoi.

E se…

Di colpo, la voce del vocalist risuona in tutta la sala: «Non importa chi siete, chi volete essere, o con chi siete venuti qui questa sera. Prendete la persona con la quale volete ballare, stringetela forte e
preparatevi perché la prossima canzone vi farà letteralmente sciogliere! Pronti?».
Sono quindici anni che sono pronto e non lo sapevo.
Adesso, sì.
Adesso lo so.

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