43.A che servono gli amici

282 34 38
                                    

NOAH

30 Giugno

«Noah?»
«Jules».
«Che succede? Perché questa voce?»
«Io… non riesco a dormire e.. non so come...»
«Noah, ma stai piangendo?».
Mi sfugge un singhiozzo, poi un altro. Provo a contenerli, a respirare per calmare il fiume di lacrime che si riversa sulle mie guance.
«Sì, m-mi dispiace di averti chiamato adesso, ma non potevo più fissare il muro senza parlare con qualcuno».
«Non c’è problema, anzi, hai fatto bene. Adesso calmati, ok? Fai un respiro profondo e spiegami che succede».

Non so neanche da che parte cominciare.

Ieri era il mio compleanno e non sono voluto uscire, nonostante le insistenze dei miei amici. Non solo Sofia, ma anche alcuni ragazzi del nuoto mi hanno contattato, visto che dopo la festa di laurea abbiamo ricominciato a sentirci. Dexter è venuto a farmi gli auguri, ma ha capito che c’era qualcosa di strano, però l’ho supplicato di non chiedermi niente.
Sono andato a cena dai miei genitori, di fronte ai quali non sono stato in grado di fingere. Per fortuna si sono accontentati della spiegazione più diretta e scarna che sono riuscito a dare.
Gli ho detto di aver discusso con Knox, senza scendere nei dettagli.

Non c’è bisogno che sappiano quanto sia grave, non c’è bisogno che si preoccupino per me, per come ho passato la giornata.
Sul letto, abbracciato al cuscino, mentre cercavo il suo profumo tra le lenzuola.
Questa mattina ho provato i vestiti che mi hanno regalato e mi sono fatto qualche foto per mandarla a mamma. Si è accorta subito dei miei occhi gonfi e della faccia stanca.
No, non ho dormito.

Sono ormai due le notti passate quasi del tutto in bianco e la mia mente comincia a risentire di questo stress, come se non fosse già abbastanza provata da quello che è successo.
Ho evitato tutti durante il giorno e per fortuna Sofia è partita per le vacanze proprio questa mattina, quindi non ho rischiato di trovarmela alla porta.
Però sto crollando a pezzi e ho proprio bisogno di qualcuno sul quale potermi appoggiare.
E chi meglio della persona che l’ha fatto fin da quando eravamo bambini?

«Noah? È tutto ok? Sei ancora lì? Per favore, rispondi».
«Sì, sono qui. È ok».
La mia voce sembra un artiglio su un vetro. Tirarla fuori mi graffia la gola, forse per via delle ore in cui sono rimasto zitto, o perché non mi ricordo quand’è l’ultima volta che ho bevuto un bicchiere d’acqua. O forse é perché ho pianto tutte le lacrime che avevo.
«Che succede? È… tu stai bene? Voglio dire, fisicamente? E Knox?»
Sentire il suo nome fa saltare il mio cuore.
«Sto bene. Sì, anche lui. Credo».
«Credi?».
Riconosco la nota preoccupata nel tono, ma sa che se ci fosse stato qualcosa di grave, avrei iniziato la conversazione da quello.
«Sì. Noi… a-abbiamo discusso».
Silenzio.
Poi…
«Quando?»

«Mercoledì».
Julian sospira, avverto il rumore di un cuscino sprimacciato.
«Perché? Che ha fatto?».
«Come fai a sapere che è colpa sua?»
«Conosco mio fratello. Quando ci sono in ballo i sentimenti… beh, diciamo che di solito è allergico a tutto quello che riguarda la sfera emotiva. Io e Alison siamo probabilmente le uniche due
eccezioni e comunque non è così espansivo neanche con noi. Ci sono state volte in cui ha aperto il suo cuore con me, ma si possono contare sulle dita di una mano».
«Credi che sia questo il problema? È solo fatto così?»

Il rumore di un tappo di bottiglia che viene aperto proviene dal telefono, mentre mi alzo dal letto e vado verso la sala, per tentare di rilassarmi sul divano.
«Spiegami tutto dall’inizio, ok? Qualunque cosa sia successa».
Faccio un bel respiro, chiudo gli occhi e abbandono la testa all’indietro.

La mia mente ripercorre subito la discussione di due sere fa, mostrandomi i dettagli minuto per minuto, riproducendo le esatte parole che ci siamo scambiati e proponendo lo stesso dolore che mi ha squarciato il cuore.
Alla fine del racconto mi si incrina la voce, fatico a respirare e altre lacrime si stanno accumulando negli occhi. Ammutolisco, ascolto solo il respiro di Julian.

«Gli hai detto che lo ami» ripete, per conferma.
«Sì, quando siamo andati sulle isole».
«E lui ha scoperto della proposta di colloquio».
«La mattina dopo».
Avverto un lungo sospiro, poi il silenzio assoluto mi fa fischiare le orecchie. I pensieri vanno al doppio della velocità, fino a diventare un ammasso confuso che non mi permette di ragionare.
Ho paura di non poter rimediare a questa rottura, temo che Knox non provi i miei stessi sentimenti e che per colpa della mia urgenza di mettermi a nudo, abbia mandato tutto a rotoli.
«Knox è cresciuto con me, Noah» spiega Julian di colpo, facendomi sobbalzare. «Stessa famiglia, stesso padre, stesse condizioni. Ti faccio un esempio pratico. Sono tre mesi che vivo con Aiden e non ho ancora accettato di usare la sua carta di credito. Sai perché? Non è una questione di orgoglio, è che non ci sono abituato. Compro le t-shirt in serie, le scarpe in saldo e i prodotti in offerta quando faccio la spesa. È una vita che faccio così, come mi ha insegnato mia madre, come mi ricordava puntualmente mio padre. Non c’è niente di male, ovvio. Abbiamo sempre avuto il necessario per vivere e non ci siamo mai lamentati. Solo che… lui vede una vita migliore per te, all’orizzonte. Crede che tu possa arrivare dove lui non può, perché per quanto gli piaccia il suo lavoro, sa che non lo condurrà a chissà quali risultati e anche se cambiasse officina, potrebbe esserci una minima differenza di stipendio, ma non avrebbe comunque vinto alla lotteria. Però io so quanto guadagnano
i ragazzi del team di Aiden e credo che se lo immagini anche Knox. Pensa di non essere all’altezza, perché sa che potresti costruirti un futuro più comodo, diciamo, approfittando di questa possibilità».
Ha senso.
Tutto il suo discorso ce l’ha.
C’è solo un problema.

«Knox non può decidere ciò che è meglio per me e visto che tu mi hai parlato di come siete cresciuti, anche io posso dirti una cosa. Quando mio padre si è sentito male, io non ero con lui. Quella notte papà si è salvato, però è successo altre volte, altri rischi, altri momenti di paura e io che mi svegliavo con il cuore che batteva a mille e pensavo sempre “oh mio Dio, potrebbe essere l’ultimo giorno, potrebbe essere l’ultimo abbraccio, l’ultima volta che lo vedo vivo”. Ora papà sta bene, per fortuna, ma io so che potrebbe succedere qualsiasi cosa, a lui o alla mamma, come so che potrebbe non succedere mai più niente. Quello che non voglio lasciare al caso è quanto tempo
scelgo di trascorrere con loro. Non mi interessa se avrò una carriera meno sfavillante di altre persone, se non sfrutterò come potrei le mie capacità, il mio titolo di studio. Voglio un lavoro che mi piaccia, ma non voglio lasciare le persone che amo, per nessun motivo al mondo. Capisci?»
Dall’altro lato del telefono giunge un mugolio che somiglia a un singhiozzo.

CRAZY FOR YOUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora