28.Ti porto al mare

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KNOX


16 Maggio


Sono seduto in sala d’attesa con il telefono in mano.
Sto scrollando tutti i video che vedo perché non riesco a concentrarmi su niente, ma non smetto di provarci.
Ho bisogno di qualcosa che mi aiuti a distrarmi.
L’intervento di Carter è in corso e Noah ha la testa posata sulla mia spalla, come se avesse bisogno di scaricare su di me un po’ del peso che è costretto a portare.
Vorrei essere più utile e tirargli su il morale, ma la verità è che non mi viene in mente niente di giusto da dire, quindi mi limito a stargli accanto, circondo il suo corpo con il braccio e lo rassicuro
di tanto in tanto, scompigliandogli i capelli.
Passa un’altra mezz’ora e non cambia niente, a parte il fatto che Noah avrebbe appuntamento con il dottore per la visita di controllo.
«Non fa niente. Non è così importante».
«Tesoro, devi andarci. Si tratta solo di raggiungere un altro reparto e ci metterai poco. Io aspetto qui, se dovesse succedere qualcosa, ti chiamo. Va bene?»
«Non posso lasciarti da sola, mamma. E se finissero appena mi allontano?»
«Non succederà».
Strizzo la spalla di Noah per attirare la sua attenzione.
«Non è sola. Resto con lei, se vuoi».

Mi guarda negli occhi, mostrandomi il tumulto che imperversa dentro di lui in questo momento.
Credevo che la gioia di ieri sera sarebbe durata, ma la tensione sovrasta qualsiasi altra emozione e finché non saprà che suo padre è salvo, non riuscirà a darsi pace. Lo capisco, vorrei soltanto fare qualcosa di più.
«Sì...o-ok. Ma siete sicuri?»
«Vai» insisto. «Farai in tempo a tornare per quando avranno finito».
Lo dico con la voce ferma, perché se mi lascio trasportare dalle emozioni che stanno travolgendo sia lui che Iris, non sarà in grado di sorreggerli.
Invece è ciò che devo fare. Devo essere il loro appiglio, la loro forza.
Naoh annuisce, liberando un lungo sospiro e alzandosi in piedi. Prende le stampelle, ci appoggia le mani poi lancia un’occhiata in fondo al corridoio, in direzione delle sale operatorie.
«Andrà tutto bene» gli ripeto.
«Sì. Andrà bene».

Torna da noi venti minuti dopo, senza stampelle, ma con la conferma di un intervento necessario per risanare il legamento.
«Sto bene, posso camminare. Il ginocchio si piega, è sufficiente per appoggiare la gamba, perciò le stampelle non servono più. Almeno, non fino all’intervento».
«Quindi dovrai operarti»
«Sì, ma non è urgente. L’ortopedico ha detto che posso prenotare l’operazione quando voglio, anche aspettando la fine di giugno o addirittura dopo le vacanze».
Prende le mie mani, subito corse a stringergli le braccia per sorreggerlo. Mi è venuto istintivo dopo tutti questi giorni in cui l’ho aiutato a stare in piedi e a muoversi.
Iris si ferma alla mia sinistra e io lascio Noah quando capisco che sto monopolizzando la sua attenzione e il suo corpo. Sua madre si alza in punta di piedi per baciargli una guancia.
«Forse dovresti aspettare dopo il tuo compleanno».
«Sì, lo pensavo anch’io».
Il suo compleanno è il ventinove giugno, il che significherebbe prenotare l’intervento a luglio.
«Sei sicuro?» chiedo.

«Ci penserò, ma credo che possa essere una valida idea, perché a settembre inizierò il master e non vorrei perdere giorni di lezione».
«Non ti dà fastidio?»
«No. Cioè, ancora un po’ sì, ma l’ortopedico mi ha consigliato degli esercizi e ha detto che potrei provare a nuotare, senza sforzare troppo. È ovvio che non riprenderà la completa mobilità finché non ricostruiranno il legamento, però posso avere comunque una vita nel frattempo».
«Va bene».
Mi arrendo, anche se non sarò tranquillo finché non avrà affrontato l’operazione e il successivo periodo di guarigione.
«Papà?»
Iris scuote la testa. «Non mi hanno ancora chiamata».
Sono le otto e mezza del mattino e suo padre non è uscito dalla sala operatoria.

Hanno iniziato all’una di notte, Iris ci ha chiamati per dirci di non andare in ospedale perché tanto avremmo dovuto aspettare per ore, dormendo sulle sedie della sala.
Noah ha riposato poco, girandosi e rigirandosi accanto a me nel letto. Ho provato a tranquillizzarlo in tutti i modi, ma non potevo fingere una calma che non avevo.
Alle cinque ci siamo alzati, preparati e abbiamo raggiunto Iris, che era già qui. La prima ora è stata un susseguirsi di abbracci e parole di conforto, poi siamo usciti per arrivare fino al bar accanto
all’ospedale per mangiare qualcosa.

Noah riprende il posto di prima, si inclina verso di me mentre io lo avvolgo nella mia stretta.
Cala un silenzio pesante.
Siamo stanchi, sospesi sopra un baratro, non sapremo se la vita ci riporterà sulla cima della montagna o se ci lascerà cadere giù.
Voglio bene a Carter, lo conosco da quando ero un ragazzino, in più la preoccupazione di Noah si proietta su di me. Non trovo niente da fare o da dire per distoglierlo dal pensiero della persona che ama ancora sotto ai ferri.
«Sta durando troppo» dice, dopo un po’.
«Perché tuo padre gli avrà fatto perdere un’ora per le sue chiacchiere, prima di addormentarsi. Si saranno rincoglioniti con tutta quella filosofia e avranno bevuto sette caffè per ragionare
lucidamente».
Gli sfugge una risata che fa alzare una nuvola di farfalle nel mio stomaco.
«Potresti avere ragione».
«Hai scritto a Jules?»
La sua testa si muove per accennare un sì. «Appena mi sono alzato».
«È ancora presto. Chiamerà e noi avremo già buone notizie. Vedrai».
Non faccio in tempo a finire la frase.

Il chirurgo compare in fondo al corridoio, uscendo dalla sala operatoria e chiudendo l’enorme porta d’acciaio dietro di sé. Indossa un camicie verde, la mascherina e una cuffia per coprire i capelli, si sta asciugando le mani con dei tovaglioli di carta.
Iris schizza in piedi per correre verso di lui, Noah è costretto ad andare piano, ma la segue.
Appena raggiungiamo il fondo, il dottore si toglie la mascherina e ci rivolge un sorriso calmo.
Noah quasi crolla a terra, le gambe gli cedono e io lo afferro da dietro.
Lo abbraccio forte.
«È andata bene» dice l’uomo. «L’intervento non ha avuto complicazioni, tutto perfetto. Ora
dobbiamo solo aspettare di vedere come reagirà. Lo porteremo in terapia intensiva, quindi solo uno di voi potrà fargli visita e con tutte le precauzioni del caso. Credo che dormirà ancora, ma se vuole posso accompagnarla a prepararsi, signora Thomson».

Iris si porta le mani al volto, le lacrime si gettano dai suoi occhi come torrenti in piena. Ora vedo tutta la tensione lasciare le sue spalle, il petto scosso dai singhiozzi.
Noah si allunga verso di lei e io mi tiro indietro per concedere loro lo spazio di cui hanno bisogno, ma lui tira il mio braccio, come se volesse la mia partecipazione.
Ci stringiamo l’uno all’altro, loro piangono, io sento il cuore esplodere per la gioia.

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