7.Il trasloco

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NOAH


13 Gennaio

Mamma mi passa una scatola pesante, deve essere quella con i libri. La carico nel portabagagli e mi raddrizzo, calcolando quante altre ancora ne posso sistemare nel poco spazio rimasto.
«Quante ne mancano?».
«Tuo padre sta chiudendo quella che abbiamo lasciato sul tavolo, poi ce n’erano altre tre per terra, ma non credo entrino nella tua macchina».
«Non preoccuparti. Dovrebbero arrivare Knox e Julian tra poco».
«Oooh, quindi vedrò il nuovo giocattolino di Jules?».
Sorrido, godendomi l’immagine della stupenda Maserati nella mia mente. D’istinto chiudo gli occhi per fantasticare meglio, ma il rombo di un motore mi distoglie subito dai pensieri.
Li riapro e la fantasia si è appena materializzata.

«Gesù! È uno spettacolo!» esclama mia madre, osservando l’automobile che ci ha messi tutti in ginocchio.
Insomma, è di Julian, ma sia io che Knox l’abbiamo provata, sia nel giorno del
compleanno di Julian, sia ieri, e ogni volta ce ne innamoriamo sempre di più.
Ma non potevo trovarmelo io un fidanzato ricco?
In effetti, starei frequentando un ragazzo con un conto in banca molto simile a quello di Aiden, non a caso è amico suo e figlio di uno degli azionisti di maggioranza della sua azienda, solo che abbiamo appena iniziato a vederci e mi ha già lasciato l’appartamento che aveva preso in affitto, pagando tutto l’anno e non pretendendo nemmeno una sterlina in cambio.
Mi sembra un po’ presto per pensare a un’auto.

«Ehi, Jules!» mia madre saluta Julian, abbracciandolo forte.
Oggi, a differenza degli altri giorni, il
mio migliore amico sembra in grado di tirare fuori un sorriso meno cupo.
È dal suo compleanno che l’accenno di una luce gli brilla in fondo agli occhi; suppongo che il regalo e il biglietto di Aiden abbiano a che fare con questo piccolo cambiamento e non posso evitare di sorridere anch’io, perché non riuscivo più a sopportare la sua espressione triste.
«Ciao, Iris» ricambia Julian. «Come sta Carter?».
Intanto che mia madre risponde, Knox scende dal lato del passeggero.
Lo avevo notato, tutto concentrato sullo schermo del proprio telefono, ma nel momento in cui spunta fuori, sposta lo sguardo su di me e mi fa l’occhiolino.
È il suo tipico saluto, anche se chi non
lo conosce potrebbe scambiarlo per una specie di approccio.
Niente del genere.
È che Knox è un po’… esuberante.
«Come va? Quante scatole dobbiamo caricare?».
Indico il portone. «Ne sono rimaste poche, ma non entrano nella mia macchina».
Scrolla le spalle. «Beh, è per questo che siamo qui, no?».
Batte una mano sulla mia spalla, poi mi supera per abbracciare mia madre e posarle baci calorosi sulle guance.
Lei ha sempre adorato i fratelli Scott: non solo perché sono miei amici da quando ero piccolo, non solo perché ci siamo divertiti insieme e mi sono stati vicini nei momenti difficili, ma anche perché
apprezzava i bambini che erano e apprezza ancora di più gli uomini che sono diventati oggi.
Visto il padre con cui sono cresciuti, è stupefacente che non siano due bigotti ignoranti.
Knox è un po’ possessivo con la sorella e anche un pizzico con Julian, è vero, ma la sua gelosia non deriva dalle vedute ristrette. È solo molto protettivo.

«Andiamo dentro a prendere il resto?» chiede mia madre, guardando me.
Annuisco e faccio strada verso casa.
Sono solo le tre del pomeriggio, il sole si sta abbassando, ma è ancora nel cielo, stranamente non coperto da coltri di nuvole grigie. L’atmosfera limpida rende l’aria gelida, il freddo si infiltra sotto i
vestiti e mi fa rabbrividire.
Affretto il passo mentre procedo verso la porta e quando apro, il tepore dell’interno mi manda subito a fuoco la faccia.
Raggiungo la sala, dove papà è seduto vicino al tavolo e sta sigillando con il nastro adesivo uno degli scatoloni. Julian e Knox si avvicinano subito per salutarlo e chiedergli come si sente.
Mio padre non è una persona che si lamenta.
Anche quando la situazione è drammatica, anche quando si è sentito male la prima volta e lo hanno portato di corsa in sala operatoria per un sospetto infarto, ha salutato me e la mamma con un sorriso ottimista sul volto tirato dalla sofferenza.
In ogni momento della mia vita ha cercato di insegnarmi che le cose si possono sempre risolvere, possono sempre migliorare, fiero sostenitore del “finché respiri c’è vita”.
Non l’ho mai visto abbattuto, non è mai sprofondato nell’ansia, temendo che le cose potessero andare male; quando gli
chiedo come sia possibile mantenere questa incrollabile fiducia nel lato positivo della vita, lui mi risponde che le cose non vanno mai bene se uno parte con il pensiero che vadano male, e il
pensiero, in fondo, è l’energia che muove tutto il resto.
Non sono sicuro di aver mai capito cosa intenda, ma so che se mi serve una botta di ottimismo, vado a cercare papà.
Quando mamma mi ha detto delle ultime novità riferite dal dottore, le ho subito chiesto cosa avremmo dovuto raccontare, poi entrambi abbiamo realizzato che forse lui avrebbe reagito meglio di noi.
Infatti, è stato così.
«Sei sempre più in forma, Carter. Credo tu abbia più fiato di me» scherza Knox, prendendo lo scatolone tra le braccia.
«Questo è perché tu sei pigro, Knox. La giovinezza non ti aiuterà per sempre, sai?» ribatte mio padre.
Knox ride. «Hai ragione. Un giorno mi ritroverò seduto in poltrona, con la pancia che sporge dalla maglia e una birra in mano, come Homer Simpson».
«Saresti comunque un bel ragazzo» commenta mamma.
Lo sarebbe, senza dubbio.
«Ma non avresti più la fila di donne che ti aspetta fuori dalla porta».
Sia io che Knox ci giriamo a guardare Julian. Knox ridacchia, ma io studio l’espressione del mio amico, tentando di capire se sa qualcosa di nuovo di cui io non sono a conoscenza.
Knox non mi ha più parlato di ragazze; a parte l’amica di Sofia durante la notte di Capodanno, non l’ho visto con nessun altra. Lo conosco bene, so che non riesce a tenerselo nei pantaloni per più di
quindici giorni e dopo aver dormito con quella ragazza, probabilmente si sarà anche sfogato durante la scorsa settimana per non andare in astinenza, o lo farà presto.
È come un drogato.
«Anche se ci fosse, non abitiamo insieme, quindi non penso che la mia fila ti disturbi».
«Vorresti dire che non scarti donne come caramelle?».
Mio padre nasconde una risata dietro la mano e Knox gli fa l’occhiolino, allontanandosi dal tavolo.
«No, non come caramelle. Le caramelle non le mangio».
Che idiota.
Io e Julian lo seguiamo di fuori con altre scatole tra le mani, poi le infiliamo nel portabagagli della Maserati nera e abbassiamo lo sportello.
Knox è già al volante.
«Chi ha detto che avresti guidato tu?» lo sgrida il fratello.
Knox mi lancia un’occhiata. «Voglio fare una gara con Noah. Se guidi tu non ci divertiamo, sei troppo prudente».
Sollevo un sopracciglio.
«Gara di che? Stai guidando una macchina da trecento cavalli. La mia, in
confronto, è una carrozza con quattro muli».
Julian sale dal lato del passeggero, senza protestare oltre, e Knox scrolla le spalle scostando i capelli dal viso.
«È per questo che ti lascerò accumulare un bel vantaggio».

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