39.Lasciar andare

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KNOX

18 Giugno


Un paio di labbra morbide si posano sulla mia bocca.
«Buongiorno» mormora Noah, muovendole sulle mie prima di spostarle sul collo.
Sento succhiare e mordicchiare, i miei sensi si risvegliano prima ancora che apra le palpebre.
«Ciao» rispondo, mentre avverto il suo corpo che mi avvolge da dietro. Sbatto gli occhi e mi giro piano, scivolando tra le sue braccia finché non mi ritrovo in posizione supina, con la sua mano sul
petto.
Lo guardo.
Ha i capelli spettinati, alcune ciocche nere più lunghe gli si arricciano sulla fronte, mentre le ciglia scure non nascondono il blu profondo delle sue iridi.
Il sole entra dalla grossa finestra e dal soffitto, quindi mi permette di ammirarne bene le sfumature.

«Dormito bene?» gli chiedo.
«Benissimo. Tu?»
Sorrido, ripercorrendo con la mente i ricordi dei giorni precedenti e della notte appena trascorsa.
Non riesco ad analizzare tutto, non sono ancora lucido.
«Sì, anche io. Però ho fame».
Solleva la testa per fare un cenno col mento verso la porta. «Credo che la proprietaria abbia lasciato la colazione qui fuori. Ha bussato tipo mezz’ora fa e ieri ci aveva promesso un cestino da picnic o roba simile».
Passo un braccio dietro alle sue spalle e gli accarezzo la pelle nuda.
Sì, a proposito, siamo ancora nudi.

Il pensiero mi fa accumulare calore nell’addome e solo adesso mi rendo conto che ce l’ho duro.
Abbasso lo sguardo: il mio cazzo sta sollevando il lenzuolo.
Ottimo.
Noah segue la direzione e una risatina gli sfugge dalle labbra. «Qualcuno si è svegliato prima di te».
«Quel qualcuno si sveglia sempre prima di me. La tua presenza non aiuta».
«Non mi sto lamentando».
«Ah no?»
«No, assolutamente. Sai che mi piace succhiartelo prima di fare colazione».
«Gesù Cristo. Non farmi venire in mente cose simili o non usciremo da questo letto prima di un paio d’ore».

Noah scrolla le spalle, poi si mette a sedere.
«Resterei volentieri, ma ho bisogno di farmi una doccia. Puoi prendere il cestino intanto? Così vediamo cosa mangiare appena esco dal bagno. Poi, si potrà parlare del resto».
«Concordo su tutto, ma prima...»
Mi metto seduto sul letto, lo attiro tra le braccia e porto la bocca a un soffio dalla sua. I nostri respiri si solleticano a vicenda, questa prossimità fa pizzicare la pelle, ma sembra anche naturale,
come se mi fossi abituato al modo in cui i nostri corpi si cercano.

Quando lo bacio, Noah emette un mugolio, subito prima di sciogliersi su di me. Me lo ritrovo in grembo, le braccia avvolte intorno al mio collo, le nostre erezioni che danzano così come le lingue.
Trova subito la mia, prende l’iniziativa per esplorarmi con una lentezza che mi toglie il fiato.
È un bacio dolce, sensuale, un incontro di desideri ormai svelati e di sentimenti racchiusi nel petto.

Proprio in questo preciso momento mi ricordo delle sue parole.
E delle mie.

Ieri sera ha detto quelle due parole, ma quando ho trovato finalmente la forza di rispondere, si era addormentato.
Non lo sa.

Non sa che lo amo.

Devo trovare il coraggio di affrontare la questione alla luce del sole.
Noah ondeggia i fianchi sopra di me, il suo cazzo struscia sul mio, la mia mano scende d’istinto ad avvolgerli entrambi. Sceglie questo istante per staccarsi.
Separa le nostre labbra, fa perno sul ginocchio e si sposta sul materasso, fino a trovare il bordo e alzarsi in piedi.

«Cristo» impreco, imponendomi un lungo respiro calmante.
Noah ridacchia. «Ne parliamo dopo la doccia».
«E se venissi a farla con te?»
«Fammi usare il bagno tipo cinque secondi. Faccio pipì, mi lavo i denti… ti chiamo, ok?»
Lo so che è normale volere un momento di privacy in bagno, ma non sono convinto che sia ciò che intenda. Non so niente quando si tratta di lui.
«Sicuro che ti va?»
Solleva un sopracciglio. «Stai scherzando? Certo che sì».
Mi devo far bastare la risposta e mandare al diavolo gli stupidi dubbi che non ho mai avuto in tutta la mia vita. Perché cominciano proprio adesso?

«Due minuti» ripete, poi si infila in bagno e chiude la porta.
Mi lascio cadere sdraiato sul letto, il volto rivolto al soffitto.
Devo dirglielo, non ho più scuse. Ieri sera l’ho fatto e non mi sono reso conto che stava dormendo, finché non ho controllato. Il che significa che sono pronto, che posso riuscirci.
Lo sento dentro di me. Perché è così tanto difficile tirarlo fuori?

In fondo, sono solo parole, ho già comunicato tutto con i gesti e credo che Noah lo abbia capito.
Quindi, è solo una conferma.

Respiro profondamente.
Quando mi chiamerà, mi alzerò da qui, lo raggiungerò in bagno, mi infilerò sotto la doccia con lui e poi lo guarderò negli occhi mentre l’acqua ci scorre addosso.
Gli dirò che lo amo.
Semplice, veloce, indolore.

Il suono di un telefono mi riscuote dalle riflessioni. Lancio un’occhiata verso il comodino dalla mia parte, ma non è la mia suoneria.
È una canzone dei Bring Me The Horizon, credo, quindi dev’essere il telefono di Noah.
«Knox?» sento chiamare al di là della porta.
«Sì?»
«Puoi vedere chi è, per favore? Se è mamma o papà, rispondi».
Mi alzo controvoglia e penso che dovrei quantomeno infilare i boxer per andare a prendere il cestino fuori dalla porta, ma questa massiccia erezione non mi renderà le cose comode.
Cerco il telefono di Noah e lo trovo sul tavolino.
Sono davanti al finestrone a vetri, nudo, ma per fortuna non c’è nessuno fuori. Tiro una parte della tenda mentre afferro il cellulare, poi sposto lo sguardo sullo schermo.

Mi sprofonda il cuore sotto gli altri organi.

Marc.

Perché cazzo lo chiama a quest’ora di domenica?
Resto con il pollice sospeso sul tasto di risposta, indeciso su cosa fare. Potrei accettare la chiamata e mandarlo a fanculo, chiedendogli spiegazioni
per questo buongiorno non richiesto.
Forse non ha capito che stiamo facendo sul serio.
Oppure, potrei rifiutare e parlarne semplicemente con Noah. Sarebbe la cosa più matura e sensata e prima che me ne renda conto, diventa la mia scelta, mentre gli squilli finiscono e il telefono resta nel palmo della mia mano.

Subito dopo, però, compare un messaggio.

MARC: Non hai risposto alla email. Volevo solo sapere…

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