NOAH
10 Febbraio
L’orologio segna le quattro in punto quando un taxi si ferma all’angolo della strada, a pochi metri dalla mia nuova casa.
Nonostante mi sia trasferito da ormai tre settimane, devo ancora abituarmi. Il quartiere nuovo, lo spazio molto più grande di quello a cui sono abituato, la solitudine in casa.
Vado a trovare i miei genitori un giorno sì e uno no, a volte anche due giorni di seguito, soprattutto per aiutare mia madre con la casa e per passare del tempo con papà.
Eppure, non è neanche lontanamente paragonabile alla sensazione di averli intorno a me per tutto il tempo.
Non sono sempre a casa perché vado in biblioteca a studiare, o all’università o in palestra, ma la mancanza dei soliti momenti familiari ha rappresentato per alcuni giorni un peso sul mio cuore.
Sono molto affezionato ai miei genitori, il cervello è talmente abituato alla vita con loro che mi sveglio agli stessi orari di sempre, come se dovessi ancora preparare la colazione alla mamma o
aiutare papà ad alzarsi, anche se adesso sono da solo.
Ero entusiasta del cambiamento e lo sono ancora, mi ci vuole solo più del previsto ad accettare che questa è la mia nuova vita, la vita da uomo adulto e indipendente.
L’unico tassello mancante è finire gli studi e trovare un lavoro, poi posso sentirmi soddisfatto.
Allaccio l’ultimo bottone della giacca per ripararmi dal vento e percorro il viale fino a raggiungere l’auto nera.
Marc sta aspettando in piedi, appoggiato allo sportello chiuso con le braccia incrociate.
Mi accoglie con un sorriso luminoso, almeno quanto questo pomeriggio assolato.
«Ciao».
«Ciao a te» ricambio con tono rilassato e informale.
Non ci vediamo da un mese e mezzo, circa.
Dopo le vacanze di Natale, Marc è stato molto occupato con il lavoro alla Moreau TS, poi ha studiato sodo per arrivare preparato all’esame di ieri, il test finale del suo master universitario.
Il fatto che non ci siamo frequentati non vuol dire che non si sia fatto sentire costantemente.
Mi ha chiesto spesso come stavo, abbiamo chattato quasi ogni giorno e addirittura qualche sera ho ricevuto sue telefonate. I messaggi sono sempre stati a doppio senso, ma le chiamate sono partite da lui, perché la mia mente introversa mi ha sempre trattenuto dal disturbarlo.
In effetti, pensavo che ieri mi avesse chiamato per riferirmi il risultato dell’esame, invece, oltre a quello, mi ha chiesto di vederci per un secondo appuntamento.
Se l’invito fosse arrivato subito dopo il primo probabilmente ci avrei pensato un po’ su, ma per via della corrispondenza telefonica, mi è venuta voglia di vederlo.
Appena ci accomodiamo sui sedili posteriori del taxi, Marc chiede all’autista di portarci in aeroporto.Mi volto di scatto con gli occhi sgranati.
«In aeroporto?».
Marc sfoggia un sorrisetto furbo mentre apre i bottoni del cappotto, mostrando il solito completo impeccabile, grigio scuro su camicia bianca e cravatta bordeaux.
Quest’uomo è davvero sexy.
Sembra un attore di Hollywood.
Fisicamente non è grosso come me, però i completi che sceglie gli stanno a pennello, mettono in risalto le gambe lunghe e i fianchi stretti. Il centro magnetico di Marc, però, è il viso.
Oltre alla pelle dorata e agli occhi scuri, è così a suo agio con sé stesso che anche quando non mostra il sorriso agli altri, ha un espressione sicura e rilassata.
Lo frequento da poco, però non l’ho
mai visto in tensione.Un po’ lo invidio, un po’ mi chiedo se sia finzione oppure una capacità innata di non farsi scalfire da niente e nessuno.
Se Aiden ha uno sguardo che potrebbe incenerire il mondo ai suoi piedi, Marc guarda tutto come se non guardasse affatto, come se la sua mente costituisse un mondo a parte e lui ci vivesse benissimo dentro, senza preoccuparsi del resto.
«Ho qualcosa che non va?» chiede, facendomi ridestare di colpo.
«No, no. Perché?».
«Hai fatto una domanda, ho risposto, ma non hai reagito».
«Scusa, ero distratto. Cosa dicevi?». Caspita, sono proprio un idiota.
Tanto vale ammettere che mi ero incantato davanti al suo fascino e consegnargli una mazza per distruggere la mia dignità.
«Dicevo che ho prenotato in un ristorantino carino, per cena».
Passa le dita tra i capelli acconciati nel solito codino elegante, come se non fossero già perfetti.
«In aeroporto?».
«No, a Londra».
Credo mi sia caduta la mascella. «Cosa?».
L’auto si arresta di colpo e mi giro per capire cosa sia successo. Appurato che si tratta di un semaforo rosso, torno su Marc in una frazione di secondo.
«In che senso a Londra?»
Ridacchia. «Nel senso di Londra. Sai, Buckingam Palace, il Big Ben, il Tamigi».
«Non dici sul serio».
«Lo scopriremo tra una mezz'ora, suppongo».
I miei occhi volano oltre il finestrino mentre la macchina riparte, la mente registra le strade che stiamo percorrendo, i quartieri che superiamo. Sì, credo che siamo in direzione dell’aeroporto.
Marc non sta scherzando.
«Mi hai invitato a cena. Non ho accettato un weekend fuori, non ho portato niente».
Marc cambia posizione, mostrandosi più rilassato e spostando un braccio sopra allo schienale. Le sue dita mi sfiorano il collo, provocandomi un brivido.
«Calmo, principino. Torneremo a tarda notte».
«Hai preso due biglietti andata e ritorno solo per cenare in un ristorante a Londra?».
Mentre formulo la domanda mi viene in mente un’altra cosa. «Aspetta, hai detto che partiamo tra mezz’ora? E come facciamo con i controlli di sicurezza e i check-in?».
Marc mi lancia un’occhiata così calda che l’abitacolo appare d’un tratto troppo soffocante. Lo guardo mordersi il labbro, il gesto provocatorio non migliora la mia situazione.
«Mi piace quando ti agiti».
«A me no».
Ride, mi fa l’occhiolino. «Sarei tentato di non dirti niente, però non voglio che tu vada nel panico. Quindi, puoi stare tranquillo. Non abbiamo controlli, né check-in. Mi sono bastati i tuoi dati».
«E con che cosa andiamo a Londra? In bicicletta?».
«Jet privato».
Quasi sputo un polmone.
«COSA?».
L’auto si ferma di nuovo e l’autista ne approfitta per bussare sul separé scuro che ci divide da lui.
«Signori, tutto bene?».
Credo di aver urlato, è comprensibile che si sia allarmato.
Marc toglie il braccio dal poggiatesta e
con le dita sfiora il mio cappotto ancora chiuso. Tira la stoffa, slacciando un paio di bottoni, poi alza lo sguardo fino a incontrare il mio.
«Sì, è tutto ok. Il ragazzo mi ha solo spinto a rovinargli la sorpresa».
Non aspetto che il tassista risponda, ho bisogno di chiedergli tutto quello che mi viene in mente, per capire se ho sentito bene, se ho compreso bene, se so quello che sto facendo.
«Hai un jet privato?».
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CRAZY FOR YOU
عاطفية🏳️🌈Romance MM - Spin-Off di Fall For Me🏳️🌈 ✨Per Knox, Noah é il migliore amico di suo fratello. Più piccolo di lui, grandi occhi azzurri e un sorriso vulnerabile, che ha sempre avuto l'istinto di proteggere. Ma Noah é stato innamorato di suo...