Giorno
Stavo sistemando i libri di cucina nel reparto Hobby e tentavo in tutti i modi di tenere lontano dalla mia testa il ricordo paradossale di quel sogno, senza riuscirci: mi sembrava di stare vivendo un romanzo a puntate. Qual è il senso di tutto ciò? pensavo mentre cercavo di fare posto ai nuovi arrivi sugli scaffali.
Non mi era mai capitato di vivere un sogno spezzettato. Normalmente, l'interpretazione di un sogno è qualcosa di unico, situazionale, che non impone delle implicazioni future di lunga durata; qui, invece era come se qualcuno − o qualcosa − ci tenesse a trasmettermi un messaggio tenendomi però in sospeso, mostrandomi il percorso, ma senza fornirmi alcun indizio o consiglio. Avevo la netta sensazione che la fatica l'avrei dovuta fare tutta io.
La sensazione di oppressione causata dalla spirale di inchiostro mi provocò al risveglio un attacco tachicardico, ma nonostante questo, riuscii a spostare i miei pensieri sulla scena in spiaggia, il che mi tranquillizzò un po'. L'approdo in quel luogo puro e incontaminato fu per me un vero e proprio conforto, l'unico motivo per cui potevo permettermi di ricordare quel sogno come un'esperienza positiva.
Mi fermai dal sistemare i manuali di cucina sugli scaffali con uno dei libri in mano a mezz'aria. Osservai con sguardo perso le mie dita, quei piccoli prolungamenti sottili del mio corpo che stringevano in maniera decisa un volume sulla cucina tipica italiana; le stesse dita che la notte precedente avevano tastato la consistenza evanescente dei granelli di sabbia e la loro superficie poetica, gli avvallamenti e le curve morbide che le vene costruivano sottopelle lungo tutto il dorso della mano.
Pensai alla grande fortuna che hanno gli uomini, esseri a cui sono stati donati cinque sensi, affinché cogliessero in modo preciso ogni aspetto della congerie di esperienze concrete dell'esistenza, senza che nessuno si fosse reso conto che potevano essere usati anche come strumenti efficaci per scovare la poesia nelle cose del mondo. In quel momento, mi accorsi per la prima volta che all'uomo non serviva progettare grandi invenzioni tecnologiche per sentirsi ricercatore della poesia o scopritore del mondo, ma che gli sarebbe bastato semplicemente fare ricorso a ciò che usava normalmente per addentare una mela o osservare un quadro o ascoltare una canzone. Le potenzialità di quell'involucro di carne e ossa in cui anche io ero ingabbiato, mi sembravano, mai come quel momento, impossibili da limitare.
Respirai a pieni polmoni, e poco dopo mi ridestai. Misi a posto il volume sulla cucina italiana, mentre nel frattempo il fiume delle domande senza risposta tornò a scorrere dentro di me e sono sicuro che avrebbe avuto la meglio se non fosse stato per l'arrivo di C.
C. veniva da Roma, era una signora sulla sessantina, tarchiata, bionda col caschetto e una coppia di occhi verde mare. Veniva da decenni in vacanza in zona ed era cliente abituale di un bar nei dintorni che frequentavo anche io; per cui, avevo imparato a conoscere la disinvoltura con la quale dialogava, la sua naturale estroversione e limpidezza negli atteggiamenti, che spesso la facevano apparire come antipatica, ma soprattutto l'acutezza e la rapidità con cui sembrava organizzare ogni sua più piccola azione.
Anche l'andatura con cui entrò in libreria fu coerente col suo modo di essere: spalancò la porta con un gigantesco sorriso e un potente − Buongiorno! −, mentre io, inginocchiato e di spalle, mi voltai repentinamente, preso dallo spavento.
− Salve signora, buongiorno. Aspetti un minuto che finisco di mettere a posto questi libri e arrivo da lei.
− Stai tranquillo, fai quello che devi fare, io intanto do un'occhiata che c'è un sacco di roba bella qua da vedere.
La sua era una voce squillante, mi dava l'idea di una professoressa e si notava molto velocemente il suo accento marcatamente romanesco.
Impiegai qualche minuto in più nel terminare la sistemazione dei manuali, perché quelli di cucina erano i libri più voluminosi che arrivavano in negozio; per la pubblicazione, inoltre, richiedevano pagine più spesse e non della stessa carta dei romanzi, affinché la qualità delle foto scattate ai piatti e agli ingredienti venisse resa al meglio. Ammetto che su quei volumi veniva eseguito il lavoro di marketing migliore di sempre: i colori sgargianti, le foto voluminose, gli ingredienti così ricchi e il modo in cui venivano organizzate le ricette rendevano il tutto estremamente invitante all'acquisto, anche se, per l'appunto, erano i più fastidiosi da sistemare.
Fortunatamente C. mi risparmiò la fatica di ritirarli fuori tutti, perché non cercava libri di cucina. Mi alzai e tornai al bancone della cassa.
− Hai qualcosa da consigliarmi? − mi chiese mentre girava dubbiosa attorno al tavolo delle novità.
− Non so signora, dipende cosa le interesserebbe leggere, il suo genere preferito.
C. fece un gesto ampio con la mano.
− Mah, non credo di averne uno. Io leggo un po' tutto quello che capita. Mi faccio abbastanza trasportare, anche perché di tempo per leggere ne ho poco e quindi approfitto dei tragitti in metropolitana per andare al lavoro.
Sorrisi.
− Dall'accento suppongo si tratti della metropolitana di Roma, o sbaglio? − chiesi.
Ricambiò al sorriso e mi indicò con un dito.
− Non sbagli, non sbagli caro. Comunque, se proprio vuoi un'indicazione, che siano storie non troppo lunghe, non so, qualcosa con capitoli brevi.
Sapevo che per restare al passo con la velocità mentale e psicologica di C. dovevo pensare in fretta ad una risposta, un po' anche per mettermi alla prova; d'altronde, non tutti i clienti erano uguali − per fortuna! − e più mi cimentavo nell'avvicinarmi al loro mondo, più ne coglievo sfaccettature diverse.
Un titolo si illuminò nella mia mente come un faro nella nebbia.
− L'inverno bianco delle rose, − le dissi.
Socchiuse gli occhi e pensò. − Non lo conosco, di cosa parla?
− È un romanzo di racconti, lo trova proprio qui dietro di lei, nel bancone delle novità.
Prese gli occhiali da lettura dalla borsa e si avvicinò al libro che le avevo indicato. Lo prese in mano e ne osservò accuratamente la copertina: in un paesaggio nevoso e dall'aria rarefatta, in primo piano una rosa rossa resisteva al peso passivo e costante dei fiocchi cadenti. Il tutto sembrava immerso in una pace ovattata, quasi innaturale.
− Che tipo di racconti sono? − mi chiese C.
− Una serie di storie incastonate una dopo l'altra con lo scopo di ricostruire, se possibile, la forma della felicità. Ha detto di avere poco tempo per la lettura, giusto?
− Sì.
− Ecco, questo libro, così come gli altri dello stesso autor, è organizzato in capitoli brevi perché le sue sono come delle istantanee di incontri e gli incontri nascono spesso da un rapporto fatto di istinti e che dura un istante. Qui nello specifico le storie sono di donne e del loro rapporto con il coraggio. Se invece non le convince, guardi anche questo − e le andai a prendere il romanzo precedente di quello stesso autore.
C. lesse. − L'attimo del ritorno... e qui? Che differenza c'è?
− Le rispondo con una domanda. Quanti treni ha preso nella sua vita?
− Beh, caro mio, parecchi. Sono di Roma, ma ho vissuto tanti anni a Milano e sono una che non sa mai stare ferma, credo si noti.
Sorrisi e annuii con eloquenza.
– Ecco, gli incontri di questo libro avvengono su un binario e sono quelli che, personalmente, mi affascinano di più. Ha detto che lei legge in metropolitana no? Beh, lei stessa, leggendo questo libro potrebbe riscoprirsi personaggio di uno dei racconti e...
Non riuscii a terminare il discorso.
– Va bene, mi hai convinto, prendo questo, − rispose repentinamente C.
− Devo dire che è rapida anche nelle scelte, oltre che nel muoversi e nel parlare, − le dissi, mentre ci dirigevamo entrambi verso la cassa.
Lei sorrise.
– Beh, si caro, mi faccio convincere facilmente se vedo davanti a me una persona persuasiva. Sulla scelta dei libri poi, sono molto influenzabile.
− Ha una bella visione delle cose, se posso permettermi, − dissi mentre sparavo il codice a barre del libro. – Si fida molto delle persone: ad oggi, lo sa meglio di me, è difficile anche solo pronunciarla la parola fiducia.
− Sì, caro mio, ma non pensare sia tutto così facile. A volte si parte con l'idea che la fiducia reciproca fra le persone sia la chiave per convivere onestamente fra tutti, ma chissà perché, alla fine c'è sempre qualcuno che tenta di trovare la scorciatoia bastarda, − e nel frattempo mi porse una banconota da venti euro.
− Allora per lei qual è la chiave? Un signore poco tempo fa mi ha detto che per lui è leggere. La lettura potrebbe salvare il mondo, diceva.
− Potrei essere d'accordo con lui, ma secondo me più che leggere, vale ascoltare. Se non ascolti ciò che il mondo attorno a te vuole dirti, puoi tentare tutte le soluzioni che vuoi, ma finirebbero con l'isolarti. Anche un libro va ascoltato, per leggerlo basta che tu conosca la lingua. E non è vero che per ascoltare bastano le orecchie, quelle sentono, non ascoltano.
− Cosa serve per ascoltare, quindi?
− Serve quello che stai usando tu ora con me. Serve cuore.
Arrossii.
– La ringrazio, ma non merito queste parole. Sono solo curioso: vedo davanti a me persone che in qualche modo avranno costruito, attraverso l'esperienza, un pensiero sulla vita e sul mondo e mi piacerebbe conoscerlo, tutto qua.
− La curiosità è cuore. Tante volte in metropolitana mi siedo e do ascolto a quello che succede attorno a me: ad esempio tento di scoprire dalla musica altissima delle cuffie quale canzone sta ascoltando il ragazzo seduto di fianco a me e provo a immaginare che tipo di persona possa essere, oppure tendo l'orecchio alle telefonate di qualcuno, controverse e che nascondono degli elementi non detti che mi piace inventare... –
Si accorse che stavo sorridendo e subito capì.
– Sì, è vero, potrei apparire come una stalker e dovrei farmi gli affari miei, ma non riesco a a farne a meno. È come costruire un mondo parallelo attorno a quello che scorre normalmente di fianco a me. È un procedimento che mi nasce spontaneo. Tu che lavori in mezzo ai libri dovresti capirmi bene.
− Verissimo, altrimenti non le avrei fatto queste domande. In ogni caso, se queste sono le premesse, questo libro fa esattamente al caso suo.
Lo indicò mentre lo infilavo nella busta e le davo lo scontrino.
− In questo libro i personaggi provano fiducia? − mi chiese curiosa.
− Sì. È anche grazie a queste storie se mi sono accorto che il vantaggio di vendere libri sta proprio nello scoprire la loro sincerità. Non c'è nulla di più sincero di un racconto che ha il desiderio di dirti qualcosa. Anche quello che sembra più oscuro, esplicito, riluttante, ha un'origine sincera. E poi, come in questo caso, quando l'ambientazione del libro è il binario di una stazione, tutto diventa più magico.
− Stai parlando in tono romantico, come mai? Mi fai credere che tu non sia poi così lontano dal mio essere stalker... − e mi fece l'occhiolino.
Sorrisi.
− Diciamo che non mi discosto troppo da quel modo di essere, è vero, ma perché mi viene spontaneo pensare alla stazione, alla metro o ad un qualsiasi mezzo di trasporto come un'occasione pura di incontri. Cosa c'è di più appagante di costruire incontri?
− E tu che incontri hai avuto? Tutti positivi?
− La maggior parte sì, ma la bellezza non sta sempre nelle cose giuste. Comunque, ho avuto modo di visitare diverse stazioni e binari da cui partivano treni diretti in tutto il paese e mi è sempre sembrato di far parte di un racconto di questo tipo. Sui binari si assiste all'abbandono, al ritrovo, ai pianti e agli abbracci che durano un'eternità; ogni singola mattonella racchiude il senso di un bacio o di una lacrima. Nell'esatto punto in cui il filo che lega due persone si spezza o si ricongiunge, è come se si creasse un gomitolo di poesia invisibile, ma che resterà lì per sempre.
C. mi guardò esterrefatta.
− Sei molto poetico quando parli. Non è semplice starti dietro, ma riesci a far arrivare la percezione di quello che dici e credo che questo basti.
Emozionato, allargai le braccia e indicai l'intera libreria.
− È merito loro signora. Se mi hanno insegnato qualcosa, è che in tutto ciò che ci circonda c'è della poesia; va solo trovata, ascoltata e magari tirata fuori.
− Ti faccio un'ultima domanda caro, perché ora sono io quella curiosa, − disse mentre prendeva in mano la busta con il libro.
− Sono tutto orecchi.
− Tu ti fidi di te stesso?
Allargai gli occhi e feci un profondo sospiro, poi sorrisi.
− Guardi, non so se ha altre tre ore per ascoltare la risposta.
Scoppiò a ridere, ma poi continuai.
− Comunque, non saprei dirglielo. Ultimamente, il me dei sogni mi sta giocando degli scherzetti non da poco. È una sensazione difficile da spiegare a parole; se fossi un pittore in questo momento le dipingerei il segno dell'infinito con le due estremità chiuse a chiocciola, una colorata di marrone e l'altra di azzurro, come se fosse un'onda che si discosta dalla terraferma.
− Wow, è un'immagine molto suggestiva. L'hai pensata istintivamente?
− Sì, è una descrizione approssimativa del me attuale. Mi sento di dover andare oltre la terraferma, ma non so dove e allo stesso tempo so che prima o poi tornerò indietro, perché mi servirà un appoggio. Moltiplichi questa sensazione per molto tempo e capirà la scelta del simbolo.
C. si sistemò la borsa che aveva sulla spalla, senza dirmi niente si avvicinò alla porta d'ingresso, poi si voltò verso di me.
− Caro mio, so io come si chiama questa cosa. Giovinezza.
Aprì la porta, mi salutò con la mano e se ne andò col suo passo tamburellante, senza aspettare una mia risposta.
C. era stata in grado di mostrarmi concretamente il suo concetto di dinamicità, senza darmi punti di riferimento. La sua era una velocità intima, di coscienza, che C. utilizzava come strumento per condurre ogni azione della sua vita, dalla più semplice alla più complessa. Il suo dinamismo era una vera e propria condizione umana, non un insieme di tensioni di una persona in preda all'ansia. Quella donna era stata in grado di costruire un sistema di valori e progetti tutti fondati su questo principio. Aveva voluto trasferirmi gratuitamente e senza secondi fini il suo senso della vita, ironico e inarrestabile. La curiosità è cuore mi aveva detto, indirizzandomi su una strada che nei libri percorrevo quasi inconsapevolmente da sempre, ma che nel mondo esterno si presentava impervia e maltrattata, quella dell'ascolto.
Nei giorni successivi mi capitò di ripensare a C. mentre sale su una metropolitana e ascolta il rumore delle vite attorno a lei che crescono come frutti succosi, impegnata a districare la sua curiosità fra gli incontri di un libro.
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Un vento di distanza
General FictionSimone è un libraio di trent'anni, ama il suo lavoro, ma si guarda allo specchio consapevole che l'equilibrio raggiunto dalla sua solitudine avrebbe bisogno di una rivoluzione. Qualche anno dopo aver pubblicato una raccolta di poesie, spinto dal des...