OTTO

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Giorno

Passò qualche giorno dall'incontro con il bimbo e nel frattempo la libreria aveva raggiunto un inaspettato riscontro sulla clientela, con la conseguente mia soddisfazione di poter ottenere guadagni più che sufficienti per il periodo primaverile, in cui tradizionalmente mi trovavo meno sotto pressione rispetto ai tre mesi estivi.
Avevo preso l'abitudine di portare in negozio con me il quaderno delle poesie: lo lasciavo nel cassetto sotto al bancone della cassa, nella speranza che da un momento all'altro avrebbe potuto mostrarmi qualcosa di nuovo. Cominciavo a provare verso quell'oggetto un timore reverenziale che cresceva sempre di più.
Era già da un po' di tempo che, non sapendo bene cosa leggere, mi ero abituato a prelevare qualche libro dagli scaffali: ne consultavo la trama ed eventualmente, se mi piaceva, lo leggevo, per poi rimetterlo al proprio posto. Quando organizzavo gli ordini da spedire agli editori, inoltre, cercavo sempre di scegliere qualcosa che, in primis, avrei acquistato io da lettore e che presentasse, anche in forma implicita, un qualche nucleo di poesia. Ad esempio, avevo preso la decisione di dedicare metà dello scaffale contenente i libri dell'editore Feltrinelli ai romanzi di Bukowski. In particolare, la scelta del poeta statunitense era nata da una scommessa che avevo fatto verso me stesso qualche anno prima, cioè quella di riuscire a scovare delle piccole entità poetiche anche nelle forme più esplicite di narrativa.
Non solo Bukowski mi fece vincere la scommessa con ampio margine, ma conoscendolo meglio mi resi conto che nessuno meglio di lui era riuscito a stritolare come uno straccio bagnato ogni tradizionale convinzione sulla censura narrativa, andando a rivoluzionare lo stesso significato di poesia.
Come per molti estremismi, anche in letteratura si assiste spesso alla separazione netta del pubblico in chi ama e chi odia: Bukowski era amato e odiato allo stesso tempo in modo molto energico, perché suscitava clamore ed enfasi; per questo motivo lo scelsi come uno dei compagni più illustri della mia avventura in libreria.
Volevo, infatti, che chi entrasse si sentisse sfidato dai libri, che non si concentrasse esclusivamente sul classico romanzo commerciale da acquistare, ma che si ponesse delle domande nuove, dei dubbi irrisolti, che potesse cambiare idea su un autore approcciandolo per la prima volta: insomma, volevo che chi entrasse nella mia libreria si sentisse vivo.

R. varcò la porta del negozio consapevole di queste premesse.
Era una signora sulla cinquantina, bassa e in carne, capelli rossi a caschetto e occhi verdi che avevano subìto da poco il trapasso delle rughe. Raggiunse rapidamente il bancone davanti a me con un'andatura spedita, che nascondeva un desiderio ben chiaro e specifico.
− Ciao, senti per caso hai dei libri sull'essere figlio unico?
Osservando la sua corporatura, ammetto che mi sarei aspettato un timbro più possente; invece, la sua voce era molto dolce. In ogni caso, la domanda mi prese alla sprovvista. Corrugai la fronte per riflettere, poi mi voltai per dare una rapida occhiata al reparto della saggistica e dei manuali più settoriali, come i libri di psicologia, cucina, cultura orientale ed esoterismo.
− È una strana richiesta la sua, non credo di avere qualcosa di così specifico, − risposi desolato, poi aggiunsi: – Se non sono indiscreto, posso chiederle come mai ricerca un argomento del genere?
La signora si grattò la testa un po' delusa, ma poi sospirò e sorrise.
− Sì, scusami, immaginavo fosse una richiesta un po' strana. Vedi, il fatto è che mi sono stancata di sentirmi dire che tutti i problemi di mio figlio derivano dal fatto che è figlio unico, quindi viziato. E se io non ho potuto avere altri figli? Cosa ne sa la gente?
Fu come un breve flusso di coscienza, uno sfogo per qualcosa che probabilmente le faceva tuttora ancora molto male.
Le sorrisi comprensivo.
− Sono le classiche frasi nate dai pregiudizi. Molte volte si tratta di idee sentite e risentite milioni di volte, che ormai vengono date quasi per vere.
− Sì, ma poi uno dovrebbe concentrarsi prima di tutto a realizzare la propria di vita, prima di sparare sentenze su quelle degli altri. Io economicamente non riuscivo a mantenere altri figli e questo nessuno lo sa, perché fa parte del mio privato. Perché dovrei sentirmi dire che ho viziato mio figlio? Anche se fosse, l'educazione non dipende da questo.
− E lei cosa risponde in questi casi?
Allargò le braccia.
− Che dovrebbero farsi gli affari loro, invece di pensare alla mia famiglia. Io poi sono una persona sensibile, sto male facilmente se mi viene detto qualcosa di brutto.
− Anche io, sa? Però non credo sia per forza una cosa negativa, evidentemente riusciamo a dare più valore alle cose e alle persone e speriamo che chi scopre la nostra sensibilità la apprezzi, invece che distruggerla.
− È una bell'immagine la tua, ma a volte lo trovo molto svantaggioso essere così: trasforma dei momenti in cui potrei sentirmi spensierata in qualcosa che quasi rifiuto di ricordare.
− Si è mai chiesta da cosa deriva in lei tutto ciò?
− Credo riguardi il mio passato, − rispose dopo averci riflettuto un po'. − Alla fine, se ci pensi siamo come delle torte: per tenere al sicuro lo strato centrale, quello soffice e fragile, che è anche il più gustoso, c'è bisogno di una base rigida e di una glassa decorativa che non viene schiacciata da altri strati. Esiteranno sempre situazioni che ci renderanno fragili, ma se sono racchiuse in degli strati resistenti, allora possono essere affrontate e assumono un senso. Se la base della torta non è stabile, crolla tutto il resto, ecco.
− Stavolta l'ha usata lei l'immagine perfetta, − risposi ammiccando.
Rise di gusto.
− E lei, quindi, crede che la sua "base di biscotto" non sia così solida da sorreggere le sue fragilità?
Fece di no con la testa.
− Su di me le frasi cattive durano di più, è come se avessero un potere più lungo. Da piccola non ho mai avuto modo di costruire un carattere forte, complice soprattutto la mancanza di aiuto dei miei genitori. La mia vera mamma è stata mia zia e ringrazio che sia andata così, perché se no non sarei diventata la mamma fiera che sono oggi; però, per una bambina avere un'idea confusa di "mamma" non aiuta di certo, ecco.
− E suo figlio invece? Mi sembra che una mamma forte l'abbia avuta, invece.
R. sorrise; notai solo in quel momento che i suoi occhi cominciavano a lucidarsi con dolcezza, immersi in un miscuglio di orgoglio e sollievo, come se si fosse finalmente liberata di un peso.
− Sì, mio figlio non lo cambierei con niente al mondo, è qualcosa di perfetto. Ha trent'anni e vive da solo, ma ogni volta che viene a trovare me e suo padre chiede il permesso anche solo per aprire il frigorifero, pure se quella è stata casa sua per anni. Ha fatto tante esperienze in giro per il mondo, ma sente sempre il desiderio di tornare dai suoi genitori quando può, − sospirò e fece un ampio gesto con la mano, poi continuò: – Mi chiede il permesso di fare qualsiasi cosa come un estraneo, ma quando mi abbraccia è capace di far scomparire in me tutte le sensazioni negative che mi porto dietro dall'infanzia. Può sembrare che io me ne vanti, ma non ci posso fare niente, è mio figlio e il contatto con lui mi fa sentire al sicuro da tutto.
Il racconto di R. stava per far emozionare anche me.
− Non è strano signora, è ciò che lega una madre ad un figlio. Gli ha mai chiesto il perché sia così premuroso nel chiedere di fare qualcosa?
− Sì, lo prendo spesso anche in giro, perché a volte esagera con le formalità. Lui mi risponde che lo fa perché vuole rispettare gli spazi miei e di suo padre, che lui si sente dipendente da me solo per l'affetto e che per tutto il resto ci vuole far vedere che è grande... – Rifletté un secondo e poi concluse: − Come può un abbraccio essere visto come un vizio? Mi si deve fare una colpa se ho tentato di insegnargli l'affetto piuttosto che la furbizia?
R. aveva la voce strozzata in gola, abbassò lo sguardo e tirò su col naso. − Vedi, te lo dicevo che piango facilmente, − disse poi in tutta onestà.
Provai tenerezza.
− Signora, non si deve preoccupare, il suo racconto è stato molto emozionante anche per me. Probabilmente suo figlio ha compreso realmente cosa significa amare una persona. Ora però, venga con me che le mostro qualcosa.
Presi il pacchetto di fazzoletti che avevo in tasca e gliene porsi uno, poi superai il bancone e la condussi verso lo scaffale che avevo guardato poco prima.
− Purtroppo, non ho romanzi o manuali su un tema così specifico, ma qui nella sezione Psicologia magari può trovare qualcosa che potrebbe interessarle.
Gliene tirai fuori alcuni: Manuale di amor proprio, Segnaletica dell'emozione, Guida all'iniziazione di giovani cuori e altri. Con gli occhi ancora arrossati, R. non mi parve convinta di nessuno di essi già dal momento in cui li prese in mano: dallo sguardo traspariva un'insicurezza nei confronti di quei titoli così espliciti e diretti, i quali mettevano volontariamente e in modo immediato il lettore di fronte alle proprie paure, con lo scopo di aiutarli a trovare delle soluzioni.
La sua non era una reazione così rara: spesso ha più effetto un titolo misterioso, se non apparentemente innocuo, che poi nella lettura ti stravolge da dentro, piuttosto che un incipit così sentenzioso, spesso percepito come pericoloso.
A quel punto ebbi un'illuminazione.
− Aspetti un secondo che ho trovato il libro giusto per lei.
Scansionai uno ad uno i libri nello scaffale a sinistra, alla ricerca di una costa azzurra, finché non lo trovai.
− Eccolo, − e tirai fuori con enfasi un libricino di non più di duecento pagine, la cui copertina raffigurava una farfalla che si appoggia dolcemente sul dorso di una mano.
Gli occhi di R. si illuminarono.
− La sensibilità ha l'aroma del caffè. Piccola raccolta di storie per riassaporare il gusto di un'emozione − lesse rapita, poi deglutì e aggiunse: – Non ci posso credere, sembra il titolo fatto apposta per me.
− È impossibile ricordarsi i titoli di tutti i libri che conservo qui dentro purtroppo, per questo motivo ci ho pensato in un secondo momento. Qui dentro sono convinto che potrebbe trovare le sue risposte.
R. teneva in mano quel libro come fosse un tesoro ritrovato sul fondo dell'oceano e non smetteva di guardarmi.
− Posso farti una domanda? − mi chiese poi.
− Tutto quello che vuole.
− Però voglio che tu mi dia la risposta più sincera e istintiva che puoi, come solo le persone sensibili sanno fare.
− Lo farò.
− Cos'è per te l'amore?
Ammetto di non essermi aspettato una domanda del genere; in realtà, ero convinto volesse chiedermi qualcosa sul contenuto del libro o se ne avessi altri dello stesso genere. Prima di R. nessuno si era preoccupato di avere un parere così diretto da me.
Forse la sua sensibilità si spiegava proprio in questo modo.
In quegli attimi che trascorsero dopo la sua domanda, riflettei sul fatto che la maggior parte degli esseri umani passa la propria vita facendo delle esperienze – o cercando di farne − che riguardano principalmente la scoperta dei sentimenti, della propria autostima, di un posto nel mondo dove potersi sentire vivi e utili; eppure, è improbabile che anche solo una di quelle avventure vissute permetta di ottenere una risposta certa e inconfutabile a domande come quella.
Non si chiede mai "Che cos'è l'amore?", ma "Che cos'è per te l'amore?", perché il grado di soggettività intrinseco di alcuni concetti li rende inafferrabili per le regole che governano la quotidianità del mondo e crea solo disorientamento, come stava accadendo a me in quel momento.
− Potrebbe valere cento milioni questa domanda, lo sa vero?
R. rise e annuì. − Sì, certo, lo so bene. Per questo motivo te l'ho chiesto: io non so rispondere in modo chiaro, ma credo che la storia mia e di mio figlio abbia un valore simile a quello di una risposta. Tu?
Lì in piedi nella mia libreria, nell'unico luogo al mondo dove potevo affermare di sentirmi al sicuro da ogni pericolo, ero stato messo per la prima volta all'angolo.
− Le risponderò facendo uso dell'unico strumento che sono in grado di maneggiare con sicurezza nella mia vita. Qualche anno fa ho avuto la fortuna di pubblicare un libricino di poesie: è stato un lavoro lungo e inizialmente molto grezzo, perché ho dovuto fare una scrematura netta di molti componimenti, i quali magari nascondevano una scintilla lontana di senso poetico, ma che avevo scritto da molto piccolo e rappresentavano solo il mio trampolino di lancio, il mio banco di prova. Fu un taglio difficile da fare, perché quando costruisci qualcosa di tuo vorresti che venisse ascoltato dal mondo intero, senza sottostare a censure di nessun tipo, come quando sei innamorato e vorresti che tutti lo sapessero. Sta di fatto che quando ho avuto fra le mani la prima copia del libro, non potevo credere che sulla copertina ci fossero scritti il mio nome e cognome. La fitta che mi percosse il corpo fu la sensazione più vicina all'amore mai provata. Il titolo della mia raccolta è Se fiorisse la tempesta e nonostante non contenga delle poesie d'amore, credo che esso sia il motore che di nascosto regola tutto il processo: l'amore fiorisce di solito come un fiore, ma lo fa con la forza di una tempesta, di cui non si possono conoscere le conseguenze. − Allargai le braccia e conclusi: – Non credo di poterlo spiegare meglio di così.
R. mi stava guardando rapita in silenzio, e questo mi fece arrossire.
− Oh, scusa se ti ho messo in imbarazzo, non era mia intenzione. Ecco vedi, volevo per un attimo non sentirmi l'unico essere umano che sente le cose in questo modo. Anche io provo una fitta al cuore quando mio figlio va via di casa e spero sempre che torni il prima possibile. Forse è tutta qui la magia.
Io la guardai e annuii.
− D'altronde, le persone sensibili hanno una marcia in più, no? La sua marcia evidentemente nasce da una fitta.
La riaccompagnai alla cassa, le feci uno sconto e aggiunsi nella busta anche una rivista di consigli di lettura. Quando R. si avvicinò alla porta per uscire, sembrava non volerlo fare; io la guardavo di spalle, immobile sull'uscio, finché non si voltò.
− Ti ringrazio tanto. Come ti chiami?
− Simone.
− Grazie Simone. Spero che la tua tempesta non si fermi mai.
E uscì.

Mi è capitato di ripensare ad R.: se avesse finito di leggere il libro, se le fosse piaciuto e se si fossero scatenate altre tempeste dentro di lei. A volte ripensavo anche a suo figlio, figura che, pur non avendola mai conosciuta, mi aveva mostrato un chiaro e coerente teorema sull'amore.
È questo il potere degli incontri: le persone possono trasmettere qualcosa anche senza averle mai viste. Incontrare qualcuno non vuol dire poterlo vedere o toccare, ma riuscire a percepirne, anche a chilometri di distanza, la potenza del suo essere.

Un vento di distanza Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora