Giorno
Mi svegliai di soprassalto e corsi verso il quaderno delle poesie; lo aprii di fretta e con il battito cardiaco accelerato, già sicuro di che cosa avrei trovato. L'impeto mi fece scordare dell'ansia che aveva cominciato di recente ad assalirmi quando guardavo la copertina del quaderno e che mi bloccava dall'aprirlo.
Nella pagina in cui avevo scritto L'acrobata, come immaginavo, campeggiava in alto a destra il disegno a forma di stella. La consapevolezza che avevo avuto prima di giungere a quella pagina si trasformò in angoscia.
Cosa mi sta succedendo? pensai.
Per ben due volte le mie poesie mi erano apparse in sogno in una forma molto concreta, come se spingessero per diventare qualcos'altro, per dirmi e mostrarmi qualcosa di più.
In preda ai brividi, presi una copia originale del libro pubblicato qualche anno prima, pensando di poter trovare qualche indizio in più, ma le pagine erano incorrotte. Venivo costantemente rispedito al quaderno delle bozze, quello originario da cui tutto aveva avuto inizio, lo stesso che in quel momento mi fissava inconsapevole e che richiusi tremante nel cassetto, deciso, questa volta, a non volerlo riaprire mai più.
Completai la routine mattiniera come un robot che agisce senza una volontà propria: durante la colazione bevvi la mia solita tazza di latte con gli occhi persi in un altro mondo, rigidi e impossibili da ammorbidire; in bagno, fissai lo specchio intensamente per guardare il mio volto informe e senza espressione. Tastai un paio di volte le guance come per avere la conferma che si trattasse ancora di carne umana e non di un pezzo di carcassa animale marcita dal tempo.
Compii il percorso da casa al negozio in modo meccanico, come se tutte le energie del mio organismo in quel momento fossero focalizzate ad attivare i pensieri del cervello, abbandonando il corpo a dei movimenti basilari e automatici.
L'angoscia per quel risveglio mi inseguì per buona parte della mattina e mi rese difficile mettere in moto la libreria − cosa che ormai mi veniva da fare facilmente −, almeno fino a quando non arrivò una coppia di coniugi che mi liberò da quella malsana solitudine.
Avevano all'incirca sessant'anni: lui magro, capelli corti e brizzolati, baffo vintage e mani adunche; lei alta, bionda coi capelli a caschetto, magrissima, occhi azzurri che sorridevano e con un vestito lungo a fiori che sapeva muovere con lenta sinuosità.
Venivano da Parigi, ma parlavano un perfetto italiano, incorniciato da un marcato accento francese. Lui era T., lei era J. Quando entrarono, un profumo fresco inebriò l'aria.
− Wow, ma che bella libreria hai tirato su, complimenti! − esordì J. mentre, estasiata, ruotava lo sguardo fra gli scaffali.
In tutta onestà, quella mattina la mia testa non era particolarmente propensa a dialogare con qualcuno, però devo ammettere che il sorriso di J. era contagioso.
− La ringrazio signora, ho fatto il possibile, − risposi timidamente.
J. fece un gesto eloquente con la mano.
− Non darmi del lei, caro. Anzi, come ti chiami?
− Simone, piacere.
J. accennò ad un inchino, un gesto che senza preavviso fece scattare in me una molla e spazzò via il malumore.
− A giudicare dall'accento, non siete italiani, dico bene? − domandai curioso.
Stavolta fu T. a rispondere.
− Sì, esatto. Io sono nato in Italia, ma mia moglie è di Parigi; dopo esserci sposati sono andato con lei a vivere in Francia.
− Accidenti, hai dovuto cambiare totalmente vita, quindi.
T. allargò le braccia, mentre J. tratteneva un sorriso complice.
− Sì, è innegabile, ma se penso a come è andata, ti assicuro che lo rifarei altre mille volte.
− Comunque, è bellissima Parigi. L'ho visitata una sola volta, ma me ne sono innamorato. D'altronde come si fa a non amare la culla di Baudelaire e degli Impressionisti, sarebbe come fare un torto a buona parte dell'arte e della letteratura europea.
J. si illuminò.
− Ti piace l'arte, Simone?
− Tanto. Non sarei in grado di descrivere in modo così dettagliato e tecnico un quadro, ma se penso al fascino delle opere ottocentesche, ad esempio, resto allibito da come siano riusciti ad essere rivoluzionari rispetto a tutto ciò che c'era prima.
J. sembrava sul punto di commuoversi dall'emozione.
− Io sono una professoressa di storia dell'arte in pensione. Ho lavorato tanti anni nelle scuole superiori di Parigi e collaborato con diverse associazioni che promuovevano lo studio delle arti visive, anche italiane. Sentire un ragazzo dire queste cose è la sensazione più soddisfacente che si possa provare, te lo garantisco.
Chinai la testa in segno di ringraziamento.
− Ti ringrazio tanto, ma è una cosa che mi nasce spontaneamente. Se ci pensi, quella fra Letteratura e Arte è la relazione d'amore più lunga di tutte, esiste da millenni. A volte penso che nonostante spesse volte litighino, si mandino a quel paese e decidano di non vedersi per un po', alla fine tornano sempre insieme, si cercano, si perdonano, come due amanti sinceri. Quindi se si ha la fortuna di conoscere una delle due, come è successo a me, inevitabilmente si fa amicizia anche con l'altra.
J. mi guardava ammirata, poi si girò verso T. e gli sorrise.
− Quante volte ho cercato e ricercato della poesia attorno e me e non l'ho mai trovata. Guarda questo ragazzo quanta ne ha addosso cucita sulla pelle.
Io mi imbarazzai.
− No dai, non dirmi così. Io vendo solo libri, ma cerco anche di far passare quello che mi lasciano; credo sia la cosa essenziale.
− Lo è, − mi rispose T. − Difatti in Francia, nella maggior parte delle librerie, hanno adottato un metodo fantastico per aiutare il cliente nella scelta: i commessi appiccicano un post-it sui libri che personalmente hanno letto, sul quale scrivono un loro giudizio soggettivo, positivo o negativo che sia. Questa cosa incentiva il commesso a leggere il maggior numero di libri che vende e, a sua volta, il cliente ha un parere su cui basarsi se ha dei dubbi nell'acquisto.
Riflettei qualche secondo.
− È una grandissima idea, agevola molto di più il lavoro, − risposi. − Forse però stronca un po' troppo la conversazione fra cliente e commesso, non credete? Cioè, può bastare un piccolo post-it per riassumere le sensazioni che un libro può dare? Forse se il giudizio è negativo sì, bastano poche e semplici frasi per far capire che non è piaciuto. Ma se le sensazioni che lascia il romanzo ti cambiano la vita o se hai tanti stati d'animo dentro che non riusciresti a descriverli in poche parole, forse diventa più svantaggioso.
T. annuì. − Non ci avevo pensato.
− E invece, caro Simone, c'è un libro che a te ha cambiato la vita? − intervenne J.
Le sue non erano mai domande di circostanza, di quelle che nascono esplicitamente per portare avanti una conversazione di inerzia. J. era realmente interessata ad ogni singola mia risposta; pensai che fosse l'indole da professoressa a prevalere in lei.
Per di più, questa non era nemmeno una domanda facile. Nei pochi secondi prima di rispondere mi accorsi di quanto fosse infinitamente veloce la traiettoria di un pensiero: in poco tempo mi saltarono alla mente un numero inquantificabile di libri letti, ognuno condensato in un motivo, in una sorta di slogan mentale che mi spingeva a sceglierlo; ci furono anche ricordi di titoli di cui non memorizzavo esattamente la storia, altri di cui conoscevo tutto tranne il finale. Insomma, come in un'istantanea fotografica, la mia mente aveva costruito l'immagine composita dell'Universo di tutti quei libri che mi avevano lasciato qualcosa, che avevano solcato il mio terreno e piantato un seme.
In quella manciata di secondi ripensai anche all'acrobata, alla meraviglia che era riuscito a mostrarmi. Decisi che quello doveva essere il criterio per la mia scelta, e mi aiutò.
− Ad essere sincero, non ne ho solamente uno. In queste circostanze è difficile anche stilare una classifica, perché non sono così bravo ad inquadrare perfettamente l'elemento sublime che ogni romanzo mi ha trasmesso. In ogni caso, gliene dico tre: il primo si intitola The fracture, di un autore inglese. Non è un romanzo, ma un saggio universale sul nostro mondo: ispeziona ogni piega distorta della nostra società, prova ad individuarne le cause e le possibili conseguenze; per me è stato una rivelazione. Il secondo è un classico della nostra letteratura ed è Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: in questo capolavoro il protagonista riesce a costruire un racconto squisito e suggestivo dell'amore, dell'arte e della morte, definendoli come cardini dell'esistenza di un individuo. Il terzo è Notti bianche di Dostoevskij, perché riesce ad essere poetico anche nei punti più dolorosi.
J. guardò suo marito, poi si voltò nuovamente verso di me.
− Notti bianche è il romanzo del nostro fidanzamento. Per quel libro siamo stati un po' come Paolo e Francesca, ci ha trasportati nel desiderio.
− Beh, fortunatamente non è finita allo stesso modo, − dissi per smorzare l'imbarazzo che le stava nascendo in volto.
Risero di gusto entrambi.
− Senti Simone, non è che hai qualcosa da consigliarmi per trascorrere un po' queste settimane? Non so cosa leggere, ma in questo momento mi sento abbastanza leggera da averne voglia, − mi chiese J.
Alla fine in lei prevalse la spontaneità e scelse uno dei tanti romanzi d'amore della sezione dedicata ai romanzi rosa.
− Quando ho bisogno di freschezza, queste storie sono sempre la soluzione ideale, − mi disse.
− Sono d'accordo. Anche se non sono il mio genere di lettura preferito, lo consiglio spesso a chi non ha da pretendere nulla dalla lettura.
J. sfogliò velocemente il romanzo, ne annusò le pagine, chiuse gli occhi ed espirò.
− Quando a casa non ho nulla da fare, poi, spesso mi rifugio in qualche parco dell'ottavo arrondissement, quello dove abitiamo noi. Girare per gli Champs-Elysées con una storia d'amore fra le mani e assaporare l'aria romantica di Parigi è una sensazione impagabile.
Nel modo in cui parlava riusciva a rendere palpabili tutte le sensazioni che voleva trasmettermi: dal primo minuto in cui era entrata avevo avuto la sensazione che si trattasse di una donna capace di dare alla poesia una forma concreta e suggestiva.
− La sua meraviglia... − sussurrai, convinto di averlo solamente pensato.
− Come hai detto?
Mi riscossi un attimo.
− No, niente di importante, parlavo fra me e me, − dissi, terminando di imbustarle il libro della Modigliani.
T. nel frattempo si era spostato nel settore Hobby e stava curiosando fra i libri di cucina e pesca, visibilmente indeciso; prese un manuale massiccio, in cui venivano illustrate molte delle ricette più importanti della tradizione culinaria del Mediterraneo, osservò curioso la copertina, poi guardò la moglie.
− Che ne dici? − le chiese.
J. alzò gli occhi in cielo e sospirando mi guardò.
− Come posso fare, caro Simone? Non riesce a stare lontano dalla cucina italiana. Tutto ciò che preparo a casa non gli va bene e da qualche tempo ha avuto questa genialata di cimentarsi nel cucinare, ormai sono disperata.
Mentre parlava, però, non era affranta o arrabbiata, semplicemente arresa.
T. si grattò la testa, consapevole del proprio "misfatto" e cercò appoggio da me.
− Ma non è vero che non mi va mai bene niente su, non esagerare amore. È semplicemente che a volte mi piacerebbe ristabilire il contatto con le origini che ho perso, o meglio, da cui mi sono allontanato. Probabilmente è una cosa che non si capisce finché non la si prova, ma ti assicuro che la cucina in casi come questi, è il teletrasporto perfetto. Credo si tratti semplicemente di necessità.
La sua meraviglia... Questa volta lo avevo davvero solo pensato.
Calò un silenzio in cui entrambi stavano attendendo una risposta da me, che arrivò e cercò di essere il più possibile imparziale. Mi rivolsi a T.
− Secondo me non è sbagliato il modo in cui affronti questa cosa, d'altronde essendo un tuo bisogno, difficilmente potrei contestarlo e dire che il tuo comportamento sia errato. Rimanere attaccati alle proprie radici permette di conoscersi meglio, di solidificare tutto ciò che si aggroviglia dentro di noi; lo considero l'esperimento più efficace per darsi valore. Però, allo stesso tempo, non bisogna confondere la radice con la catena. La prima è sotterranea, tiene ancorata l'origine, ma poi si trasforma, diventa tronco, poi rami e chioma, insomma sperimenta l'Altro; la catena invece è immobile, ostruisce ogni forma di movimento e spesso ti limita. Forse ho inserito troppa poesia per rispondere ad una cosa molto più semplice, però ecco, prova solamente ad equilibrare le due cose, perché probabilmente Parigi ha ancora tanto da dirti, anche attraverso il cibo, ma tu attualmente non sei disposto ad ascoltare. Lotta per la chioma, non per rimanere incastrato.
T. rifletté per qualche secondo, guardò la copertina del libro di cucina mediterranea e lo ripoggiò nello scaffale. Mentre si avvicinavano alla porta, J. si voltò verso di me con un sorriso che sapeva di uno sperato arrivederci.
− Bonne chance Simone. Ne t'arrête pas et poursuis toujours le vol − e con la mano imitò una foglia che vola.
La loro meraviglia...
Quello con J. e T. fu un incontro profondo, perché erano riusciti a tirare fuori da me un nucleo pulsante di poesia in modo spontaneo, senza veli. E soprattutto mi avevano tirato fuori per un po' dal groviglio di pensieri negativi che mi aveva assalito fino a poco prima. Nei giorni successivi ripensai a quella strana coppia mentre passeggia per i parchi di Parigi respirandone a pieni polmoni il profumo di magia; a volte immagino anche, per un momento, che T. abbia cominciato a cucinare dei piatti tipici italiani e che per avvalorare il suo esperimento dica a J: − Ti ricordi cosa ha detto Simone della libreria? Su, fammi fare!
E inevitabilmente rido.
STAI LEGGENDO
Un vento di distanza
Narrativa generaleSimone è un libraio di trent'anni, ama il suo lavoro, ma si guarda allo specchio consapevole che l'equilibrio raggiunto dalla sua solitudine avrebbe bisogno di una rivoluzione. Qualche anno dopo aver pubblicato una raccolta di poesie, spinto dal des...