DUE

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Giorno

Dalla porta entrò la signora M.
Era bassa, capelli mori e lisci con una frangetta sulla fronte. Sulla pelle portava tutti i segni della sua maturità e forse anche qualcosa in più...
Era la proprietaria di un piccolo negozietto nella piazza di fronte alla libreria e mi salutava sempre ogni volta che passava di lì, accompagnata dal suo fedelissimo bassotto maculato.
Quella volta decise di entrare. Era la prima cliente della giornata.
− Buongiorno, − disse sorridente.
− Salve signora, buongiorno.
− Allora, come sta andando il lavoro? La gente legge?
Corrugai la fronte e mi uscì spontanea una smorfia sul volto, alla quale la signora rise di gusto.
– Non proprio, − risposi. − Di ragazzi ne ho visti entrare davvero pochi, non mi sembrano particolarmente interessati. Al massimo entra il ragazzino o la ragazzina delle superiori che deve comprare il libro che la professoressa gli ha consigliato di leggere. Se no, nella maggior parte dei casi, sono genitori con i figli piccoli o adulti solitari.
− E questo è un grosso problema, − mi rispose seria. − Se solo tutti ci rendessimo conto della fortuna che abbiamo a poterci affidare ai libri... Ci sono persone dall'altra parte del mondo che pagherebbero per avere queste possibilità, − rispose e nei suoi occhi corrucciati intravidi il calore di una fiamma ingabbiata, come se volesse conferire a quelle parole la potenza di fuoco che solo uno sguardo segnato dal tempo può custodire.
− Lo dice come se lo avesse visto con i suoi occhi, − commentai.
− Si è così, infatti. Sono un'infermiera in pensione. Ho cominciato lavorando fra ambulanze e ospedali qui in Italia, finché mi sono accorta che dentro di me stava nascendo un bisogno più forte, una necessità che non poteva essere colmata dal lavoro che facevo. Perciò, ho deciso di partire e sono diventata infermiera volontaria nei paesi del Terzo Mondo: ho visitato il Kenya, il Congo e diversi altri posti dell'Africa Centrale.
− E che situazione ha incontrato in quelle zone? − chiesi inevitabilmente, incuriosito dal racconto.
− Disastrosa. Per questo motivo dico che c'è chi farebbe carte false per sfruttare le opportunità che abbiamo noi. Tu non puoi capire la felicità negli occhi dei bambini di quei luoghi quando mi presentavo con dei libri da colorare o fiabe da leggere loro la sera. Sembrava stessero toccando il Paradiso con le mani.
Abbassai lo sguardo pensieroso e un sorriso effimero mi fiorì sulle labbra.
– Ha mai avuto paura che qualcosa potesse andare storto laggiù?
− Io? Tutti i giorni. Credo sia stata la scelta più complicata della mia vita perché mi sono trovata catapultata in un mondo completamente opposto al mio... al nostro, in verità. Sembrava di vivere in un altro Universo, eppure mi era bastato prendere qualche aereo per scoprire la differenza fra "vivere" e "sopravvivere". Nonostante questo, però, sentivo di doverlo fare. Ormai sono passati più di trent'anni, ma nonostante io ripensi spesso ai momenti di terrore vissuti per non sentirmi all'altezza di quel compito e per la mia incolumità fisica, sono fiera di averli vissuti. Avevo un bisogno impellente che mi spingeva da dentro e mi sussurrava di andarmene, di scoprire la vera natura delle cose. Avevo uno scopo.
Scopo.
Il rimbombo di quella parola nel mio cervello fu come il rumore di un martello pneumatico che spacca l'asfalto. La sua eco si disperse fra i versanti ripidi dei miei pensieri e rimasi per qualche secondo immobile.
− Ei, tutto bene? − mi risvegliò la signora M.
− Si, mi scusi. Stavo pensando.
− Eh sì, storia incredibile vero? A volte neanche io ci credo quando la racconto, eppure è successo.
Fissavo da capo a piedi quella donna, come a voler cercare di assorbire qualche segreto nascosto della vita che solo un essere umano che ha sperimentato l'abisso può custodire. Ero affascinato dall'idea che quel corpo, quelle gambe, quelle braccia avessero toccato con mano la miseria, il fondo, l'origine... e che erano qui davanti a me a raccontarmelo in tutta la loro disperata magnificenza.
Avevo uno scopo.
Dopo poco che mi ero perso negli anfratti della mia mente, la signora M. mi riportò alla realtà.
− Che cos'è questo? − mi chiese, incuriosita da un libricino che, date le sue ridotte dimensioni, era stato sistemato in pila proprio sul bancone della cassa.
Si chiamava Gli angeli rispondono.
− È per gli amanti del mistero, − risposi mentre lei sbuffava. – Per quelle persone strettamente legate alla religione, – conclusi.
− E come funzionerebbe? In che modo dovrebbero risponderti gli angeli? − domandò in tono fortemente ironico.
− Vede, ci sono le "istruzioni" sul retro. Si apre una pagina a caso, si chiudono gli occhi, si fa una domanda e si controlla che "risposta" forniscono gli angeli. Fa parte ovviamente del settore esoterico, esistono persone che credono in tutto ciò.
Mentre parlavo, la signora M. mi fissava con un mezzo sorriso, ma non capivo se fosse realmente incuriosita da ciò che stavo dicendo o stesse semplicemente aspettando che io terminassi il mio sproloquio per poi distruggermi con la sua radicale ideologia. Aspettò ancora qualche secondo, con una mano che sfiorava la copertina in rilievo del libricino e con l'altra che tentava di far calmare il suo bassotto, stanco di stare fermo.
− Vede, fin da giovane mi sono sempre obbligata a non dare credito a nessuna parola che provenisse da contesti simili. Non ci ho mai creduto. Sarà forse per lo spirito scientifico che mi porto dietro da sempre, ma per me è come leggere un romanzo fantasy per ragazzi. Però, devo ammettere una cosa... − e alzò gli occhi verso l'alto sospirando, come se la sua mente stesse tentando di catturare un ricordo lontano in fuga.
– Una volta, da ragazza, con il mio fidanzato di allora decidemmo di andare a fare una vacanza con degli amici in montagna. Ero ancora minorenne, ti lascio immaginare la tentazione di una vacanza da sola con il mio ragazzo e degli amici... un sogno. Soggiornammo in una baita, bevendo insieme, giocando, ridendo; insomma, passammo dei giorni veramente fantastici, all'insegna del divertimento puro e semplice. Una sera, però, una delle ragazze che era con noi decise di farci vivere un'esperienza diversa dal solito. Diceva di averci già provato altre volte e che lei riusciva bene a gestire quelle situazioni. Noi non capivamo cosa volesse dirci finché non la vedemmo spegnere tutte le luci della baita; dopodiché, ci chiese di riunirci attorno al tavolo nella sala, aprì un libro di fronte a noi e accese delle candele.
Si fermò per qualche secondo e respirò a fondo: era giunta all'apice emotivo del ricordo, quell'attimo in cui rivivi precisamente le sensazioni di un momento passato della tua vita, come se lo stessi rivedendo fresco davanti ai tuoi occhi. Io, in silenzio, lasciai che quel flusso di sensazioni venisse fuori da solo.
− Insomma, cominciò ad eseguire un rito con le candele, un qualcosa che ancora oggi per me risulta inspiegabile. L'unica cosa di cui ero certa, a diciassette anni, era che avevo paura. Quando iniziò, la stavamo prendendo tutti alla leggera, come uno stupido gioco in cui la nostra amica aveva voluto coinvolgerci. Lo spavento arrivò quando le finestre della baita si spalancarono improvvisamente da sole. In quell'esatto istante, lanciammo il libro giù dal tavolo, spegnemmo le candele e filammo sul divano, in totale silenzio.
Anche io non riuscivo a parlare, aspettavo di capire se volesse aggiungere qualcosa ad un racconto di per sé sconvolgente. Attesi, per essere certo che avesse finito.
− Si è mai chiesta cosa potesse essere realmente successo?
− Sì, ma mi sono sempre obbligata a rifiutare la risposta. Non mi sono mai sentita pronta a riceverla. So solo che, se prima non avevo mai avuto paura del soprannaturale, da quel momento in avanti qualsiasi cosa c'entrasse con cartomanzia, angeli, magia e simili mi agitava. Da adulta poi, l'ansia si è trasformata in rigetto. Ribadisco che il mio lavoro ha avuto un ruolo chiave in questo processo.
Accennai un sorriso.
– Sono sempre stato affascinato da chi vive esistenze del genere. Sapere di avere davanti a me un corpo che ha toccato il suolo africano, ad esempio, per me è qualcosa di grande. Ascoltare le avventure che lei, da infermiera, ha vissuto in un "non-mondo" è come se mi trasformasse nello spettatore di un film. Insomma, sapere che, dopo tutti questi innumerevoli giri terrestri, lei è ora proprio qui davanti a me, mi stimola.
La signora M. abbassò lo sguardo, giocherellò con un anello che teneva al dito per qualche secondo e nel mentre rideva anche lei.
− Sì, anche io da giovane avevo le tue stesse sensazioni. Quando ho cominciato il mio lavoro, consideravo i medici più grandi e con più esperienza di me degli dèi, percepivo le loro come delle vere e proprie imprese, come se fossero degli autentici supereroi. Però, arrivata a questo punto, guardandomi indietro mi sembra sia avvenuto tutto in modo così...− Si fermò un secondo per tentare di trovare il termine giusto, ma la anticipai io.
− Semplice, − dissi. Lei sciolse lo sguardo e annuì con la testa.
Passò qualche secondo di silenzio, poi il suo cane, con una leggera strattonata al guinzaglio, fece capire che si stava annoiando.
− Bene, è arrivata l'ora di andare ad aprire il negozio. Magari la prossima volta vengo a comprare un libro per passare il tempo quando non ho clienti.
− La ringrazio tanto per la chiacchierata, signora. Dico davvero.
− Non c'è di che, figurati. Anzi, spesso ciò che serve alle persone è proprio un momento in cui dialogare, serve a tutti: le parole condivise rappresentano un tentativo in più per comprendere il tuo scopo, è un peccato non sfruttarle.
Sbarrai nuovamente gli occhi mentre lei usciva salutandomi.
Scopo.
Mi rigettò di nuovo nel labirinto rumoroso dei miei pensieri.
Ho dimenticato di chiedere alla signora qual è il suo genere preferito, pensai.
Ci sarebbe stata un'altra occasione per rincontrarla, ma probabilmente una sensazione del genere non l'avrei più provata.
La signora M. aveva deciso di condividere le sue Storie quella mattina e non si accorse di avermi lasciato molto di più. Il coraggio delle persone lo si intravede nelle loro parole, nel loro riesumare volontariamente e con cautela i cocci rotti dei ricordi più importanti della loro vita.
E che ricordi per la signora M!
Osservavo ancora affascinato quel corpicino leggero dalle vetrate della libreria che si allontanava verso la piazza, mentre il suo bassotto annusava freneticamente le radici di un albero, illuso di poterne cogliere i segreti.
Avevo uno scopo.

Un vento di distanza Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora