Realtà o Ossessione?

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|| MINHO POV||

Mi sentivo come responsabile per quel suo nodo alla gola che in quel momento era anche il mio.
Come posso volere rumore, quando la mia vita è sempre stata fatta di silenzi? Volevo solamente ascoltare la sua voce: parlare, cantare, ridere, anche piangere in questo momento, avrei voluto vederlo piangere invece di averlo rannicchiato contro il sedile dell'auto di spalle, con sguardo vuoto.
E quello sguardo vuoto era traboccante di solitudine, timori e paure e io lo conoscevo, lo conoscevo bene…era lo stesso che avevo anch’io prima che entrasse a far parte della mia vita.
Ne avevo avuto abbastanza della solitudine che mi perseguitava, avevo abbastanza di non riuscire a capirmi e capire l'unica persona che invece mi aveva fatto dono di tutto ciò che non possedevo, solamente ascoltando ogni giorno la sua voce e avendolo accanto.
Vorrei dirgli quelle parole di cui ha bisogno in questo momento, vorrei dargli quel conforto e quella sicurezza che merita di avere ma non ne ero capace perchè nessuno mai aveva dato a me quelle cose se non lui e il suo solo esistere.

Giunti fuori casa del minore, parcheggiai l'auto lungo il vialetto spegnendo il motore e volgendo lo sguardo sulla sua piccola figura.
Vederlo in quello stato, chiuso in sé stesso, mi dilaniò l'anima di un immenso dolore: avrei preferito strapparmi il cuore dal petto per non sentirlo più bruciare a quella visione e, magari, prendermi il suo vuoto e sopportare quella sua purga.
Tutto mi sarebbe andato bene, qualunque modo per non fargli provare qualsiasi cosa stesse affrontando adesso. Avrei voluto soffrire io al suo posto e mi sarebbe bastata la sola consapevolezza che, prendendo il suo tormento, non avrebbe dovuto sopportare più nulla.

Cautamente, poggiai appena sulla sua spalla, scendendo giù lungo la sua piccola schiena per poi risalire e ricominciare a percorrere lo stesso tratto.

"Sali con me" sussurrò con voce rotta. "P-er favore" sfuggì dalle sue labbra un singhiozzo mal trattenuto.
Feci il giro dell'auto aprendogli la portiera, ma quando fece per scendere, lo bloccai chinandomi alla sua altezza. "Ti porto io piccolo" dissi con il tono più dolce di cui fossi capace per poi far passare un braccio sotto le sue ginocchia e una dietro la schiena per sollevarlo a mo' di sposa, lasciando così che si  accoccolasse  contro il mio petto, nascondendo il viso nell'incavo del mio collo.

Una volta entrati in casa, affrontai tutta la preoccupazione che stava divorando Chan alla visione dello stato di Jisung, aspettandosi forse che il ragazzo sarebbe tornato non nel migliore dei modi.
Senza proferire parola, chiesi con lo sguardo al maggiore di non fare domande, rispettando il silenzio imposto dal ragazzo tra le mie braccia.
Entrati nella camera del minore adagiandolo sul letto per poi  tornare indietro per chiudere la porta della camera e prendere posto al suo fianco.

"Changbin non è proprio mio fratello, è figlio del compagno di mia madre" sussultai sorpreso da quelle sue inaspettate parole, ma un brivido di preoccupazione mi attraversò al suono del suo tono freddo e distaccato….questo non era lui.
"Avevo tredici anni quando mio padre abbandonò me e mia madre a causa m-mia...e per circa un paio di anni abbiamo vissuto in miseria dato che mia madre non lavorava e mio padre ci tolse tutto. Da quel giorno mia madre iniziò a disprezzarmi e ad accusarmi di tutto quello che ci era successo e- e un giorno d-disse…"
Un grugnito di dolore irruppe nella stanza prepotentemente e potei giurare che a quel suono il mio cuore smise di battere.
Di nuovo come quando in auto, allungai una mano sulla sua spalla, ricordandogli della mia presenza e che nulla gli avrebbe fatto del male in mia presenza.
"D-disse c-che avreb-be preferito n-non ave-rmi m-mai avuto" scoppiò in un violento pianto, non riuscendo più a trattenere quei ricordi per lui così dolorosi, e anche io, alla vista del suo corpo scosso da mille singhiozzi e sofferente, dovetti chiudere gli occhi per non crollare.

In quel momento dovevo essere la sua forza, non potevo lasciarmi andare.
"Q-quando poi conobbe il padre di Changbin, andammo a vivere nella loro casa, ma solo per circa un anno, o meglio, io per solo un anno.
Quando anche lui venne a conoscenza del motivo del ripudio di mia madre, mi cacciò di casa senza esitazione perché aveva paura c-che infettassi il figlio.
Fortunatamente Changbin chiese a questo suo amico di tenermi con lui, di insegnarmi ciò che egli stesso mi stava insegnando, ovvero a diventare un produttore, e così da allora, vivo in questa casa con Chan..." si asciugò con la manica della felpa l'umido dal viso e poi si tirò su, incominciando a camminare nervoso nella stanza sotto il mio sguardo preoccupato.

Tre Vite  ||Minsung||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora