Capitolo Diciannove

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La tensione, l'elettricità erano palpabili nel box Mercedes. Un gran numero di persone si muoveva frenetico attorno a lei, mentre sugli schermi comparivano dati e immagini dalla pista. Nonostante fosse solo una spettatrice, ogni secondo che passava si sentiva sempre più impaziente ed emozionata mentre le macchine cominciavano ad allinearsi sulla griglia di partenza sotto il sole di Baku. Allo spegnimento dei cinque semafori la pista prese vita in un rombo di motori. Contrariamente a quanto aveva detto, i suoi occhi si erano immediatamente puntati sulla monoposto della RedBull con il numero 1 e vi erano rimasti incollati per quasi tutta la gara. Con il fiato sospeso e il cuore che batteva forte aveva osservato Max, sorpasso dopo sorpasso, risalire con abilità verso il podio, fino a quasi a raggiungere Lewis.

L'intero box e il muretto esplosero in urla di gioia e soddisfazione quanto la Mercedes con il numero 44 tagliò per prima il traguardo. Anche lei si sentì riempire di orgoglio mentre condivideva la felicità con tutta la squadra. Finita la cerimonia del podio aveva raggiunto Lewis per fargli i complimenti.

«Sei stato fantastico Lewis.»

«Grazie Andrea, non ti nego che avevo davvero bisogno di questa vittoria...»

«Te la sei meritata» disse sorridendogli.

Lui ricambiò il sorriso e prendendola per la spalla se la tirò vicino, le teste appoggiate una contro l'altra.

Era davvero contenta per Lewis, ma il suo sguardo vagava alla ricerca di Max. Eccolo lì, che la guardava con le schiena appoggiata al muro, le braccia incrociate, mentre parlava con Carlos Sainz.

Sciolto l'abbraccio e salutato Lewis, si diresse verso Max, ora rimasto solo.

«Ciao» la salutò.

«Ciao, complimenti.»

«Grazie, avrei potuto fare meglio però.»

«Può darsi, però per me sei stato grande.»

«Quindi mi hai guardato?» un sorrisetto era comparso sulla sua faccia.

«Assolutamente no.»

«Stai mentendo.»

«E va bene, lo confesso, non ti ho tolto gli occhi di dosso per tutta la gara. Sai che sono una tua fan...»

«Ah si?»

«Si, ho persino una...» oh no, non poteva dirglielo.

«Una cosa?»

«Niente! Ora devi andare, ti aspetta un'intervista, no? Te lo dirò la prossima volta.»

«Allora me lo dirai stasera, sulla terrazza dell'hotel. Più tardi ti scrivo per l'orario.»

Se ne andò prima che potesse rispondergli. E lei si trovò a sorridere alla prospettiva di quell'incontro.



Un leggero venticello le accarezzava il volto e le spalle, mentre, appoggiata al parapetto, lasciava vagare lo sguardo sulla città sotto di lei. Stava aspettando Max.

«Ciao.»

Sapeva che era lui anche senza voltarsi. Quella voce ormai le era familiare.

«Ciao.»

Si mise di fianco a lei, anche lui rivolto verso il paesaggio. Quella situazione le ricordava la sera in cui si erano conosciuti.

«Questa scena mi sembra familiare.»

«Ci stavo pensando anche io» disse sorridendo «eppure è tutto così diverso, non pensi?»

«No, in fondo io sono sempre io e tu sei sempre tu.»

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