Epilogo

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A meno di due ore dall'inizio della gara, il box era in pieno fermento. Membri del team schizzavano da ogni parte mentre i meccanici si avvicendavano attorno alla macchina. L'adrenalina, l'elettricità si potevano avvertire nell'aria e lei non ne era certo immune. Non vedeva l'ora di salire in macchina. Era tornata in pista solo da qualche mese, ma aveva ripreso immediatamente a pieno ritmo e si sentiva più in forma che mai. Quel giorno la aspettava una delle pietre miliari del Motorsport e una delle gare più intense che si potessero disputare, la 24 ore di Le Mans. Cercò un posto tranquillo, lontano dall'andirivieni di persone, si appoggio con la schiena alla parete e chiuse gli occhi. Il respiro era calmo e i battiti regolari mentre ripassava mentalmente il circuito, le mani si muovevano da sole, scalando marce invisibili, mentre le gambe simulavano i movimenti sui pedali attraverso piccoli spasmi. Trovato il ritmo e la giusta concentrazione, espirò soddisfatta.

«Pronta?» le chiese una voce familiare.

Lasciò schiudere le labbra in un sorriso mentre apriva gli occhi. Max, di fronte a lei, la guardava con la solita espressione di orgoglio misto ad apprensione che aveva sempre quando lei doveva scendere in pista. Ma non era solo. Tra le braccia stringeva una bimba dai capelli biondi e dagli enormi occhioni azzurri che tese sorridente le braccine verso di lei.

«Mamma!»

Si sciolse nel sentirsi chiamare così. Noah aveva ormai due anni eppure la sua esistenza le sembrava ancora la cosa più sorprendente che avesse mai sperimentato. I bambini le erano sempre piaciuti, ma non era mai riuscita a vedersi come madre, temeva che un figlio avrebbe sconvolto completamente la sua carriera e la sua vita. E in effetti era stato così, ma nel più piacevole dei modi. Dopo più di dieci anni in Formula Uno e la sua dose di titoli mondiali, aveva improvvisamente sentito la necessità di qualcosa di nuovo. Pensava di avere semplicemente bisogno di cambiare categoria, di cercare nuove sfide in un altro campionato, così come aveva già fatto Max qualche anno prima di lei, ma ben presto si era accorta di quello che desiderava davvero: una famiglia. Certo, aveva sempre avuto Max, il miglior compagno di vita che avrebbe mai potuto trovare, ma sentiva che le mancava qualcosa e sapeva che anche per lui era lo stesso. Non le aveva però mai chiesto nulla, ne fatto pesare la cosa. Sapeva che per lei avrebbe significato abbandonare la pista e non le avrebbe mai imposto un sacrificio del genere, ma quando lei gli aveva comunicato il suo desiderio di maternità, lui non era riuscito a nascondere l'emozione. Quando poi aveva scoperto di essere finalmente incinta di Noah, dopo svariati tentativi, lui l'aveva presa tra le braccia e avevano pianto insieme di felicità. La gravidanza non era certo stata una passeggiata, e all'inizio si era sentita scombussolata e terrorizzata, ma Max le era stato accanto per tutto il tempo e lei, ancora una volta, si era innamorata perdutamente di lui. Quando la loro bellissima bambina era venuta al mondo, avevano deciso di chiamarla Noah. Noah Sophie Verstappen. Aveva preventivato di tornare a correre entro un anno al massimo, ma non aveva messo in conto quanto sarebbe stato difficile per lei separarsi da sua figlia, così aveva dedicato un'altro anno della sua vita a fare la mamma. Quell'anno però si era sentita finalmente pronta, così aveva indossato di nuovo tuta e casco ed era tornata in pista per la sua prima stagione nel World Endurance Championship al fianco di Max, per la prima volta suo compagno di squadra e non avversario. Dove possibile Noah viaggiava con loro, come quel weekend. 

La prese in braccio, dandole un bacio sulla testolina bionda e lasciando che le si accoccolasse addosso, con il viso appoggiato sulla spalla. Quel contatto così familiare, il peso e il calore di quel corpicino, il leggero battito del suo cuore, ebbero l'immediato potere di calmare ogni sua tensione e preoccupazione.

«Si, ora sono pronta.»



Mentre terminava il giro di formazione, in attesa dello spegnimento dei semafori, si sentiva come se gli anni non fossero mai passati. Poteva sentire l'adrenalina e la crescente e familiare eccitazione che aveva sempre provato prima di ogni gara. Strinse la presa sul volante e quando si spensero le luci si lanciò pronta ad aggredire l'asfalto. Era di vitale importanza superare indenne i primi giri, poi avrebbe potuto spingere per cominciare la scalata. Sarebbe stata una gara molto lunga e in ventiquattro ore potevano accadere mille e più cose, ma lei avrebbe tentato di fare nel suo meglio durante i suoi stint ed era sicura che anche Max e Daniel (chi altri mai poteva essere il terzo pilota se non lui) avrebbero fatto lo stesso. Dopo circa un paio d'ore lei e Ricciardo si diedero il cambio, poi fu il turno di Max e poi ancora di nuovo il suo. Si intervallavano quanto più regolarmente possibile per permettere ad ognuno di avere gli stessi tempi di recupero e riposo, ma imprevisti e occasioni erano sempre dietro l'angolo, così il suo terzo turno si era concluso dopo soli 30 minuti e approfittando della Safety Car aveva ceduto il posto a Daniel. Questo significava che, salvo altri slittamenti e cambi, le battute finali della gara sarebbero state sue e non più di Max. A poche ore dalla fine della gara il loro team si trovava in quinta posizione con ancora l'ultimo turno di Max da effettuare prima del suo.

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