0.Prologo

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Lavinia

Si impara dagli errori solo quando questi ti lasciano qualcosa, ti fanno comprendere lo sbaglio che hai commesso.

Purtroppo non si impara un bel niente però, quando gli altri ti colpevolizzano atrocemente per il semplice fatto di essere.

Essere troppo grassa, o troppo magra.

Essere troppo gentile, o troppo asociale.

Essere troppo comprensiva, o troppo egoista.

Essere troppo vivace, o troppo triste.

Essere troppo furba, o troppo ingenua.

Essere semplicemente ciò che tu sei.

Da piccola non conoscevo l'esistenza di una doppia versione di noi stessi, credevo fermamente che la personalità di una persona fosse impossibile da nascondere e da placare.
Questo finché, non ho incontrato una piccola porzione di Inferno sulla terraferma.

Un semplice gruppetto alle elementari.

Si riuniva spesso durante le orette scolastiche, mangiavano assieme, ridevano assieme, guardavano gli altri con fare sospetto.

Peccato che quel gruppetto rappresentasse la classe intera e che io fossi "gli altri".

Me ne resi conto tempo dopo, che io per loro non ero mai stata parte di quel gruppo classe; ero solo una piccola pedina con cui giocare, quando ne avevano voglia e che si ostinavano a far cadere.

Iniziarono così le prime occhiate, quelle che sapevano di "sei certa di non aver sbagliato classe?".

Poi le prime risate, quelle delle quasi conservo ancora irrazionalmente il suono orripilante.

Ridevano di me.

Ed io non mi sono mai davvero dimenticata quei sorrisi maledetti.

Mi domandavo come fosse possibile odiare delle persone che sorridono in un modo così spontaneo ma era così e mi davo il tormento.

Da lì in poi fu tutta una carreggiata di feste a cui non ero stata invitata, intervalli silenziosi, lavori individuali e ultima scelta nelle squadre sportive.
Anzi, nemmeno ultima, bensì quella di scorta.

Ricordo che molto spesso fingevo di stare male, così saltavo l'ora di educazione fisica e mi evitavo un altra presa in giro.

Nonostante il tempo però, non avevo mai capito cosa tenesse così lontani i nostri mondi, finché un giorno, non ascoltai una conversazione nelle mura del bagno della scuola.

«Temevo rompesse la sedia con i suoi 70 kili».

Era la voce di Vincent, l'avrei riconosciuta fra mille.
Colui che era il mio migliore amico (seppur in facciata), stava sparlando di me nel bagno dei maschi, con qualcun altro.

E poi le risate.

Quelle luride risate che odiavo con tutta me stessa.

Ricordo che tornai in classe ricolma di lacrime ma nessuno se ne accorse.
Nessuno mi dava attenzioni, nessuno si importava di me.

Alle medie sperai che le cose cambiassero, ma mi sbagliavo di grosso.

La mia nuova classe era formata da gente vanitosa, altezzosa, ricca di vittimismo e di manie di protagonismo.

Cercai di ricavarmi un po' di spazio in quell'orribile popolarità e per un attimo pensai di esserci riuscita.

Conquistai il cuore di Carlotta, la ragazza più popolare della classe ma anche della scuola.
Sua madre era un insegnante in quella stessa scuola e dunque tutti la stimavano, sia professori che alunni

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