Non sono una santa

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Note: ragazzi eccoci qui! Ho seguito il vostro consiglio e ho provato a scrivere questo capitolo dal punto di vista di Sarah, sperando di renderle giustizia. Ho voluto raccontarla come una ragazza nel pieno della sua freschezza, in modo da darle spessore e profondità con l'avanzare della storia. Mi raccomando fatemi sapere che ne pensate!




"Sarah, hai una vaga idea di dove siano i miei biscotti?" a chiedermelo è la voce di Mida tra il rimprovero e lo scherzo, lo sa anche lui che sono la principale responsabile della sparizione degli stessi. Non è colpa mia comunque. Sono molto invitanti.

"Assolutamente no" nego tuffandone un altro nella tisana al mirtillo che ho davanti e mascherando a fatica una risata. Sbuffa sonoramente: "Sei insopportabile" ma so che non lo pensa davvero.

Sono adorabile. Bisogna ammetterlo.

"Dai non rompere, poi li inseriamo nella lista della spesa e li riprendiamo" bofonchio con il viso coperto di briciole ricevendo in risposta uno scappellotto dietro la nuca:

"Così puoi mangiartene altri tu" dice divertito

Touché penso

"Non mi permetterei mai" dico, sorniona. Che poi lo so che così è più facile perdonarmi.

C'è questa idea in casa e nella mia vita che io sia un po' un cucciolo, una creatura ingenua da proteggere sempre e comunque. Ora ben inteso, non sono esattamente una volpe ma se voglio, e se capisco la situazione, so come giocarmi le mie carte. Piccola, non scema.

Una cosa che spesso non capisco è l'amore, ma proprio che quando l'hanno creato hanno dato un libretto di istruzioni a tutti ma sul mio c'era scritto solo: "Tu speriamo che te la cavi". Perché non me lo spiego come in quasi diciotto, perché ormai ci siamo, anni di vita io abbia sempre e solo percorso la via più tortuosa, quella che più inciampi più ti intestardisci che la devi finire quando magari la parallela è una passeggiata serena e rigogliosa nel verde.

Come quello scemo dai capelli rossi che mi guarda con l'aria da cane bastonato da dietro la veranda dopo avermi lasciato due settimane a piangere come una disperata. Almeno ho cantato bene in puntata, ero distrutta il giusto, forse è vera quella cosa che dice Jo sull'arte che deriva dai traumi, io sono sempre più brava e ispirata quando le cose vanno male, mi fanno concentrare di più su quello che sento rispetto a quando la felicità fa tutto il rumore di una banda di paese nascondendo la mia voce interiore.

Sorrido sotto i baffi, quante ne sa Jo! È proprio vero che è il "Maestro", mi insegna sempre tantissime cose e non si annoia mai di stare con me. Dice che fa bene vedermi felice, così gli ricordo come si fa ad esserlo. Chissà se si impara ad essere felici oppure è un'attitudine come canta Tiziano, però mi piacerebbe poterglielo insegnare, se lo merita.

Su questo pensiero e soprattutto per sfuggire alla furia omicida di Cri mi dirigo a cercarlo certa di trovarlo in studio a lavorare su qualche microscopica imperfezione.

"Buongiorno! Dimmi che non hai dormito qui ma ti sei solo svegliato presto?" cantileno entrando senza bussare e ritrovandolo stanco, ma non insonne davanti a un mixer e un microfono.

"Buongiorno anche a te, se io per caso stessi lavorando, magari potresti aver rovinato la prossima canzone del secolo" ride e forse gli brillano un pochino gli occhi, mi dice sempre che è la polvere di fata, quella che scrollo dalle mie ali (capelli) per volare (cantare). Detto da lui "fatina" non mi da nemmeno fastidio, lo trovo tenero, chissà se posso chiamarlo Peter.

"Sono sicura che il disco dell'anno possa aspettare la colazione" lo rimprovero porgendogli dei biscotti e una tisana al timo, il lampone da qualche settimana lo stomaca. Eppure prima lo beveva così bene. Accoglie il piattino che gli ho preparato e si decide a staccarsi dal microfono, prima o poi gli resterà l'anima attaccata o forse già lo fa ed è per questo che le sue canzoni sono così belle. Prendono a pugni il cuore quando le senti.

"Grazie Fatì" dice tra un sorso e l'altro "resti qua a provà?"

È la prassi degli ultimi giorni, entro qui ad accertarmi che sia vivo e poi ci resto, come un' altra dimensione. Facciamo un po' tutto nella "tana", come la chiama lui: ci aiutiamo con le assegnazioni, cantiamo, mi insegna le basi della produzione e mi chiede consiglio sui suoni che aggiunge alle sue opere. Delle volte lui si addormenta ma io non me ne vado, gli metto una coperta e inizio a studiare un po' accanto a lui. Piano, piano l'ho riempita di cose, ho iniziato con un peluche "così quando non ci sono ti fa compagnia lei", ho proseguito con una scrivania e una sedia "quando studio sto più comoda" e infine il mio computer "tanto lo uso solo quando sto qua".

Mari mi ha preso in giro, dice che tanto vale ci sposti il letto così magari anche lui si fa una dormita decente. Ho riso anche io anche se per un attimo ho pensato non fosse una cattiva idea, poi ho scacciato il pensiero come le mosche, che scema.

"Vado a lezione J" rispondo un po' svogliata, mi dispiace lasciare la tana "sto fuori fino a pranzo e poi film con Mari e Sofi che mi danno per dispersa da qualche giorno" ridacchio e lo vedo accennare una smorfia soddisfatta "poi se non sei ancora tornato vengo qua così mi fai sentire la traccia nuova"

Quotidianità. Jo sa di quotidianità.

Annuisce prima di terminare la colazione e tornare alla musica: "a stasera" mi dice con dolcezza e sembra un po' come quando ti saluti prima di andare a lavoro ma sai che tornerai a casa per raccontarmi come è andata. Casa. Un po' Jo sa di casa. Quasi quanto tutta la roba che ho lasciato qui dentro.

"A stasera" replico saltellante verso l'uscita, perché questa cosa che mi aspetta mi infonde tranquillità. A prescindere da come vada la giornata, da quanto possa andare tutto male io la sera posso tornare alla tana e sapere di essere a casa.

È proprio il maestro! Rende casa mia uno studio di registrazione, forse non sono l'unica a fare le magie. Rido da sola scuotendo la testa, mi sa che mi brillano un po' gli occhi, forse è vera la storia della polvere di fata.

Randagi e AvvelenatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora