Capitolo 13

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Michael lanciò il sassolino che aveva in mano molto lontano, all'orizzonte, e sorrise soddisfatto notando il risultato del suo perfetto lancio.

Rimasi in silenzio per fargli contemplare la bellezza del mare prima di raccontarmi del giorno prima, quando aveva visto Jea, come l'aveva vista, con chi, dove e perché.

Si girò, come leggendomi nel pensiero. Potei leggere sentimento nei suoi occhi: avrei potuto fargli qualche battutina sulla sua "apatia", ma non era proprio il momento.
Lui sentiva, lui non era apatico come diceva. Lui sentiva il dolore e lo soffriva silenziosamente donandolo agli altri tramite la cattiveria.
Ciò era sbagliato, ma era la sua concezione del dolore e proprio io non potevo fare nulla per variarla.

"Era qui, seduta, un po' più indietro di te. Era da sola." Disse Michael distrattamente, saltellando da uno scoglio all'altro con agilità.

Guardarlo mi faceva girare la testa, così distolsi lo sguardo per posarlo altrove. Sulle onde del mare, ad esempio. Il suono ed il movimento più pacifico del pianeta.

"Cosa stava facendo?" Gli chiesi, puntando lo sguardo su un pesciolino nero che aveva attirato la mia attenzione.
Saltava dentro e fuori dall'acqua, continuamente, come se fosse in cerca di qualcosa. Magari voleva solo intromettersi nella conversazione tra me e Michael.

"Non lo so," rispose, distratto, "niente. Non era con quel ragazzo del solito. Ma era tranquilla. Portava delle cuffie alle orecchie e teneva gli occhi chiusi ondeggiando lievemente la testa come faceva sempre prima, quando era rilassata. Aveva una sigaretta in mano..." Si fermò, e nel suo viso si fece spazio un'espressione di disgusto.

Lo vidi spostarsi ancora, senza fermarsi su un punto fisso.
Come i suoi pensieri, frenetici, ma stanchi, che continuavano a rincorrersi e mai si bloccavano. Era un ciclo continuo, e Michael lo sapeva.

"Vai avanti." Lo spronai. Battei la mano sul piccolo scoglio accanto a me, in modo tale che lui si potesse sedere e soprattutto fermare.

Si sedette lì, finalmente, e poggiando i gomiti sulle ginocchia coperte dai jeans neri. La sue felpa bordeaux gli ricopriva pure le mani, dato che le maniche erano eccessivamente lunghe, e lui vi affondò il viso chiudendo gli occhi.

"Ha aperto gli occhi e mi ha visto. Dovevi vedere la sua faccia, Tea..." Alzò lo sguardo e lo puntò dritto davanti a sé. Non stava bene per niente.

Gli diedi una pacca sulla spalla e gli strofinai la mano sulla schiena, sperando che quel piccolo gesto potesse farlo calmare e continuare. Era già stato un grande sforzo per lui scegliere di raccontarmi questo episodio, e lo apprezzavo moltissimo.
Questo significava che si fidava di me.

"Era sconvolta, voleva sparire. Ha spalancato gli occhi e si è portata una mano davanti alla bocca, dopo aver fatto uscire il fumo dalle sue labbra. Sono rimaste sottili come una volta, è cambiata di poco. E me ne sono accorto solo ieri, perché non mi sono preoccupato di fissarla di nascosto, non le toglievo più gli occhi di dosso. Speravo che, in qualche modo, potesse infonderle un grandissimo senso di colpa." Rivelò Michael, tutto d'un fiato, mentre l'ansia cresceva nel mio petto e il cuore prendeva a battere più velocemente.

Ero davvero ansiosa e impaurita dalla reazione di Michael, perché davvero, non se lo meritava. Non era uno di quei ragazzi che meritassero di essere delusi più volte e pugnalati alle spalle.
Lui meritava tantissimo, e probabilmente nessuno era capace di raggiungere quegli standard. Perché lui, forse, era troppo per tutti.

"Ho afferrato la sigaretta che teneva tra le dita e l'ho lanciata via, in mare, mi faceva schifo vedere le sue mani macchiarsi di sporco peccato. E lei mi ha guardato come se avessi dovuto restituirgliela. Volevo dire qualcosa, ma le parole mi morivano in gola, e non avevo idea di cosa dirle. Alla fine, non la vedevo da quasi due anni. Sembrava che fossimo diventati quasi estranei, ormai."

Three || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora