🥛 24 - DAIKIRAI [LEI]

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だいきらい
DAIKIRAI
[ti odio]

23 agosto

Una, due, tre; le lacrime che precipitarono, una dopo l'altra, dentro la ciotola di latte prima ancora di versarci dentro gli anellini al miele. Sollevai la confezione di cereali, cercando di ricacciare in gola i singhiozzi che aumentavano, e un'onda dorata si mescolò al lago bianco che avevo sotto il naso.

Walter e mio padre parlavano a ridosso del frigorifero di quale potessero essere state le cause dell'incendio al Timeless Heaven. Il primo spingeva per far ricadere la colpa sul duo Nobu-Souta mentre il secondo dava la colpa all'impianto elettrico. Ciò che me ne fregava era lontano dai pianti che facevo ogni volta che sentivo nominare il suo nome. Era bastato un singolo giorno senza di lui a mandarmi in tilt. Era un astinenza che nasceva nell'angolo più recondito della mia anima e si irradiava fino agli occhi dove si condensava in gocce salate che si schiantavano dappertutto come stelle cadenti. Guardare fuori dalla finestra e vedere soltanto la tenda della sua camera da letto tirata era straziante; eppure, non riuscivo a impedire ai miei occhi di incollarsi a essa nella speranza che prima o poi quella tenda si tirasse per mostrare Souta al computer con le mezzelune sotto gli occhi. Reprimere la tentazione di chiamarlo faceva malissimo, ma avevo promesso a Zoe che lo avrei lasciato in pace. Glielo dovevo dopo che mi aveva salvato la vita. Ma mangiare anche solo una cucchiaiata di cereali ammollati nel latte mi costava sforzi immani. Avevo persino smesso di leggere il romanzo che mi aveva prestato perché mi faceva pensare a lui.

L'odiosa suoneria proveniente dal cellulare di mio padre mi permise di infilare il cucchiaio in bocca. Masticai gli anellini che erano diventati una fanghiglia umidiccia mentre papà rispondeva alla chiamata.

«Pronto?... Sì... Certo... Ne siete sicuri? Ma... Okay.... D'accordo, grazie».

Nascondevo il viso con i capelli quasi fosse una tapparella, ma guardai papà da sotto la frangia. Aveva il pugno sinistro serrato sul piano di lavoro, le nocche bianche per quanto stava stringendo.

Walter staccò la schiena dal frigo e chiese chi fosse.

«La polizia», papà aveva una voce strana. «L'incendio... è stato intenzionale».

«Lo sapevo!», sbottò Walter. «Sono stati quei bastardi! Per questo il figlio di puttana è scappato in Giappone».

Mi scivolò il cucchiaio dalla mano a dentro la ciotola, e la palla di cereali che tenevo in bocca si solidificò in carta vetrata. Mandai giù a fatica e dovetti bere un sorso di latte per placare il dolore.

«Nobuuu», ringhiò mio padre. Poi fece segno a Walter di guardarmi. «Tu stai con lei, io vado da quel musogiallo a dirgliene quattro».

«Sei precipitoso», dissi apatica.

«Non gli ho dato il negozio! Me l'ha bruciato per punizione!», prese la direzione dell'ingresso. «A me basta come movente!», concluse e uscì alla velocità di un fulmine.

«Non sono stati loro», continuai.

Walter puntò i palmi sul tavolo, parte del latte fuoriuscì dalla ciotola per il colpo. «Tu da che parte stai?».

«Dalla parte della verità», risposi con ancora gli occhi sulla colazione.

«Hai sentito. L'incendio è doloso. Chi odia tuo padre più di Nobuaki?».

Presi il cucchiaio e raccolsi un po' di cereali.

«Mi stai ascoltando?».

Silenzio.

Walter sbuffò. «Domani torniamo a Birmingham, non ne posso più di questo posto».

«Io voglio stare a Londra. Cambierò scuola, rifarò l'anno. Non mi importa», avvicinai il cucchiaio alla bocca.

LACRIME NEL LATTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora