🥛 22 - NANAKOROBI YAOKI [LEI]

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七転び八起き
NANAKOROBI YAOKI
[cadi sette volte, rialzati otto]


Il pavimento della piccionaia era una distesa di cenere e fuoco. Il Timeless Heaven sfumava in un vortice di crepitii e attorno a me non vedevo altro che nero.  Inspirai. Il fumo si infilava nei polmoni, rendendo la respirazione una sfida contro l'asfissia. Il sangue che mi colava dalle orecchie, inoltre, mi impediva di distinguere chiaramente i suoni.

Chiusi gli occhi.

Ero diventata una perla di tapioca in un bicchiere di lava.

Papà... dove sei?

La paura di perderlo mi aveva spinta fino a lì sopra, dove le fiamme si erano fatte sempre più alte e il fumo condensato. Non l'avevo ancora trovato. Non potevo nemmeno fuggire. A causa del fumo mi ero accasciata a terra, sotto la pancia tenevo stretto l'unico libro di Hope salvato dalle fiamme, quello di Tolkien che aveva riscritto a mano.

Papà... dove sei?

Di colpo, una forza esterna mi spostò a pancia in su.

«Oddio, sei viva».

Questa voce... Non può essere lui...

Risanvii a rallentatore e sollevai le palpebre a fatica, gli occhi lacrimavano dal bruciore. Ciò che avevo davanti era un caleidoscopio: un viso distorto, due ciuffi di capelli illuminati dalle fiamme, una bandana nera, un neo sopra l'angolo del labbro superiore.

No.

Non mi fidavo della mia testa.

Lui teme il fuoco.

Sarebbe stato fin troppo illogico.

È solo frutto del mio desiderio di averlo con me in questo momento.

Qualcosa vicino a me crollò, e la piccionaia si inclinò gravemente. Scivolai verso il basso, senza appigli in cui aggrapparmi se non il corpo di Souta immaginario che mi avvolgeva con le braccia. Roteai gli occhi all'indietro. Il mio ultimo pensiero prima di perdere i sensi fu il tanzaku appeso al ramo di bambù. "Trovare un punto fermo". Il tempo per cercarlo era scaduto. Le stelle avevano deciso.

***

Tre ore più tardi tornai ad afferrare il volante del mio corpo e, con ancora gli occhi chiusi, riconobbi il tipico odore degli ospedali. Le voci di chi si trovava all'interno della stanza in cui ero ricoverata arrivarono gradualmente.

«Perché non l'hai fermata?», domandò Tris.

«Ci ho provato», fece Walter. «Tutto questo non sarebbe mai successo se Legolas e suo zio non avessero appiccato l'incendio».

Sollevai le palpebre. Tristan si era accanito contro di lui, e lo teneva per il colletto della maglia. «Se lo dici di nuovo, ti taglio tutte le dita e te le faccio ingoiare come Yuji Itadori». Lo scaraventò contro la parete, sollevandolo dal pavimento di qualche centimetro.

«Tris», lo chiamai.

«Lily!», esclamò Zoe.

Tristan lasciò andare Walter e mi si avvicinò. «Come ti senti?».

Una merda. «Bene. Voglio parlare da sola con Zoe».

Walter superò Tris. «Dovresti riposare».

«Ho riposato abbastanza», rigettai.

Tristan afferrò la spalla di Walter e lo spinse fuori dalla stanza. Uscirono entrambi, chiudendo la porta mentre Zoe si avvicinava.

LACRIME NEL LATTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora