🥛 2 - KOMOREBI [LEI]

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木漏れ日
KOMOREBI
[la luce che filtra tra le foglie]


2 giorni prima

Feci passare la fascia tra la fibbia metallizzata del sandalo per liberare anche il piede destro. Sprofondai sulla soffice tovaglia verde del Cannon Hill Park e lasciai che il sole mi baciasse le palpebre abbassate.

«Lily, ci fai una foto?».

Aprii gli occhi e mi guardai dietro. Mamma era avvinghiata al busto di George con le braccia, entrambi in posa con il lago a fare da magnifico sfondo. Qualche cigno si era avvicinato, forse per beccare i ridicoli mocassini scamosciati di George o attratti dal vistoso cappello in paglia che mia madre esibiva con ostentato orgoglio. A nessuno piaceva quel cappello, e forse pure lei si era pentita di averci speso più soldi di quanto valesse davvero. Ma era un souvenir della vecchia vacanza a Maspalomas, quindi si era convinta della sua bellezza. A ogni modo, negare loro uno scatto sarebbe stato da stronzi, ruolo che veniva già ricoperto in modo egregio da Walter.

Con la Nikon appesa al collo, e le calzature dimenticate sulla coperta sgualcita che usavamo da anni per i pic-nic, lo superai. Era accovacciato nell'erba, alla ricerca di quadrifogli. I capelli dorati, legati in un cordino disordinato, venivano mossi dalla fievole brezza di metà mattina.

Sollevai la macchina fotografica verso mamma e George. La foto uscì bene, come tutte le volte. Erano due quarantacinquenni dal fascino invidiabile; tanto fotogenici da far venire l'orticaria. Persino Walter, col suo aspetto da cowboy trasandato, usciva meglio di me.

Nel voltarmi, Walter sollevò la testa; il caleidoscopio di azzurro e verde dentro le sue iridi si intensificò, colpito dai raggi solari. Funsero da magnete. Impossibile non posizionare la Nikon verso di lui. Esibì un sorriso aperto, mentre un ciuffo ribelle gli tagliava obliquamente il viso spigoloso. Scattai e rimasi a fissare quella foto. Quell'espressione era maliarda quanto i suoi gesti, studiati per suscitare pura ammirazione. Ma dietro quel sorriso si nascondeva un'anima capace di ingannare con la stessa disinvoltura.

«Mi piace molto», commentò dopo avermi raggiunta.

«Il sole ha messo in risalto i tuoi occhi».

Chinò il volto sul mio orecchio. «Attenta, sai cosa succede se mi fai troppi complimenti», il tono leggero non riuscì ad addolcire l'implicita minaccia.

Un brivido si scatenò nella spina dorsale.

Percepivo il suo lato sinistro come si percepisce l'odore della pioggia prima di un acquazzone che travolge tutto. Quando mi stava vicino, mi sentivo sull'orlo di un pontile. Non sapevo ancora fino a che punto mi avrebbe travolta, ma ero sicura che lo avrebbe fatto.

Finsi di non aver sentito e presi posto in una porzione di coperta. Pensavo che il momento di estraniarmi sarebbe arrivato dopo pranzo, invece era giunto prima grazie al commento di Walter. Creepy Nuts, Ayane, Tuki, Radwimps e Yuuri si susseguivano nelle cuffie wireless.

Quando imparerò a capire ogni parola?

Migliorare le mie competenze in giapponese, compariva nella lista dei "buoni propositi" da più di tre anni. Non avrei smesso di imparare fino a che non mi sarei sentita pronta a scrivere un articolo senza affidarmi in tutto e per tutto a Google Translate. Ero a un buon punto, ma ben lungi da raggiungere l'obiettivo.

Tra le mani tenevo il terzo volume della serie Jujutsu Kaisen. L'attesa di iniziarlo mi aveva fatto prudere i polpastrelli sin dal mattino. Una pagina dopo l'altra, senza sosta, affamata di conoscere il continuo della storia e affascinata dai disegni di Gege Akutami.

LACRIME NEL LATTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora