🥛 28 - EPILOGO [LEI]

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Tre mesi dopo - presente

Il tempio si erge quieto attorno ai pochi presenti. Guardo i tetti curvati verso il cielo e le lanterne di carta appese lungo il portico, mentre una brezza fresca mi pizzica le caviglie sotto il kimono nero.

Nel suo stretto completo sartoriale, Souta sta provando un disagio senza eguali. Nonostante il viso impassibile, i suoi occhi bisbigliano un dolore dignitoso simile a quello di Nobuaki; il quale si allontana dalla fila per mettere i primi fiori dentro la bara, seguito dal nipote, da Kumiko e da una manciata di persone tra cui alcuni anziani della Residenza, prima che essa venga sigillata.

«Tocca a te», mi sussurra Souta, spingendomi con il palmo dietro la schiena.

Serro il pugno, aumentando la presa sul crisantemo bianco. È il primo funerale a cui partecipo. I miei nonni materni sono deceduti prima che nascessi, mentre a quello dei miei nonni paterni non sono stata invitata. O forse sì, ma Karen deve aver volutamente dimenticato di dirmelo. A pensarci adesso, però, per com'era la mia vita prima di Londra, forse, nemmeno ci sarei andata.

Sull'altare, la tavoletta di legno che dovrebbe riportare la scritta "Tomoko" reca inciso un altro nome. Lungo la strada verso il tempio, Souta mi ha spiegato che si tratta di kaimyo, un nome scelto dal sacerdote per evitare che Tomoko torni nel caso in cui venga pronunciato quello vero. Mi sono messa a ridergli quasi in faccia. È solo una delle tante sfumature della complessa arte giapponese dell'addio che fatico a concepire.

In questa tempesta emotiva, l'aria attorno alla bara pesa di fiori e incenso. Tomoko giace in mezzo a un materasso di glicini viola e crisantemi bianchi, bella e truccata come se stia semplicemente dormendo. Lo stesso sonno in cui cadeva dopo le nostre lunghe chiacchierate vicino al laghetto con le carpe. Fu in uno di quei pomeriggi, quando Souta era impegnato con i lavori di ristrutturazione della lavanderia e le lezioni telematiche al Kumite London, che Tomoko mi chiese di portarle il cestino con la lana cardata. Prima che i granelli del suo tempo smettessero di scendere, mi ha insegnato a lavorarla e mi ha spiegato con pazienza molte nozioni di giapponese. Ogni fiore di lana che ho fatto, ogni parola che ho imparato, ha tessuto un legame sempre più forte con lei e con il Giappone che sta diventando la mia casa."Questo è il mio aiuto per prepararti alla nuova scuola di Tokyo" diceva. Ho iniziato a frequentare le lezioni a settembre, e i suoi insegnamenti si sono rivelati più che utili. Mi raccontava delle sue esperienze, delle sue speranze per il futuro di Souta come cuoco, e mi faceva sentire parte di una famiglia che non era mia per sangue ma per scelta. Poi i pomeriggi sono diventati più corti, e i mali di Tomoko sempre più aggressivi.

Sono bastati tre mesi a legarci. Tre mesi per percepire la sua scomparsa alla pari di una voragine nel mio petto contratto dalla malinconia. Anche se ti aspetti di cadere, quando cadi ti fai comunque male. Benché sapevamo che sarebbe successo, la sua morte è un duro colpo.

Nel lasciare il crisantemo bianco dentro la bara, l'estate trascorsa a Londra e il percorso atto a liberarmi della catena al collo che mi legava a Walter, si accavallano in un film mentale. Congiunsi le mani al petto, il dolore accentuato dal ricordo della gentilezza che Tomoko mi ha mostrato senza riserve dal primo nostro incontro, tre mesi fa.

«Grazie di tutto», mormoro nella mia lingua, lasciando andare le lacrime.

Souta mi si ferma al fianco e con una dolce pressione sul braccio mi fa arretrare per lasciare anche agli altri invitati la possibilità di porre i loro fiori nella bara.

«Scusa, mi sono trattenuta troppo».

«Tranquilla». La sua stretta è rigida, in contrasto con gli occhi annuvolati del pianto che sta trattenendo a stento.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 08 ⏰

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