I Hate the Way

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When you look at me, I'll have to turn my face
If I look too long, I'll never look away
Babe, I wasn't praying for a saving grace
Unfold your fingers, let's go back to nothing

José

Il 16 aprile dovrebbe essere una giornata normale. Non mi piace dare un significato ai giorni, ma questo giorno ha un sapore amaro per le mie labbra.

Anche solo nominare il numero sedici o il mese di aprile mi fa rivoltare lo stomaco.

Questo perché il 16 aprile del 2004, esattamente quindici anni fa, i miei genitori, quelli veri, hanno fatto l'unica cosa che non sarò mai in grado di perdonare.

"Vuoi che ti porti a scuola oggi, Joshy?" mi chiede papà mentre mi avvio verso la porta.

"Non stressarlo, Santiago, sai che gli piace fare le cose da solo, mon trésor" mia madre si avvicina a lui e gli accarezza la spalla.

"Lo so, Camille, ma potrebbe lasciarsi aiutare qualche volta" pensa che non lo senta, ma io sono ancora alla porta. Me la chiudo alle spalle solo quando sento che ha sbattuto la mano sul tavolo di legno del salotto quando si è accorto che ero ancora lì.

"Carlos, scendi, andiamo a scuola"

Mentre mi allontano, diretto verso la fermata dell'autobus, sento mio fratello scendere con il montascale dal piano di sopra e sedersi con il solo ausilio della ringhiera sulla sua sedia a rotelle.

"Bravo il mio fratellino" sussurro mentre chiudo il cancello di travi di legno dipinte di bianco.

Nemmeno dieci minuti dopo l'autobus arriva davanti a casa e io salgo.

Il 16 aprile sarà una semplice giornata come tutte la altre.

Niente attacchi di rabbia o panico.

Solo una giornata normale, in un anno normale, in una vita normale.

Tutto è normale.

Peccato che nella mia testa ci sia un casino.

Le due ragazze che sono salite con me raggiungono i posti in fondo al mezzo. Io faccio per superare la metà, ma noto un posto libero proprio di fianco a me. Le gambe mi tremano, voglio sedermi. Faccio un passo indietro.

"Posso?" chiedo con una voce che mi esce più roca del solito per via dell'ansia che questa giornata mi mette addosso.

La ragazza seduta mi fa spazio e io posso sedermi e riposare le mie gambe stanche dopo solo un'ora dal risveglio.

Sono patetico.

Lo sono ogni anno il 16 aprile.

Passo il viaggio a cercare di ignorare la sensazione di essere osservato. Percepisco l'attenzione di tanti occhi sulla mia nuca, sulle mie spalle, sul mio ginocchio che traballa e sulla mia giugulare che pulsa così tanto che probabilmente il suo movimento è percepibile dall'esterno.

Per distrarmi cerco qualcosa da analizzare: ho una mente matematica, me lo dicono sempre. Poso gli occhi sulla ragazza al mio fianco e la studio: ha i capelli biondi lasciati sciolti in piccole onde ipnotiche, gli occhi color canna di fucile si riflettono nel vetro del finestrino e le sue guance sono tinte di un rosa più vivo rispetto al resto del suo viso. Indossa un abito bianco che le fascia i fianchi con una cintura e ai piedi porta degli stivali che le coprono i polpacci. Le lunghe gambe pallide si muovono in continuazione sotto il mio sguardo attento e...

Il mio cellulare vibra nella tasca dei miei pantaloni e io sobbalzo.

Sembrava la vibrazione dei cardini del cancello dell'istituto.

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