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Lily scese dall'autobus proprio di fronte a casa, prima che le porte si chiudessero.
Alzò lo sguardo verso quella piccola casetta indipendente con i muri grigio chiaro e il tetto costruito con delle tegole rossastre.
Prese un bel respiro e imboccò il piccolo vialetto girandosi le chiavi tra le dita.
Infilò la prima chiave nella toppa, diede mezzo giro e il portone di legno si aprì, ciò significava solo una cosa: lei era già a casa.

La dodicenne varco la soglia in silenzio, camminando a posso felpato fino alla sua cameretta, dove lasciò lo zaino in silenzio. Avrebbe potuto scappare, ma non avrebbe avuto senso. Lei l'avrebbe ritrovata. Sempre.

Il silenzio venne interrotto dal lento e ritmato bussare delle scarpe con la suola in legno sul parquet. Velocemente la ragazzina levò la catenina argentata di Jules dal collo, sapendo che altrimenti nel migliore dei casi sisarebbe macchiata irrimediabilmente di rosso, e posò il cellulare al sicuro sotto la scrivania.

-Sei in ritardo ragazzina.- sputò acida una voce alle sue spalle appena il rumore precedente cessò.

-Scusa, l'autobus era in ritardo.-rispose cauta girandosi.

Clap. Il suono ormai familiare della mano piena di anelli che si infrangeva sul suo viso.

Trattenne le lacrime: piangere era da mocciosi e lei non era una mocciosa, come le ripeteva la madre.

Poi la donna l'afferrò per i capelli e la buttò per terra.

-Non me ne frega un cazzo dell'autobus. Sei in ritardo ed è colpa tua, come per tutto.-la rimproverò con odio tirandole a ripetizione la ciabatta in legno.

Lily si svegliò di soprassalto con il fiatone.

-Shhh, và tutto bene Lily, ci sono io, sei al sicuro.- la tranquillizzò una voce dolce e familiare mentre una mano le accarezzava il viso.

Si guardò intorno e si accorse di essere in aereo con la testa appoggiata sulla spalla di Ollie, che teneva la mano destra appoggiata alla sua guancia accarezzandola con il pollice.

A quel tocco si tranquillizzò e quando il respiro tornò regolare alzò la testa.

-Scusami, non volevo appoggiarmi, devo essermi mossa nel sonno.-si scusò torturandosi le mani.

-Tranquilla, appoggiati pure se vuoi, sei carina quando dormi.-sorrise rendendosi conto dopo di quello che aveva detto arrossendo e guardando altrove mentre un sorriso ebete si allargava sulle labbra rosee dell'italiana.

Passarono diversi minuti di silenzio interrotto solo dal russare di Kimi seduto alla destra di lui, finchè finalmente non atterrarono e dovettero separarsi: la sedicenne avrebbe infatti dovuto tornare a scuola.

Prese diversi autobus e finalmente arrivò a destinazione.
Si guardò intorno per cercare Iris: vuoto.
Laddove solitamente era pieno di ragazzi che aspettavano le otto ora vi era solo il vasto cortile invaso dal silenzio. Guardò l'orario per assicurarsi di non essere in ritardo, ed erano ancora le 7 e 45.

Cauta si avviò verso il portone e vide che era aperto, così entrò.

-C'è qualcuno?-chiese prima che scoppiasse il caos mentre veniva invasa da coriandoli rossi e le luci si accendevano rivelando il corridoio colmo di studenti con la maglietta ferrari e gli striscioni che la riprendevano.

Prima che se ne rendesse conto due ragazzi dell'ultimo anno la presero in spalla e la scortarono in giro per la scuola ormai in delirio.

"LETS'GO LILY- LETS'GO LILY- LETS'GO LILY" urlavano in coro i compagni di scuola fino a raggiungere la sua classe, dove venne assalita dai "Tifosi ferrari" che chiedevano gli autografi finchè non furono costretti ad andare a sedersi e iniziare le lezioni.

Qualche ora dopo più a nord...

Pov. Ollie:

Finalmente a casa.
Ero atterrato da poco a Londra e ora era su un taxi diretto alla pista di go-kart per vedere l'allenamento di mio fratello e salutare finalmente i miei genitori dal vivo dopo molto molto tempo.

Infatti, per stare al passo con tutto, era stato costretto a gennaio a trasferirmi definitivamente in Italia, lontano dai miei genitori, e questa era la prima volta che tornavo a fargli visita.

Una volta arrivato lasciai la mancia all'autista e mi diressi ai box, dove sapevo avrei trovato la mia famiglia.

-Mi scusi, lei è la signora Bearman?-chiesi ridacchiando in inglese a mia madre da dietro facendola girare. Lei mi abbracciò stringendomi le braccia al collo nonostante fosse leggermente più bassa.

-Oliver! Vieni, fatti abbracciare, mi sei mancato da morire... Come stai? Hai fatto un buon viaggio? Sei cresciuto o sbaglio?-iniziò a riempirmi di domande e a esaminarmi per assicurarsi che stessi bene.

-Eddai Terri, lascialo respirare. Allora figliolo, novità? Com'è l'Italia?-sorrise mio padre dandomi una rumorosa pacca sulla spalla mentre abbracciavo mia sorella Amalie.

-Tutto bene, sono ancora un po' indolenzito. Devo riabituarmi alle nuvole al freddo e il taxista mi ha preso per straniero dicendo che ho un'accento italiano, ma è bello essere tornati a casa. Il campioncino?-chiesi utilizzando il buffo soprannome affidatomi da me.

-Ha appena finito, stà per rientrare. Quando ha saputo che non avresti gareggiato a Monaco era tristissimo, sarà al settimo cielo quando ti vedrà.-

Come lo disse infatti un go-kart si fermò quà vicino e un ragazzino scese correndo nella nostra direzione con ancora indossò il casco.

-OLLIEEEE!-urlò abbracciandomi stretto e io ricambiai.

-Hey campione come và?-sorrisi mentre lui si toglieva il casco e mi sorrideva felice.

-Io alla grande, tu? Ti hanno già chiamato in Ferrari pk hanno cambiato idea su Hamilton? E hai visto come sono migliorato con i tempi? Ho seguito i consigli che mi hai dato tu. L'Italia è bella come dicono tutti? E com'è la pizza? Mangiano davvero la pasta tutti i giorni?-

Risi per il suo entusiasmo, cercando di rispondere alle sue domande prima che me ne facesse altre.

Sì, ero di nuovo a casa.

l'orso e il giglioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora