Capitolo 32 fuga nella notte

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Nella follia c'è un piacere che solo i pazzi conoscono
DRYDEN

POV Mattheo

La sera era scesa in silenzio sulla città, ma dentro di me c'era solo caos. Camminavo avanti e indietro nella cucina del ristorante, i pensieri che si rincorrevano senza sosta. Eileen mi guardava da dietro il bancone, preoccupata. Sapeva che qualcosa non andava, ma nessuno dei due aveva ancora avuto il coraggio di parlare.

Mi fermai, appoggiando le mani sul tavolo. Dovevamo andarcene. Non c'era più tempo. Mio padre... lui era diventato una minaccia che non potevamo più ignorare. Non ci avrebbe mai lasciati in pace. Aveva già distrutto Arthur, e sapevo che, se fossimo rimasti, avrebbe distrutto anche noi.

<<Eileen, dobbiamo andare,>>dissi infine, rompendo il silenzio che ci avvolgeva da ore.

Lei sollevò lo sguardo, sorpresa, ma non incredula. <<Andare dove? Mattheo, cosa stai dicendo?>>

Mi avvicinai a lei, sentendo il peso di tutto ciò che stavo per dire. <<Dobbiamo scappare. Non c'è altra soluzione. Mio padre non si fermerà finché non ci avrà rovinato tutti. Arthur... Arthur è già in coma per colpa sua, e io non posso permettere che tu faccia la stessa fine.>>

Gli occhi di Ellen si riempirono di preoccupazione, ma anche di determinazione. <<Mattheo, ma non possiamo semplicemente fuggire. Dove andremo? Come faremo a lasciarci tutto alle spalle?>>

Le presi le mani, cercando di infonderle tutta la sicurezza che non sentivo. <<Non lo so ancora. Ma non possiamo restare. Ogni giorno che passa, mio padre diventa più pericoloso. Non possiamo fidarci di lui. Dobbiamo partire, stanotte, prima che faccia qualcosa di irreparabile.>>

Lei esitò per un attimo, poi annuì. <<Se pensi che sia l'unica soluzione, allora ti seguirò ovunque, Mattheo.>>

Le sue parole mi diedero forza. Sapevo che scappare sarebbe stato difficile, ma con Eileen al mio fianco, tutto sembrava possibile.

Non c'era molto tempo per prepararsi. Lasciai Eileen a raccogliere le nostre cose mentre io chiudevo il ristorante. Sentivo l'adrenalina scorrere nelle vene, la paura che potesse succedere qualcosa da un momento all'altro. Mio padre avrebbe potuto trovarci, o peggio, capire cosa stavamo facendo.

Nel buio della notte, mentre preparavamo il necessario per fuggire, la realtà della situazione iniziò a pesarmi addosso. Stavo per lasciare tutto quello che conoscevo. Non avrei più potuto vedere Arthur, non avrei più potuto lavorare in quella pasticceria che avevamo costruito con tanta fatica. Ma sapevo che non c'era scelta. Restare significava morire, in un modo o nell'altro.

Una volta sistemate le ultime cose, mi voltai verso Eileen. Lei era già pronta, con lo zaino sulle spalle e una luce di determinazione nei suoi occhi. <<Pronta?>> le chiesi, la mia voce un po' tremante.

<<Sì,>> rispose lei, ma si vedeva che era tesa. Entrambi lo eravamo. Stavamo per lasciare tutto.

Aprii la porta del ristorante, il vento freddo della notte che ci colpì in pieno viso. Uscimmo senza fare rumore, dirigendoci verso la macchina parcheggiata poco distante. Ogni passo che facevamo sembrava amplificare il suono dei nostri respiri, dei nostri cuori che battevano all'unisono, spinti dalla paura e dall'incertezza.

Mentre caricavamo le valigie nel bagagliaio, guardai per un attimo il ristorante. La mia vita fino a quel momento, la mia casa. Poi mi costrinsi a distogliere lo sguardo. Non potevo permettermi di essere sentimentale. Non adesso.

<<Partiamo,>> dissi, salendo in macchina e avviando il motore.

Ma non appena girai la chiave, il rombo dell'auto fu sovrastato dal suono di un clacson. Mi voltai di scatto, e il sangue mi si gelò nelle vene. Un'auto era parcheggiata poco distante. Era lui.

Mio padre.

<<Mattheo, cosa facciamo?>> Eileen era visibilmente spaventata, ma cercava di mantenere la calma.

Mio padre non si muoveva dalla macchina, ma il suo sguardo era fisso su di noi. Potevo sentire la sua presenza, minacciosa come sempre. Stava cercando di intimidirci, di impedirci di andarcene.

<<Non c'è tempo,>>mormorai, ingranando la marcia. <<Dobbiamo andare, adesso>>.

Premei sull'acceleratore, il motore ruggì e la macchina partì a tutta velocità. Mio padre ci seguì subito, le sue luci abbaglianti che illuminavano lo specchietto retrovisore come una sentenza di morte. Il cuore mi martellava nel petto, il volante stretto tra le mani. Stava cercando di fermarci. Di nuovo.

Le strade erano deserte, illuminate solo dai lampioni e dalle luci delle case ormai spente. Non avevo idea di dove stessi andando, ma sapevo solo che dovevamo allontanarci. Il rombo del motore di mio padre si faceva sempre più vicino.

<<Mattheo!>>gridò Eileen, aggrappandosi al sedile. <<Sta per raggiungerci!>>

Non c'era più tempo per pensare. Girai bruscamente in una strada secondaria, tentando di seminare mio padre. Le gomme stridettero sull'asfalto, il mondo attorno a noi si trasformò in un vortice di luci e ombre. Sentivo il cuore battere nelle orecchie, la paura che si mescolava all'adrenalina.

Poi, all'improvviso, le luci che ci inseguivano sparirono.

Mi fermai sul ciglio della strada, il respiro affannato, cercando di capire se fossimo davvero al sicuro. Guardai Eileen, che era bianca in volto ma incredibilmente calma.

<<Ce l'abbiamo fatta?>>chiese, la voce tremante.

Mi voltai verso la strada vuota. Nessun segno di mio padre. <<Sì,>> sussurrai. <<Per ora, sì.>>

Non sapevo per quanto tempo saremmo riusciti a restare nascosti, ma per la prima volta in mesi, sentii un briciolo di speranza. Eravamo insieme, vivi. E forse, solo forse, potevamo lasciarci tutto questo inferno alle spalle.

Ripresi a guidare, ma questa volta più lentamente. Avevamo ancora molta strada da fare, e tante ferite da curare. Ma una cosa era certa: non avrei permesso a nessuno di farci del male. Non più.

Answering my destiny (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora