18 - Lo sbocciare della rosa

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"Mhmm... che succede...".

"Niente, André", pronunciava Oscar sottovoce. "François si è svegliato: ora accendo una candela...". Si alzava poi dal letto per avvicinarsi a suo figlio:

"Piccolo, che cos'hai? Non ce la fai proprio a non svegliarti la notte, eh?", gli diceva prendendolo tra le braccia, amorevole, sebbene piuttosto stanca.

"Direi di no... che ore saranno?".

"Le quattro del mattino... André, perché non vai a dormire nella stanza libera in fondo al corridoio... così almeno non ti disturbiamo".

"No, no. Non preoccuparti, figurati se mi disturbate...", fece un discreto sbadiglio dietro la mano; "... anzi, intanto vi guardo, come siete belli. Piano piano vedrai che mi riaddormento. Tu come stai?", domandava insonnolito. "Ma questo bimbo nostro ha sempre fame?".

"Non è solo fame. È che mi vuole".

"Come dargli torto...".

Lei sorrise al marito.

"Non voglio andarmene, ma stare con voi... è così impegnativo tutto quello che fai, questo furfante non ti fa mai riposare... Io almeno finora l'ho fatto: ma tu ti sei già alzata per François, non è vero?".

"Sì, si era messo a piangere anche circa tre ore fa".

"Grazie per il dono che mi hai fatto, dando alla luce nostro figlio", allungò il braccio per intrecciare le dita a quelle di lei.

"Lo hai dato anche tu a me, lo sai. Mi hai sempre dato qualunque cosa", le venne ancora da aggiungere, mentre guardava suo figlio, come con l'istinto di vuotarsi: "E poi tu hai creduto sempre in noi. Io non l'ho fatto, invece".

"Ti piace proprio tormentarti, eh? Che pensieri ti metti a fare, alle quattro del mattino!?", si tirò un po' su con il viso sostenendolo col gomito. "Non credi, amore mio, che dovresti solo cercare di non angustiarti più? Che una persona straordinaria come te, che ha dovuto dimostrare, da sola, più di un uomo e di una donna insieme ciò di cui si è resa capace, avrebbe solo diritto di stare bene?".

"Sola però non lo sono stata mai", gli chiese un bacio, non potendosi avvicinare, per non disturbare il bambino che si tranquillizzava al suo seno.

Lui le si accostò per porgerle le labbra, e poi si accucciò accanto a loro due, per guardarli ancora più da vicino.

"Vorrei provare, vorrei provare veramente a non pensare più al passato, a guardare solo avanti... ma come posso farlo? Quando sono consapevole di esser stata tanto ingiusta con te...".

"Solo una volta lo sei stata. Una volta sola, in realtà". Si sistemò il cuscino per mettersi un po' più seduto a parlare con lei, che evidentemente sentiva bisogno di aprirsi. "Ma non hai nulla da farti perdonare, perché io non sono stato da meno. Tu sei sempre pronta ad ammettere le tue responsabilità: e io? Mi sono vergognato per averti umiliata così quella volta... ancora mi detesto, se ci penso...".

"Quella sera sono stata meschina... quando tu hai finito col dichiararmi il tuo amore".

"L'ho fatto nel peggiore dei modi".

"Però io ti ho creduto. Quando me lo hai detto, ti ho creduto subito. Avrei potuto non farlo, ma credevo in te, a quel che dicevi".

"Non lo avevi proprio capito, prima, però".

"No, non lo avevo capito. Eppure quello che provavi per me, non era poi così nascosto, a ripensarci oggi. Il tuo amore mi era sempre accanto, come mi eri accanto tu", gli rivolse uno sguardo eloquente.

"Quando sono andata in Normandia", proseguiva accostando la testa allo schienale del letto, dando seguito ai suoi pensieri, "non volevo farti soffrire, sentivo di non essere in grado di ricambiarti. Ripensavo a quello che hai fatto per venirmi a salvare, perdendo il tuo occhio. E ciò che dicesti, in quel giorno all'alba, rivenne a galla, a cercarmi, e mi feci male; nel pensare a quanto ero stata vigliacca a non capire".

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