32 - Niente di cui lamentarsi

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Quelle giornate afose in cui l'estate si annunciava quasi togliendo il fiato, infiacchivano di fatica tutti i lavori quotidiani. Ma nelle notti, sul tardi o alle prime ore del mattino, appena l'aria si faceva leggera come trasportasse la rugiada depositata sui campi, ecco che si risvegliavano nell'animo il piacere della vita e le sue gioie.

Si erano addormentati abbastanza presto André e Oscar, appena François aveva ceduto al sonno, esausti vista l'insofferenza del bambino al caldo e per via degli ultimi denti, che come perline andavano adornando il sorriso del piccolo.

Erano circa le tre quando lei, svegliata dal latrato di un cane, in lontananza, si alzò a bere e a controllare il figlio che, con le gambe divaricate e le braccia stese in alto, oltre la testolina, dormiva nel suo letto con una espressione buffa e un po' imbronciata. Gli sorrise, si soffermò a scrutare ogni parte di lui.

Spense la lampada per poi tornare a distendersi. Le finestre erano tutte aperte. Suo marito accanto, offriva la schiena vagamente profilata dai riflessi della luna. Si sdraiò piano su di lui. Adagiandovi il seno assaporò quel contatto che sprigionava insieme freschezza e tepore.

Si infilò con la bocca sotto al collo di André, sussurrando leggerissime parole di desiderio. Così leggere e soavi che lei non osava ripeterle. Non voleva destarlo, se il marito aveva bisogno di riposare tanto profondamente. Sembrò dunque rinunciare, gustandosi appieno quel momento. E proprio quando era convinta di non aver prodotto nessun sortilegio sul risveglio del marito, avendo indugiato in quel silenzio dopo un'esplicita richiesta, lui invece, sveglio, rispondeva:

"Credevo fossi il mio sogno".

E rapido si voltò, assaggiando con tutta la superficie del suo torace il corpo di lei. Che si faceva avvolgere in quell'abbraccio desiderato.

"Bella sorpresa... avermi svegliato", André non se ne lamentava affatto, prendendo a stringerla tra le mani. Né poteva lamentarsi lei, posta a cavallo sui fianchi del marito.

Sebbene nell'oscurità, si sorrisero. Si sorrisero come quando si pensa alla fortuna per il premio che si è appena vinto; e si sceglie di tenerselo ben stretto.

Intrecciati, tutt'e due, persino nelle ciglia mentre si baciavano il viso, si lasciarono andare all'amore. Come volevano o come già sognavano. Deliziati. Nel preludio del mattino.

La stessa notte una carrozza correva velocemente allontanandosi da Parigi.

A condurla era il conte di Fersen, vestito da cocchiere. Il piano consisteva nel portare i sovrani in incognita fino alla città di frontiera più vicina, a circa trecento chilometri a est della capitale, sul confine con il Belgio, allora territorio dell'Austria.

A circa mezz'ora dalla partenza, il conte fermò la vettura e si rivolse a Luigi XVI: "Maestà, siamo arrivati a Bondy", inchinandosi dopo aver aperto la portiera, "Una breve sosta per sostituire i cavalli. Sono stati messi a disposizione dal generale Jarjayes. Ed è stato un suo ex soldato di reggimento ad aver collaborato nell'uscita dalle Tuilleries".

"Lo so bene. Sono riconoscente nei confronti del generale".

"Lavoriamo a questa operazione da tempo. Il generale Bouillé, invece, vi aspetterà a Pont-de-Somme-Vesle per scortarvi sino a Montmédy con un reparto di cavalleria. La strada per Châlons è abbastanza sicura: spero possiate considerarvi ormai fuori pericolo".

"Bene, conte di Fersen", in piedi di fronte al colonnello, sua maestà gli esprimeva la sua gratitudine: "Io vi ringrazio e vi invito a lasciarci qui. Proseguite pure nella direzione che preferite".

"Vi prego non...".

"Vedete", continuò con determinazione, "voi siete un cittadino svedese. Io non vorrei coinvolgervi nel caso ci dovesse accadere qualcosa di spiacevole".

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⏰ Ultimo aggiornamento: 8 hours ago ⏰

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