Capitolo 2

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Settembre 2024

«Dormi a casa stanotte?» La zia la guardò, annuendo. Il funerale era finito da poco, e nessuno aveva voglia di tornare a casa. Sarah meno di tutti. Avevano deciso di rintanarsi lì, per qualche ora. In quella villa immensa dove lei era cresciuta. Casa di zia Aurora, la sorella della mamma. Loro erano i parenti ricchi, quelli che a ogni Natale portavano i regali migliori, e che ogni estate invitavano tutti per meravigliose feste in piscina. Stavano insieme da tanto, Aurora e Massimiliano, eppure Sarah aveva sempre creduto poco al loro amore. Resistevano, comunque. Ed erano una bella famiglia, insieme ai tre figli. Carlotta, trentacinque anni, era la più grande tra i cugini. Già sposata da tempo e con due pargoli al seguito che Sarah non aveva visto in chiesa o al cimitero, ma aveva trovato, tremendi come li ricordava, a rimpinzarsi di patatine con la tata.

Più piccola di Carlotta di cinque anni, c'era Tea, lo spirito libero della famiglia. Poco assomigliava alla sorella, o alla madre. Era un'artista, lei. E, si sa, gli artisti non sono mai ben visti in famiglia. Così aveva deciso di laurearsi, per dare alla madre un pezzo di carta da appendere in salone, e si era trasferita a Milano subito dopo la proclamazione, per fare l'interior designer. Sarah era sempre stata affascinata da quella cugina così sopra le righe.

Ultimo, ma non per importanza, Michele, ventisettenne. Il più vicino a Sarah, per età, ma del tutto distanti per interessi. Michele era sempre stato lo scapestrato, laureato per miracolo in economia e ora dipendente di un amico dei genitori che, Sarah ne era certa, lo faceva lavorare più per amicizia che per competenza. Non aveva mai avuto grandi pretese, comunque, e quel lavoro d'ufficio riusciva a soddisfarlo appieno.

Sarah voleva bene ai cugini, era felice di rivederli dopo tutto quel tempo, ma sapeva che quello era più che altro un rapporto dovuto. Nessuno lo avrebbe scelto, ma era la famiglia, e nessuno sarebbe mai scappato dalla famiglia. I cugini erano comunque più a suo agio di lei. Ma, in fondo, lei era sempre stata particolare. Davvero particolare. Aveva sempre avuto pochi amici, la sua migliore amica era stata la zia fin da bambina. Aveva trovato Leah a New York, avevano convissuto per un anno e mezzo ed erano diventate amiche per forza. Aveva lasciato un paio di persone nella Grande Mela. Qualche conoscenza, nessuna amicizia seria. Persone di cui si circondava per non stare da sola. A conti fatti, le sue due uniche amiche erano zia Caterina e Leah.

Prima non era così. Prima la sua vita era diversa, piena di amici, con un fidanzato. Una vita perfetta: genitori perfetti, amici perfetti, fidanzato perfetto. Aveva tutto. Ma, lo aveva capito a sue spese, la vita toglie. E lo fa in fretta.

«Sarah, mi ascolti?» scosse il capo, scusandosi silenziosamente e uscendo da quel vortice di pensieri che la turbava.

«Scusa, mi ero un attimo persa» ammise, trovando subito il sorriso spontaneo e conciliante della zia.

«L'avevo notato. Comunque, sì... verrò a stare da voi per un po', ho già parlato con tua madre» spiegò, fingendo tranquillità.

«Non devi, ci sono io», si fece subito avanti la ragazza.

«Io vorrei che tu tornassi a New York» ribatté sincera la zia, provocando in Sarah un sonoro sospiro.

«No. Non tornerò a New York, te l'ho già spiegato» disse sicura, alzandosi dalla sedia e andando verso il giardino. Nonostante la maggiore età, nonostante gli anni a New York, nonostante ormai fosse grande abbastanza, nessuno in famiglia sapeva di quel brutto vizio del fumo. Aveva iniziato a New York, e nemmeno sapeva il perché. Aveva sempre odiato l'odore del fumo, il sapore di nicotina, l'odore perennemente impregnato su vestiti e capelli. Ma a New York, soprattutto all'inizio, era sola, era triste, era arrabbiata. Aveva pensato che era meglio buttarsi sulle sigarette che sulle droghe.

«Da quando fumi?» La voce tranquilla del cugino la fece trasalire. Sperava di essersi nascosta bene, nonostante non si fosse impegnata molto a farlo.

«Da un po'» rispose laconica.

«Sono rimasti tutti sorpresi». Sorrise a quella affermazione e capì che, no, non si era nascosta bene per niente.

«Immagino... non lo sapeva nemmeno zia Cate. Ma ho bisogno di una sigaretta, adesso». Quasi si scusò con quel cugino a cui non doveva alcuna spiegazione. Lui alzò le spalle.

«Hai ventitré anni, sei libera di decidere per te stessa». Lei annuì, un po' incerta. Era libera di scegliere, ma tra quelle persone si sentiva comunque una bambina.

«E tu come stai?» chiese, spostando l'attenzione dalla sigaretta a quel cugino che non vedeva da anni. «Ancora single e cazzone?» aggiunse, facendolo ridere di gusto.

«Che vuoi che ti dica, Sa'? Mi piace troppo la vita... sai che ho problemi a legarmi. Ho bisogno di divertirmi ancora un po'» ammise, muovendo un po' la folta chioma nera e ben curata. Lei annuì a quelle parole e vi trovò un po' di se stessa. Non la parte sul divertimento, quanto più sul problema a legarsi. «Comunque ho un bel gruppo di amici, potresti uscire con noi qualche volta» aggiunse. Lei esplose in una risata sonora e contagiosa, la prima dopo giorni di buio totale.

«Grazie, ma rifiuto l'offerta» rispose, continuando a ridere. Lui la guardò male.

«Perché? Sono simpatici» riprovò, cercando di essere più convincente.

«Ci credo. Ma sai che abbiamo gusti diversi rispetto alle persone da frequentare» spiegò, facendolo annuire consapevole. Nonostante la poca differenza di età, non avevano mai approfondito in amicizia. Troppo distanti, troppo diversi.

«Allora potremmo uscire da soli, qualche volta... per parlare. Hai gli occhi così tristi...». Quell'ultima frase le fece abbassare il capo, mentre un sorriso commosso si liberava sul suo viso stanco. Il cugino la conosceva bene, nonostante tutto. Riusciva a capirla.

«Anche tu, se è per questo» provò a pararsi dietro parole scontate, ma lui non si fece intimidire. Si avvicinò e la strinse forte. Sapeva che, in quel momento, Sarah aveva solo bisogno di un abbraccio sincero. Le lasciò un dolce bacio tra i capelli che ancora sapevano di aeroporto e la guardò negli occhi.

«È vero, ma so mascherarlo meglio» chiosò, facendola sorridere ancora. Sarah era certa che non avrebbe mollato. E, dentro di sé, non voleva che Michele mollasse.

«Facciamo così» iniziò, rimanendo stretta in quell'abbraccio, «io mi sistemo un attimo, aspetto che arrivi la mia roba da New York, recupero un po' di ore di sonno, e usciamo... ok?» Lui la guardò in cagnesco.

«Me lo dici solo per farmi contento?»

«Sei contento?» Scoppiarono a ridere entrambi. A Sarah erano mancati quei momenti.

«Sarò contento quando uscirai» insistette lui.

«Ma io uscirò. Non con te e i tuoi amici ricconi, ma uscirò» promise. «Con te, con zia Cate...»

«Ah-ah, zia Cate non è in lista!» Sarah ridacchiò, ricordando quanto negli anni Michele avesse sempre bonariamente deriso quel rapporto. «Devi stare meglio, devi svagarti». Aveva ragione, lo sapeva. Sarebbe stata vicino alla madre e alla zia senza perdere sé stessa.

«Potresti chiamare Joseph» azzardò lui, dopo qualche secondo di silenzio. Sentendo quel nome, Sarah si irrigidì. Lo scrutò qualche secondo, prima di sciogliere l'abbraccio.

«Joseph non fa più parte della mia vita» rispose dura, notando nel cugino un moto remissivo delle spalle, pieno di sconforto.

«Potrebbe rientrarci, però» provò lui, ancora.

«No, non credo» ribatté più dura e decisa, abbandonandolo poi in giardino e tornando dentro. Vide subito la mamma sul divano, assorta in troppi pensieri, mentre una preoccupata zia Aurora provava a farsi ascoltare e a coinvolgerla. Era completamente assente e Sarah sentì nitidamente il suo cuore stretto in una morsa che le bloccava il respiro. Avrebbe voluto fare di più, aiutarla in qualche modo. Avrebbe voluto che la sua presenza bastasse, che tutta quell'enorme famiglia bastasse. Ma quella donna così minuta aveva perso troppo. E Sarah sapeva che non sarebbero bastate un milione di persone per colmare quella mancanza.

Solo chi sogna può volare // HoldarahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora