Capitolo 11

190 16 4
                                    

Settembre 2024

Sarah aprì la porta di casa cercando di non fare troppo rumore. Era tardi. Era già tardi quando si era presentata di soppiatto a casa di Joseph. Aveva dovuto svegliarlo, ed era rimasta lì per un po'. Aveva provato ad ascoltarlo, quando lui le aveva detto di voler dormire. Si era avvicinata alla porta, ma non era riuscita ad aprirla. Era stata egoista, ancora. Aveva bisogno di stare con lui. Ne aveva sempre avuto bisogno, nonostante non fosse riuscita ad ammetterlo, negli ultimi due anni. Poche ore prima ce l'aveva fatta, e sarebbe rimasta in quella stanza, con lui, per tutta la notte. Dopo l'imbarazzo iniziale, erano tornati a essere loro. Avevano parlato tanto. Sarah gli aveva raccontato la sua vita a New York e il suo ritorno. Gli aveva parlato del lavoro americano e di quello che avrebbe fatto qui. Aveva parlato soprattutto lei, in effetti, e lui l'aveva ascoltata. Dopo le scuse, dopo gli errori ammessi, aveva voluto ascoltarla. Sapere. E lei era stata del tutto sincera.

Dopo le scuse, dopo aver ammesso ogni errore, non era più tornata sull'argomento, per non apparire asfissiante. Avrebbe voluto ripetergli per ore quanto le fosse mancato, quanto era pentita, ma decise che glielo avrebbe dimostrato.

Non c'era stato alcun contatto fisico, oltre il lungo abbraccio iniziale. Non sapeva nemmeno lei cosa sperasse davvero, ma entrando in casa, non poté ignorare quell'amaro in bocca tipico della delusione cocente. Ma, in fondo, cosa poteva aspettarsi? Joseph era rigido, frenato, nonostante avesse provato a nasconderlo in ogni modo, ed era normale. Una reazione più che plausibile. Lei avrebbe voluto fare l'amore con lui. Aveva deciso di non essere egoista almeno in quello e di lasciargli tutto il tempo necessario.

«Avete parlato?» La voce stanca di Monica si fece spazio nel salotto. Sarah sobbalzò impaurita: la casa era immersa nel buio e non aveva notato la madre stesa sul divano. Accese la luce e la squadrò preoccupata.

«Che fai ancora sveglia?» chiese, ignorando la domanda. Posò le chiavi nello svuota tasche all'ingresso e raggiunse la poltrona del padre, accoccolandovisi sopra. La stanchezza iniziava a farsi sentire e non era certa che sarebbe riuscita ad arrivare nella sua stanza.

«Ultimamente dormire è davvero difficile» ammise la madre alzando le spalle. Sarah sospirò e si alzò dalla poltrona, avvicinandosi al divano su cui era stesa la donna che, subito, le fece posto sorridendole. Un sorriso tirato, comunque più grande di ogni sorriso degli ultimi anni.

«Hai parlato con Joseph?» rimarcò insistente.

«Sì» rispose. «Gli ho chiesto scusa per tutto, abbiamo parlato tanto...» aggiunse, lasciando in sospeso la frase.

«Allora?» Monica inarcò un sopracciglio. «Ti vedo triste». Qualche lacrima ribelle sfuggì per l'ennesima volta al controllo di Sarah, che la spazzò via con un veloce gesto della mano, respirando a pieni polmoni prima di continuare.

«Lavora in fabbrica» spiegò amareggiata. La stessa amarezza celata nello sguardo di Sonia. La stessa amarezza che percepiva anche in Monica.

«Lo so» si limitò a dire lei. Sarah sgranò gli occhi.

«E la cosa non ti turba? Perché non me lo hai detto?» Quasi la rimproverò, pentendosene l'istante dopo.

«Sì che mi turba, tantissimo, ma nessuno poteva fargli cambiare idea. E non te l'ho detto perché non volevi nemmeno sentirlo nominare, iniziavi a sbraitare come un'ossessa» la redarguì. Sarah iniziò a mordicchiarsi il labbro.

«Sono stata una stronza...»

«Sì, abbastanza... ma fortunatamente hai ventitré anni e tutto il tempo di recuperare» la tranquillizzò dolcemente la madre, strappandole un mezzo sorriso.

Solo chi sogna può volare // HoldarahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora