Settembre 2024
Se un paio di anni fa le avessero detto che ci avrebbe messo dieci minuti per suonare il campanello di casa di Joseph, avrebbe riso di cuore. Fino a due anni prima, era entrata in quella casa a ogni ora del giorno e della notte. Aveva passato più tempo lì che in casa sua. I genitori di Joseph l'avevano sempre trattata come una figlia e, stanchi di doversi alzare in piena notte per aprire la porta, avevano iniziato a lasciare aperta quella sul retro. Fino a due anni prima quella era stata anche un po' casa sua.
In quel momento pensò a Meredith Grey, la protagonista del suo telefilm preferito che, più di una volta, aveva ribadito che il cambiamento faceva parte dell'essere umano. E quindi eccola lì, davanti la porta di quella casa gialla, da dieci minuti. Avrebbe dovuto suonare. Avrebbe voluto suonare. Entrare e scusarsi con quella famiglia per l'assenza. E con Joseph. Soprattutto con Joseph.
Aveva paura, era quella la triste verità. Aveva paura perché lui ci aveva provato tante volte e poteva essersi stancato. Magari era troppo tardi. Avrebbe potuto biasimarlo? Il suo sbaglio era troppo grande.
«Sarah!» Sobbalzò, voltandosi leggermente. La madre di Joseph le sorrise. Un sorriso sincero che riuscì a calmarla leggermente.
«Ciao Sonia» balbettò.
«Joseph mi aveva parlato del tuo ritorno...» Lasciò la frase in sospeso mentre il senso di colpa di Sarah si trasformò in un sospiro rumoroso. «Mi dispiace per tuo padre» aggiunse.
«Ti ho visto al funerale» rispose, racchiudendo in quelle parole un grazie che non riusciva a pronunciare.
«Purtroppo non ce l'ho fatta a venire al cimitero, avevo il turno a lavoro» si giustificò la donna. Sarah scosse il capo.
«Non preoccuparti... c'era Joseph al cimitero» la tranquillizzò. Sonia le sorrise con quel sorriso tanto familiare, invitandola a entrare.
«Io...» tentennò Sarah.
«Non volevi entrare?» la schernì appena.
«Sì, ecco... diciamo che ci stavo pensando. Provavo a mettere insieme un discorso» ammise.
«Tra te e Joseph non c'è mai stato bisogno di preparare discorsi. Parla col cuore, va sempre bene» la spronò, convincendola. Sarah si guardò intorno: non era cambiato nulla, sembrava che gli anni non fossero passati.
«Come sta Marco?» chiese Sarah, per non far morire quella conversazione. Nonostante non fosse cambiato nulla, un sottile velo di imbarazzo la paralizzava. In fondo, era lei che aveva fatto soffrire come un cane il figlio di quella donna meravigliosa. Sonia, comunque, non fece nulla per metterla a disagio.
«Solito» ammise, alzando le spalle. «Adesso è a lavoro, ha il turno di notte». Sarah annuì, ricordando il padre di Joseph. Era un medico, un chirurgo. Uno di quelli bravi, davvero bravi. Portava a casa parecchi soldi, eppure nessuno si era mai cullato su quello, in famiglia. Joseph aveva sempre fatto qualche lavoretto per togliersi gli sfizi e per contribuire alle tasse universitarie. Sonia aveva sempre lavorato. Faceva la barista. O, meglio, il bar era suo, della sua famiglia da generazioni, eppure non lo aveva mai fatto pesare agli altri dipendenti. Erano belli. Una bella famiglia.
«Joseph è in casa?» Sarah decise di aprire l'argomento, spezzando quella tensione di inutili convenevoli.
«Credo di sì. Domani ha il turno di mattina, probabilmente sta dormendo» spiegò Sonia.
«Che turno?» chiese Sarah curiosa.
«Te lo dirà lui» sussurrò la donna sorridendo.
«Comunque... se sta dormendo torno domani» disse Sarah alzandosi e avviandosi verso la porta. Sonia la fermò dolcemente.
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Solo chi sogna può volare // Holdarah
RomanceCome si supera la morte di qualcuno? Sarah, ventitreenne romana e promettente fotografa, non l'ha mai imparato. A ventuno anni si è trovata a dover affrontare la perdita di una delle persone più importanti della sua vita e, incapace di reagire, è f...