Capitolo 14

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Settembre 2024

«Questo è senza dubbio il caffè più buono del mondo» cantilenò Sarah sognante mentre camminava per le strade del centro con Joseph. Avendo entrambi la mattinata libera, avevano deciso di fare un giro per la città, come due turisti. Erano in Via del Corso, un posto che, anche in passato, avevano vissuto poco, non essendo proprio dietro l'angolo rispetto alle loro case e avendo avuto altro da fare.

A loro era sempre bastato il parchetto del quartiere, o la fabbrica abbandonata per il parkour. Quando nel parkour erano migliorati, avevano abbandonato quella fabbrica, senza comunque allontanarsi troppo. Avevano iniziato a saltare da palazzi ravvicinati, quelli delle case popolari, dove nessuno gli diceva niente. Oppure alle fermate della metro, dalle scale o dai corrimano. Lì qualcuno pronto a sgridarli lo avevano trovato, ma non erano molti quelli che avevano infastidito.

Per anni, il centro di Roma lo avevano raggiunto solo per bere quel caffè, in uno dei bar più antichi della città. Erano disposti a fare ore di fila, per quella bevanda che da nessun'altra parte avrebbero trovato così buona.

«Pensavo ti fossi abituata al caffè americano» la schernì Joseph, nascondendo una punta di amarezza. Sarah sospirò affranta. Quando nominava l'America, lei sentiva lo stomaco cedere e la voglia impellente di vomitare. Si era scusata, tante volte, ma non sembrava abbastanza. Sapeva quanto lui avesse sofferto. Lo percepiva. Quello non era più il suo Joseph. Non era più il ragazzo solare, spensierato e divertente che aveva lasciato due anni prima. E gran parte della colpa era sua, Sarah ne era certa e non riusciva a perdonare se stessa. Era decisa a non chiedere più scusa, perché le parole, come al solito, le avrebbe portate via il vento. Voleva trovare un modo concreto di farsi perdonare. Perché, nonostante lui la tranquillizzasse in ogni momento, lei non era sicura che l'avesse del tutto perdonata.

«Per carità, il caffè americano fa schifo» sentenziò.

«Ma tutto il resto è bellissimo, in America... o sbaglio?» aggiunse, quasi a voler finire la frase della ragazza. Lei scosse il capo, sicura.

«No... tutto sembra bello, sanno come vendersi. Insomma, New York è una città assurda e piena di contraddizioni. Non ho mai avuto i soldi per vivermi la parte bella e ricca di New York. Abitavo in uno dei quartieri più brutti della città, in un monolocale a novecento dollari al mese. Spesso non avevo soldi per fare altro, solo per bollette e affitto. Ho mangiato patatine del discount per non so quanto tempo» raccontò. Sentì lui interessato, nonostante non potesse osservarlo a lungo durante la camminata.

«Non lavoravi?» chiese retorico, fermandosi sulla prima panchina libera. Sarah si sedette accanto a lui, mantenendo una distanza che le sembrava innaturale.

«Sì, certo, lavoravo... ma quanto pensi che prenda una gallerista alle prime armi? Diciamo che facevo un po' di soldi vendendo le mie foto, ma non erano comunque abbastanza» rispose.

«Però non sei mai tornata» affermò lui.

«Sono tornata... a un certo punto» rettificò Sarah.

«Sei tornata per la morte di tuo padre» la corresse. Un botta e risposta che fortificava ogni convinzione di Sarah: Joseph non l'aveva affatto perdonata.

«Sarei tornata comunque, credo» ammise. «Avevo bisogno di staccare. Sono stata egoista, e me ne sto pentendo tantissimo, perché ho perso anni che nessuno mi ridarà indietro. Ho perso due anni dei miei genitori, due anni difficili, i più difficili della loro vita. Non ci sono stata, e non sai quanto mi pesi. E ho perso te... ho perso tantissimo, per colpa del mio stupido egoismo» aggiunse senza alcun timore. Non era pentita, come non si era mai pentita di aver aperto il suo cuore a Joseph. Il loro rapporto era sempre stato onesto, avevano sempre parlato di tutto, senza problemi. E Sarah era grata, perché almeno quello non era cambiato.

Solo chi sogna può volare // HoldarahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora