Settembre 2024
«Ciao, tu devi essere Sarah!» Sorrise al ragazzo e ricambiò la stretta di mano, entrando nello studio fotografico.
«Sì! E tu sei...» lasciò in sospeso la domanda a cui il ragazzo, non molto più grande di lei, rispose in fretta.
«Francesco, piacere» rispose, allentando poi la presa. Il sorriso dolce e rassicurante di quello sconosciuto la mise subito a proprio agio. Continuò a seguirlo, fin dentro una piccola stanzetta che, suppose, era il suo ufficio. Il ragazzo raggiunse la sedia in pelle dietro la scrivania e la invitò a fare lo stesso, indicandole una sedia in finto legno. Sarah si guardò intorno. Quello doveva essere uno studio appena aperto, il mobilio era racimolato qua e là, niente di troppo sofisticato o costoso. All'ingresso, dove accoglievano il pubblico, c'era un bancone alto, con una ragazza sulla ventina pronta ad accogliere i clienti col sorriso. Poi, un corridoio corto e stretto. Sulla destra l'ufficio di Francesco, in fondo un'altra stanza che Sarah suppose essere la camera oscura.
«Bello questo posto» sussurrò onesta. Era sincera, le piaceva davvero quell'ambiente così familiare e per niente asettico. Riusciva ad avvolgerla e a tranquillizzarla. E, soprattutto, voleva rompere il silenzio che Francesco aveva creato, troppo impegnato a cercare qualcosa. Lo vide sorridere, segno che, comunque, la stava ascoltando e, ancora, quel sorriso la tranquillizzò.
«Suppongo tu ne abbia visti di migliori» bofonchiò, facendola ridacchiare. Aveva letto il suo curriculum.
«Alcuni... altri di gran lunga peggiori!» Il ragazzo si risollevò appena mentre estrasse, da una pila di fogli, la cartellina che Sarah aveva lasciato alla segretaria, Katia, qualche giorno prima.
«Eccola, finalmente! Scusa ma, come vedi, abbiamo aperto da poco e siamo ancora sommersi dal caos» si scusò. Sarah alzò le spalle, cercando di farlo sentire a suo agio. Francesco era più agitato di lei.
«Non preoccuparti» lo tranquillizzò. Lui le sorrise ancora, prima di aprire la cartellina e rileggere i fogli all'interno.
«Allora, Sarah... vieni da New York». La ragazza annuì, leggermente imbarazzata. Quando le chiedevano della Grande Mela, arrossiva sempre un po', perché per le persone quello che aveva fatto era un'impresa titanica quando la verità era che la vera impresa titanica sarebbe stata rimanere.
«Sì, ho vissuto lì due anni» spiegò.
«E hai lavorato tanto, a quanto vedo» finì lui per lei, continuando a far viaggiare i suoi occhi sul curriculum.
«Sì, abbastanza» rispose, timorosa. «Fortunatamente lì non si hanno problemi del genere, i fotografi lavorano molto. Ho lavorato per sei mesi in uno studio fotografico e per quasi diciotto mesi in una galleria. In più ho fatto parecchi servizi privati, per fare qualche soldo in più» specificò.
«E ora sei qui» concluse, senza nascondere curiosità e stupore.
«A quanto pare» rispose lei alzando le mani e provando a mantenere la calma.
«Come mai?» aggiunse lui. «New York offre molte più opportunità agli artisti...» Sarah si guardò un po' intorno. Non voleva sembrare acida, ma quella era una domanda davvero troppo personale.
«Non sono un'artista, sono semplicemente una fotografa» rispose in modo freddo, quasi indifferente.
«Non direi, le tue foto sono bellissime» rincarò, estraendole dalla cartellina. Lei guardò appena la pila, le conosceva fin troppo bene.
«Semplici scatti» sussurrò.
«No, Sarah» rispose duro e le mise due scatti davanti agli occhi. Il primo era suo, una foto di Central Park, la prima che aveva scattato a New York. La seconda foto raffigurava sempre Central Park ma, suppose Sarah, era presa da Internet. «Questo» continuò lui indicando la foto presa da internet, «è un semplice scatto. La tua, invece, racchiude delle emozioni. Hai immortalato il momento esatto in cui una madre stringe il proprio bambino, in cui due scoiattoli sembrano darsi un bacio. Hai immortalato un uccello che prende il volo, una donna che piange al telefono. Hai fermato il tempo, hai catturato la vita di queste persone. Questo non è un semplice scatto. Il tuo è un talento naturale». Sarah avvampò improvvisamente e abbassò lo sguardo con un gesto automatico. Odiava i complimenti, non aveva mai imparato a rispondere.
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Solo chi sogna può volare // Holdarah
RomanceCome si supera la morte di qualcuno? Sarah, ventitreenne romana e promettente fotografa, non l'ha mai imparato. A ventuno anni si è trovata a dover affrontare la perdita di una delle persone più importanti della sua vita e, incapace di reagire, è f...