11. LUI È IL MIO RAGAZZO

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KILLIAN


È passata ormai mezz'ora e dopo aver dialogato con uno dei benefattori dell'università, rassicurando lui che gli avrei fatto avere una maglia autografata se quest'anno la squadra avesse vinto la Frozen Four -promessa che non potrei mai mantenere-, mi ritrovo subito dopo alle prese con niente poco di meno, uno dei pezzi grossi dell'hockey professionistico: Walter Bigghie. Ex giocatore dei Vancouver Canucks, passato poi alla dirigenza del reparto scouting, due anni fa.

Era da un po' ormai che avrei voluto parlare con lui e complimentarmi per la stagione dello scorso anno, dove ha portato i Canucks alle semifinali della Stanley Cup, senza purtroppo vincere.

So che tre dei giocatori ora titolari della squadra che hanno contribuito a quelle qualificazioni, sono stati pescati da lui in alcune delle migliori università in giro per gli Stati Uniti.

Averlo qui, davanti a me è davvero un onore.

«Killian Carter, o per meglio dire Killer», esordisce, allungandomi la mano, che subito stringo.

«È un piacere, signore.»

«Chiamami pure Walt», dice tranquillamente. «Allora, prima amichevole vinta per la Silverleaf, come trovi questo cambiamento?»

«Ci sto ancora lavorando su», ammetto.

Annuisce serio, prendendo un flûte di champagne da uno dei camerieri che gli passa di fianco, mentre io rifiuto con un'alzata di mano. «Sono davvero felice di aver scelto te lo scorso anno. Hai carattere e sei molto agile con i passaggi», spiega. Sorrido, ma poi quella felicità viene spenta quando continua: «Ma devo essere sincero con te, Killian.»

«Certamente, signore.» Qualsiasi cosa serva per migliorare, sono tutto orecchi. Quel contratto me lo sono sudato e non voglio che possa significare per lui motivo di rimpianto.

«Ultimamente si sente molto parlare di te, e non bene.» Merda. «Prima il fattaccio successo in diretta nazionale con la nazionale di hockey e poi l'entrata pesante su Bea Evans in un'amichevole benefica.» Sono fottuto. «Posso comprendere uno sbaglio, ci sta, anche io sono stato giovane, ma ragazzo, lascia che ti dica...» Beve un sorso e poi mi guarda dritto negli occhi. «Ai piani alti non sono per niente felici di questo.»

Chiudo gli occhi per un secondo, sospirando leggermente per non farmi notare da lui. Ho bisogno di quel contratto, come ho bisogno di entrare nella squadra. Riapro gli occhi. «Brandon Evans è stato uno dei primi che ha chiamato la dirigenza per sollevare dei dubbi sul tuo ingaggio.» In questo momento avrei voluto quel bicchiere di champagne solo per mandare giù il groppo in gola. «Io non so...»

«Ho già spiegato via email che ho avuto problemi familiari, durante la partita con la nazionale. Per quanto riguarda invece Bea Evans, mi sono scusato e...»

Una mano mi tocca la schiena, per poi sentire: «Eccoti qui.» Mi giro, osservando un paio di occhi blu che mi scrutano e Bea che con un sorriso osserva prima me e poi il signor Bigghie. «Walt.»

«Bea», saluta felice quest'ultimo. Si conoscono? «Stavo parlando con il signor Carter dell'amichevole benefica», spiega senza troppi giri di parole.

Bea si gira a guardarmi di nuovo, poi ritorna con gli occhi su Walter e dice: «Oh, davvero?»

«La sua entrata fallosa su di te, ha fatto quasi venire un infarto al buon vecchio Evans.» Improvvisamente il tono duro di Walter, viene accompagnato da uno sguardo serio nei miei confronti.

Bea intanto resta con il sorriso sulla bocca, senza scomporsi: «Oh ma non era niente di ché, in più l'azione era regolare e Killian non ha fatto altro che il suo dovere in campo, così evitando che segnassi.»

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