14. UN ANGELO CUSTODE

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KILLIAN


«A domani allora?»

Gli occhi blu di Bea mi osservano, dopo aver aperto lo sportello della sua Tesla bianca. «Certo.» Entra in macchina e va via, lasciandomi da solo nel parcheggio della Silver Arena.

Quando arrivo al mio pick-up, entro e lascio cadere il borsone sul sedile del passeggero, per poi chiudere lo sportello e allacciarmi la cintura di sicurezza.

Infilo la chiave dentro al quadro e giro.

Riprovo.

Riprovo.

Riprovo, ma il mio pick-up non dà segni di vita.

«Dai», sprono, riprovando di nuovo. Ma niente. L'ho fatto aggiustare un mese fa per lo stesso problema, dannazione. Dove li trovo ora i soldi per portarlo di nuovo dal meccanico? Mia madre mi ha prosciugato di nuovo, e ieri sono dovuto anche correre a casa per risolvere un'altra delle sue solite stronzate.

Sbuffo e tiro un pugno al volante. «Cazzo!»

Non me ne va mai bene una.

Mi passo le mani in faccia, sconfortato e resto qualche secondo a pensare al da farsi. Mi serve questo dannato pick-up. Se avessi i soldi per permettermi qualcosa di migliore, sicuramente lo avrei cambiato già lo scorso anno quando mi ha lasciato a piedi nel bel mezzo del nulla. Fortunatamente avevo abbastanza segnale al cellulare per chiamare il carro-attrezzi, che mi è costato oltre cinquecento dollari, più altri duecentocinquanta per aggiustare questo catorcio.

Improvvisamente sento qualcuno che tira un colpetto al finestrino e mi giro, abbassandolo subito. Sono più che sicuro ora, che quest'uomo è il mio angelo custode. Non so cosa ho fatto nella mia precedente vita per meritarmi tutto questo schifo, ma almeno ringrazio chiunque mi abbia mandato sotto la protezione di Larry Dunn.

«Qualcosa non va?» Chiede da dentro la sua Range Rover nera.

«Hey, coach», dico subito, accennando un sorriso. «Niente, solo il pick-up che non vuole partire», spiego.

Aggrotta la fronte. «Non lo avevi riparato un mese fa?»

«Mi sa che mi tocca portarlo di nuovo.»

«Scendi, vedo se posso darti una mano», mi ordina divertito e acconsento, uscendo dalla macchina e aprendo poco dopo il cofano motore. «Mio padre era un meccanico», ci tiene a raccontarmi per l'ennesima volta, quando inizia a mettere mano al motore.

Non so quante volte ormai mi abbia raccontato la sua storia. Ma è sempre un piacere starlo ad ascoltare. La moglie, Mary Beth è una delle donne più buone e generose di questo mondo. Ogni anno lei e il marito mi invitano a passare il ringraziamento o qualunque festività, con loro. Forse sapendo anche che situazione di merda vivo a casa mia.

Ciò non toglie che lei e il coach sono due persone dall'apparenza dure, ma di buon cuore. Si sono anche offerti di pagarmi gli studi, motivando la loro generosità con il fatto che purtroppo non hanno mai potuto avere figli.

Ma ho preferito rifiutare e dir loro che ce l'avrei fatta da solo.

Al Michigan avevo ottenuto una borsa di studio totale, grazie all'hockey, e così la retta era coperta completamente dall'università: mi ero fatto anche il culo per riuscirne a ottenerne una.

Qui alla Silverleaf invece, ne ho ottenuta una parziale, ciò vuol dire che i costi e la retta sono coperti solo per metà. Il ché mi ha svantaggiato parecchio, perché ora non solo devo far fronte ai debiti di mia madre e della casa, ma anche quelli universitari, che non sono pochi.

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