2. NEMICI O AMICI?

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KILLIAN

Agosto

Stabilirmi in un nuovo campus che dista a due ore da casa mia è stata un'impresa. Per un mese intero ho fatto avanti e indietro, soltanto perché trovare una sistemazione nei dormitori super affollati della Silverleaf, sembra davvero impossibile. Ringrazio il coach Dunn per avermi dato un tetto sulla testa nell'ultimo periodo, ma devo iniziare a muovermi, perché non voglio gravare su di lui ancora. Ha già fatto abbastanza per me e non lo merito.

Almeno, non da lui.

È agosto, il che significa l'inizio delle amichevoli pre campionato.

Ufficialmente il coach Dunn non ha ancora stabilito un incontro con la squadra, ma qualcosa mi dice che succederà a breve.

Infatti, qualche ora dopo essermi allenato come al solito sul ghiaccio, e aver fatto una doccia negli spogliatoi, mi siedo sulla panca, notando l'email del coach.

PREPARATEVI A RIPORTARE I VOSTRI CULI SUL GHIACCIO. DOMANI ALLE ORE 7:30 DEL MATTINO, VI VOGLIO ALLA SILVER ARENA. IN ORARIO. NON SI ACCETTANO O TOLLERANO RITARDI.

QUALSIASI GIUSTIFICAZIONE NON È GRADITA, TRANNE LA MORTE.

COACH DUNN.

Mi erano mancate le sue email. Molto meno le minacce quando sapeva delle feste a cui partecipavamo.

In ogni caso, qualcuno ha già pensato bene di risponderlo e intasarmi la casella postale. Immagino già la sua faccia quando alla prossima, deve mettere per iscritto di non rispondere.

Tuttavia oltre al problema sistemazione, quest'università non se la passa male. Il sistema scolastico va alla grande e la struttura dell'hockey come quella del football e baseball, sono provviste di macchinari all'avanguardia.

Quindi mi sembra più che logico chiedermi. Cosa c'è che non va in questa squadra? Hanno tutto. Persino una squadra femminile di hockey, che a quanto pare va meglio di quella maschile. Insomma, da quando in qua nell'hockey universitario la squadra femminile fa meglio della maschile? Non fraintendetemi, ma è una realtà molto scomoda da ammettere. A malapena hanno un loro campionato e se il loro futuro non è la nazionale femminile, è molto raro che finiscono in qualche squadra della PWHL (Professional Woman Hockey league.)

Tuttavia, devo dare loro il giusto merito. Intendo, vedo solo e sempre la tipa dello scorso mese darci dentro con gli allenamenti sul ghiaccio e in palestra, ma penso che valga per tutte, visto che da quello che so, hanno vinto il campionato femminile di hockey universitario lo scorso anno.

Il giorno dopo alle 7:30 in punto, siamo già tutti in pista, con il coach che viene raggiunto da altri due assistenti che sorreggono delle cartelle con quello che sembra il nostro rendiconto sportivo dello scorso anno.

Ho gli occhi puntati addosso da quando sono arrivato, e la loro espressione tra l'essere irritati e l'essere sorpresi, non mi piace per nulla.

Negli spogliatoi nessuno ha spiaccicato una parola con me, se non indicarmi a chiunque avesse varcato la soglia, come per dire «Guardate chi c'è.» Devo ammetterlo, tutta questa situazione la trovo scomoda e inverosimile. Dover dipendere dall'unico uomo di fronte a me, incazzato con tutti noi, senza una ragione precisa, lo trovo scomodo e inverosimile.

«Per chi non mi conosce, sono Larry Dunn, il vostro nuovo coach», prende a dire. «A quanto pare il buon vecchio Peter, ha deciso di lasciar perdere con voi e dedicarsi all'uncinetto», continua tagliente, come se la colpa fosse la loro. È anche in parte loro, ma un allenatore che abbandona la propria nave, è uno stupido. «Il che mi porta ad avvisarvi che le cose con me funzionano in maniera differente. Con me si riga dritto, dall'inizio, fino alla fine della stagione. Intesi?»

E in men che non si dica un «Sì, coach», riempie l'aria.

«Prima di iniziare per singoli, vorrei che tutti voi deste il benvenuto a Killian Carter, uno dei nuovi attaccanti della squadra.»

Immediatamente tutti si girano verso di me, come se avessi fatto loro qualcosa di sgradevole. Resto in silenzio e mantengo lo sguardo fisso sul coach. Doveva proprio? «Carter è stato uno dei miei migliori attaccanti al Michigan, per questo motivo oggi si trova qui.» E poi in un mormorio degno di nota. «Spero che vi dia una mano, ma qui mi sa tanto che c'è bisogno di una benedizione.»

«Andiamo avanti?» Domanda sottovoce uno degli assistenti al coach.

«Bene, riscaldatevi e poi inizieremo con qualche esercizio base», annuncia. «Voglio vedervi sudare oggi!»

Mi aggiusto i guanti e sistemo il casco, per poi iniziare con il riscaldamento.

«Killian, giusto?» Mi chiede un tipo della squadra, dai capelli biondi e gli occhi azzurri, avvicinandosi a me, mentre fa stretching.

«Mhm hmm...»

«Senti, il coach mi ha detto che stai cercando un posto qui nel campus», prende a dire. Annuisco per vedere dove vuole andare a parare. «Ecco, il nostro vecchio capitano se n'è andato a fine anno e abbiamo una stanza libera.» Con i suoi occhi azzurri mi scruta, in cerca di una risposta. Sembra più che altro intimorito, non spaventato. Ma forse è solo imbarazzato.

Dannato Dunn.

Lo guardo attentamente, pensando al da farsi. Quella stanza mi serve e subito. Convivere con il coach, un uomo sposato e per giunta mio allenatore, non è molto appropriato. Specialmente perché nessuno di loro lo sa ed è meglio così, altrimenti potrebbero pensare che in qualche modo io sia avvantaggiato.

«Va bene, ehm, intendo, a me farebbe piacere, a te?»

«Certo. Io e Gerald ne saremo felici.» Sorride girandosi verso la squadra dall'altra parte del campo. E solo ora noto che sono l'unico da solo a fare riscaldamento. «Mi chiamo Jack, comunque. Jack Marino.»

«Killian. È un piacere.»

Batto il pugno al suo e sorrido in segno di gratitudine.

«Non ti odiano. È solo che...»

«Lo so, lo scorso anno sono stato uno stronzo», tranquillizzo. In parte li comprendo, non è facile avere in squadra la causa delle due partite perse contro il Michigan e dei 5 goal segnati con tanto di esultanza.

«Ma è acqua passata. Vedrai che non ti pentirai di essere venuto qui.»

E quelle parole sembrano darmi in un certo senso conforto, lo stesso che sparisce poco dopo che a una delle esercitazioni, Denver, un tipo dai capelli afro corti e gli occhi castani, inizia a marcarmi talmente stretto, che quasi vorrei spingerlo e ricordargli che siamo nella stessa squadra adesso.

«Che c'è? I tuoi compagni ti hanno scaricato dopo la figuraccia che ci hai fatto fare con la nazionale?»

Mi tira un spallata, scaraventandomi contro la barriera, quando il coach fischia, prima che io possa rispondere.

«Ricordatevi che questo è un allentamento e non un ring da boxe!»

«Guardati le spalle, Carter, perché qui nessuno lo fa per te», mormora tagliente, allontanandosi.

Che stronzo. Ma non ho bisogno di lui. Degli altri forse, ma di lui no.

«Riprendiamo. Avanti, Carter e Denver in linea!» Il fischio annuncia la ripresa e stavolta sono io che ho il vantaggio.


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