Wade si svegliò lentamente, il volto ancora sepolto nel braccio piegato sul tavolo. La stanza era quieta, avvolta dalla luce tenue del mattino. A poco a poco, la confusione si dissipò, e con essa arrivò la consapevolezza del luogo in cui si trovava: l'appartamento di Peter. Il tavolo era disseminato di appunti e fogli sgualciti, mappe disegnate a mano e strategie abbozzate. Ma ciò che attirò subito la sua attenzione fu Peter, addormentato dall'altra parte del tavolo.
Senza pensarci, Wade si fermò a guardarlo. C'era qualcosa di così raro e fragile in quell'istante che gli fece mancare il fiato. Peter dormiva profondamente, la sua guancia posata su un foglio, i capelli che gli cadevano scomposti sulla fronte, le labbra rilassate in una quiete che Wade non aveva mai visto su di lui. Era vulnerabile in un modo che non si aspettava, e quel pensiero lo colpì dritto al petto.
Per un istante, Wade si sentì quasi paralizzato. Non sapeva come gestire quel tumulto che si agitava dentro di lui. Era una sensazione così diversa da tutto ciò a cui era abituato – lui, che viveva di caos, di battaglie, di risate isteriche nel mezzo del disordine. Ma adesso, quella quiete inspiegabile, quella dolcezza inaspettata, lo destabilizzava.
Non era solo attrazione fisica, non era il solito gioco di battute e scherzi. Era qualcosa di più profondo. Provava uno strano affetto per Peter, un affetto che sembrava scavare più a fondo di quanto lui stesso fosse pronto ad accettare. Era come se quel momento silenzioso gli avesse aperto una porta verso una parte di sé che aveva sempre tenuto chiusa, che non voleva guardare.
C'era un peso fastidioso, ma dolce nel suo petto. Una parte di lui si era sempre aspettata di rimanere da solo, come una stella in caduta libera, destinata a vagare senza mai fermarsi davvero. Ma guardando Peter adesso, così tranquillo, Wade provò una sorta di desiderio – il desiderio di fermarsi, anche solo per un po', accanto a lui.
Lentamente, Wade si alzò dal tavolo, cercando di non fare rumore. Ogni gesto era ponderato, calmo, come se quel momento potesse spezzarsi al minimo movimento sbagliato. Prese una coperta che aveva visto piegata su una sedia e, con delicatezza inaspettata per un uomo come lui, la posò sulle spalle di Peter. Era un gesto semplice, ma in quel gesto c'era tutto: la premura, l'affetto, quel bisogno che stava crescendo dentro di lui di proteggere Peter, nonostante fosse perfettamente consapevole che Spider-Man non aveva bisogno di nessuno che lo proteggesse.
Wade lo guardò per un altro lungo momento, con il cuore che martellava nel petto. Voleva sfiorargli il volto, sentire se la sua pelle era tanto morbida quanto sembrava, ma si trattenne. Non era il momento. Non ancora.
Scosse leggermente la testa, un sorriso affettuoso gli si formò sul viso. "Dio, Parker," mormorò a se stesso, "sei proprio un disastro adorabile."
Si voltò e si diresse verso la cucina. Non sapeva cucinare granché, ma si ricordava che Peter gli aveva accennato alla sua colazione preferita – uova strapazzate, pane tostato con un po' di burro, e caffè. Qualcosa di semplice, come era Peter stesso: genuino, diretto, ma capace di darti quella sensazione di casa che Wade non aveva mai pensato di desiderare.
Mentre Wade preparava il caffè e metteva le uova a cuocere lentamente in padella, si lasciò scivolare nel silenzio della cucina. Ogni suono – l'olio che sfrigolava, il leggero gorgoglio del caffè – sembrava stranamente rilassante. Forse perché, per la prima volta dopo tanto tempo, non si sentiva in pericolo, né in fuga. Si sentiva, in un certo modo, al sicuro. E quel pensiero lo riportava sempre a Peter.
Mentre tagliava il pane e lo metteva nel tostapane, si ritrovò a pensare a ciò che Peter significava davvero per lui. Era un faro, una luce che lo guidava anche quando il mondo di Wade era un caos senza fine. Peter non era solo un alleato, né solo un amico. Stava diventando qualcosa di più – qualcosa di cui Wade non poteva più fare a meno, anche se avrebbe potuto passare una vita a negarlo.
Quando la colazione fu pronta, Wade prese i piatti e le tazze di caffè e li portò al tavolo. Posò tutto davanti a Peter, con un'attenzione che raramente riservava a qualcuno. Poi si fermò, incerto. Peter stava ancora dormendo, e Wade si sentiva quasi riluttante a svegliarlo. C'era qualcosa di così pacifico in quel momento, e lui non voleva interromperlo.
Ma alla fine, con una leggera esitazione, si chinò su di lui e gli sfiorò la spalla con delicatezza. "Ehi, Parker," disse con una voce più morbida di quanto avrebbe mai immaginato di usare. "È pronta la colazione. Non vorrai che io la mangi tutta, vero?"
Peter si mosse leggermente sotto la coperta, emettendo un suono basso, quasi di protesta, prima di aprire lentamente gli occhi. Sembrava ancora perso nel sonno, il viso ancora rilassato. Quando alzò lo sguardo, trovò Wade lì di fronte a lui, con un sorriso storto e un piatto di uova fumanti.
"Cos...?" balbettò Peter, confuso.
Wade rise piano, e il suono era caldo, pieno di una dolcezza che non si aspettava di provare. "Colazione, Parker. Ho pensato di farmi perdonare per averti fatto fare le ore piccole."
Peter lo guardò, gli occhi ancora assonnati ma un sorriso già iniziava a piegargli le labbra. Era un sorriso genuino, uno di quelli che raggiungevano gli occhi. "Hai fatto colazione per me?" domandò incredulo.
Wade si grattò la nuca, cercando di mantenere la sua solita aria spavalda, anche se sentiva una piccola stretta nel petto. "Beh, sì... Non è un capolavoro, ma spero che sia decente."
Peter sorrise ancora più apertamente, un calore inaspettato che si diffuse tra loro. "Grazie, Wade. Sul serio."
Wade si sedette accanto a lui, guardandolo mentre Peter cominciava a mangiare. E mentre lo osservava, Wade capì una cosa importante. Non si trattava più solo di battute e azioni spericolate. Questo, tra loro, era qualcosa di più profondo. E non c'era più modo di tornare indietro.
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Silent Treatment // Spideypool
FanfictionSpiderman x Deadpool Spider-Man ha smesso di parlare da quando Gwen Stacy è morta tra le sue braccia. Nessuna battuta, nessun sorriso, solo silenzio e ombre. La colpa lo tormenta, trascinandolo in un abisso oscuro da cui sembra non voler più uscire...