Capitolo 8

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Il sole filtrava debolmente attraverso le tende, proiettando lunghe ombre sulle pareti spoglie della camera da letto. Peter si svegliò lentamente, gli occhi ancora appesantiti da un sonno agitato e irregolare. Il ricordo dei suoi sogni sfuggiva via come sabbia tra le dita, ma la sensazione di inquietudine era rimasta. Si alzò dal letto, il corpo rigido, dolorante non solo per la ferita ma per il peso emotivo che lo aveva afflitto tutta la notte.

Mentre si trascinava verso la cucina, il silenzio dell'appartamento lo circondava, rendendo ogni passo più pesante del precedente. C'era un'aria di immobilità nel luogo, come se il tempo si fosse fermato nel momento esatto in cui Gwen se n'era andata. Era come vivere in un mausoleo, un luogo dedicato ai ricordi di ciò che era stato, senza alcun spazio per il futuro.

Accese la caffettiera e, mentre aspettava che il caffè fosse pronto, i suoi occhi vagarono di nuovo sulle foto di Gwen sparse per la stanza. Si chiese per l'ennesima volta se fosse giusto continuare a mantenere viva quella presenza, come un'ombra che non gli permetteva di andare avanti. Non era solo il senso di colpa a tenerlo legato a quelle immagini; era la paura di dimenticare. Dimenticare i suoi occhi, il suono della sua risata, il modo in cui lo guardava come se fosse l'unico al mondo.

Il telefono vibrò sulla tavola, interrompendo i suoi pensieri. Era un messaggio di Wade. Non poteva fare a meno di sorridere leggermente. Wilson sembrava avere un tempismo incredibile quando si trattava di apparire nei momenti meno opportuni.

> "Ehi, Spidey. Ancora vivo? Non è che sei annegato sotto quella cascata di sensi di colpa o sei finito in qualche soap opera strappalacrime? A proposito, ho delle chimichangas per colazione. Vieni a prenderle prima che me le mangi tutte (e sai che lo farò)."

Peter scosse la testa, quasi incredulo di come Wade riuscisse sempre a mantenere quel tono leggero, anche quando sapeva che lui stava attraversando qualcosa di difficile. Eppure, in quel momento, quella leggerezza era esattamente ciò di cui aveva bisogno. Un diversivo. Qualcosa che gli permettesse di prendere fiato, almeno per qualche ora.

> "Sto bene. Appena svegliato. Forse passo più tardi."

Inviò la risposta e si sedette al tavolo con una tazza di caffè fumante tra le mani. Il suo sguardo si perse ancora una volta nel vuoto, cercando di orientarsi tra i ricordi e il presente. L'immagine di Wade si insinuava nei suoi pensieri, un contrasto vivido con quella di Gwen. Wilson rappresentava qualcosa di completamente diverso, un caos che, in qualche modo, riusciva a calmare la tempesta interiore di Peter. C'era un legame nascente tra di loro che lo confondeva. Non era solo attrazione fisica — anche se c'era anche quella, a tratti innegabile — ma qualcosa di più profondo, una connessione che Peter non riusciva ancora a definire.

Non era mai stato bravo a gestire le sue emozioni. L'aveva imparato nel modo più duro, perdendo le persone che amava, una dopo l'altra. Prima lo zio Ben, poi Gwen. E ora... Wade? La sua mente rifiutava l'idea. Non voleva neanche pensarci. Non era pronto per una nuova relazione, non quando il dolore per Gwen era ancora così fresco, così reale. Ma Wade non sembrava essere il tipo di persona che gli avrebbe dato il tempo di elaborare le cose. Era impetuoso, inarrestabile, una forza della natura che travolgeva tutto sul suo cammino.

Peter finì il caffè e si alzò, passando le mani tra i capelli ancora umidi. Non poteva passare la giornata a rimuginare. Indossò dei vestiti semplici, jeans e una felpa, e si preparò a uscire. Non sapeva ancora se avrebbe accettato l'invito di Wade, ma sentiva il bisogno di uscire da quell'appartamento, almeno per un po'.

Scese in strada e si mescolò al flusso di persone che camminavano freneticamente lungo i marciapiedi di Manhattan. Il brusio della città era confortante in un certo senso. Lo faceva sentire anonimo, come se potesse sparire tra la folla e lasciare che il peso dei suoi pensieri fosse portato via da qualcun altro, almeno per qualche ora.

Mentre camminava, decise di passare al cimitero. Non ci andava spesso. Anzi, l'aveva evitato per lungo tempo. Il cimitero era un altro luogo che lo metteva di fronte alla realtà, costringendolo a confrontarsi con l'irreversibilità della perdita. Ma quella mattina sentì che era giusto andare.

Attraversò il cancello in ferro battuto e si diresse verso la tomba di Gwen. Il vento faceva ondeggiare leggermente gli alberi, e un silenzio solenne avvolgeva il luogo. Peter si fermò davanti alla lapide, il nome di Gwen inciso nel marmo bianco. Rimase in piedi per un attimo, senza sapere esattamente cosa fare o dire. Che cosa poteva dire? Niente avrebbe mai cambiato le cose, niente avrebbe riportato indietro il tempo.

Si accovacciò accanto alla lapide, le mani che toccavano la fredda pietra come se potesse sentire ancora un briciolo di vita da quel contatto. Le parole di Wade gli tornarono alla mente. "Non devi essere sempre 'l'eroe'." Peter chiuse gli occhi, respirando profondamente. Non voleva più essere l'eroe in quel momento. Voleva solo essere Peter. Solo un uomo che cercava di trovare un modo per andare avanti, anche se non sapeva ancora come.

"Mi manchi, Gwen," pensò, il suo corpo leggermente scosso dal vento. "Non so cosa fare, non so come andare avanti... Ma sto cercando di capire."

Rimase lì per un po', lasciando che il tempo scorresse senza pensarci. Quando finalmente si rialzò, si sentì leggermente più in pace, anche se il dolore non se ne sarebbe mai andato completamente. Fece un respiro profondo e si allontanò dalla tomba, lasciando che il vento asciugasse le lacrime che non aveva nemmeno capito di aver versato.

Pochi minuti dopo, il telefono vibrò di nuovo. Era ancora Wade.

> "Hai detto che 'forse passi più tardi'. Ora, non voglio sembrare bisognoso, ma... sto per mangiare l'ultima chimichanga. La tua ultima possibilità, Parker."

Peter sorrise, scuotendo la testa. Aveva ancora del tempo prima di tornare ad affrontare il caos della sua vita. E forse Wade era proprio la distrazione di cui aveva bisogno.

> "Arrivo, Wade. Non mangiarle tutte."

Mentre tornava verso l'appartamento di Wade, si sentì un po' più leggero, come se il semplice fatto di prendere una decisione gli avesse tolto parte del peso che portava. C'era ancora molto da affrontare, molti nodi da sciogliere, ma forse — solo forse — Wade poteva aiutarlo a trovare una via d'uscita dal labirinto dei suoi pensieri. Anche se per farlo avrebbe dovuto passare attraverso montagne di chimichangas e battute inappropriate.

Ma, per ora, andava bene così.

Silent Treatment // SpideypoolDove le storie prendono vita. Scoprilo ora