25 - IN TRAPPOLA

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La mia vita è un disastro.
Un casino totale, un insieme di eventi in cui non faccio altro che dimostrare a me stessa la mia incoerenza e l'assoluta incapacità di prendere in mano le redini dalla situazione.
Sono impantanata in una storia senza via d'uscita, con un uomo che non mi ama e non mi rispetta, ma non mi lascia neanche andare.

Perché lo faccio?
Perché sono debole, perché ho paura di poter essere felice, di dover rimettere in gioco il mio cuore.
O forse perché non penso di meritare la felicità.
Qualunque sia il motivo, aver capito che dipende tutto esclusivamente da me, è già un grande passo in avanti.

Trascorro la notte tormentata da questi pensieri, mentre, di tanto in tanto, le mie mani accarezzano le mie labbra, ricordando il bacio fugace scambiato con Christian.

Christian...
Che non si arrende, che non si rassegna.
Che però merita di meglio. Qualcosa che io non potrei dargli...

Il mattino successivo mi sveglio rintronata, dopo aver dormito davvero poche ore in tranquillità.
Preparo i bambini per la scuola, quindi Amy passa a prenderli e resto sola in casa.

Non passa molto tempo che sento le chiavi girare nella serratura.
Non ho mai chiesto a Berie di restituirmi le chiavi.
Di lasciare me e i bambini in pace.
No, al contrario... ho voluto con tutta me stessa che restasse... che continuasse a farmi del male, schiacciando la mia autostima.
Ma è arrivato il momento di smetterla.

«È tutto un disastro!» Esclama lui appena entra in casa e il suo sguardo incrocia il mio.
Bernie indossa un completo elegante e costoso, è completamente sudato e ha vistose occhiaie.
Non posso fare a meno di notare che ha messo su qualche chilo, ultimamente.
I vestiti non gli calzano più a pennello come prima e i bottoni della camicia sembrano quasi soffrire.

«Che vuoi dire?»
Bernie mi fissa con sguardo eccitato, «Clarissa... lei è... insomma, un disastro!»
Sgrano gli occhi, «Clarissa sta bene?»
Trovo paradossale che io faccia questa domanda, ma davvero l'espressione di Bernie e le sue mezze frasi sono prive di senso, e, per una sorta di strano senso di solidarietà femminile, sono improvvisamente ansiosa di sapere se l'amante di mio marito e il suo bambino stanno bene.

«Lei... beh, accusa un dolore al nervo sciatico, da stamattina.»
«Come... cosa... e tu che ci fai qui?»
Bernie allarga le braccia, credo in attesa che io mi ci tuffi dentro.
«Bernie! Dovresti essere con lei adesso!»
Lui sembra paralizzarsi.
«Bernie! Ma insomma, che ti dice il cervello?!»
Mi avvicino e prendo a sventolare una mano davanti ai suoi occhi, poiché Bernie sembra essersi pietrificato.
Poi si dà una scrollata di spalle, «no... non posso.»
E questo cosa diavolo vorrebbe dire?

«Io non posso... non voglio ripetere tutto d'accapo. Non di nuovo.»
«Ripetere tutto daccapo?» Gli faccio il verso io.
Lui mi guarda con aria stranita, senza rispondere.
«Bernie, ma cosa...»

Lui si avvicina ancora, stendendo di nuovo le braccia verso di me, «ho bisogno di te, Julia.»
«N-no...» farfuglio con occhi sgranati.
Bernie fa un altro passo in avanti, «ho sbagliato tanto... ho sbagliato tutto con te.»
Un misto di emozioni mi passano per la mente.
Mi sento soddisfatta, finalmente Bernie ha capito cosa ha perso.
Mi sento euforica, emozionata all'idea di poter riprendere la mia vecchia vita.
E poi arriva la sensazione più inaspettata di tutte.
Mi sento in gabbia.
Prigioniera della vita che fino ad oggi ho voluto preservare e portare illogicamente avanti con tutta me stessa.
Ma adesso basta.
Questa è la mia occasione per testarmi, per vedere se in queste settimane ho maturato un po' del coraggio che tanto speravo di possedere.

Sbuffo, «e non ripeterai l'errore con Clarissa,» sentenzio quindi e quasi non credo a quello che ho appena detto.
Praticamente gli sto dicendo di lasciarmi.
Il cuore prende a martellarmi violentemente nel petto realizzando questa verità.
Bernie ora sembra incredulo.
«No, io...»
Prende a guardarsi intorno come se stesse cercando qualcosa... è sorpreso per la mia affermazione? Senza parole?
Mi fa venir voglia di rincarare la dose.

«Quel bambino merita di avere suo padre, non di essere abbandonato ancora prima di nascere, Bernie. Non puoi startene qui. Non ti permetterò di rifugiarti dalle tue responsabilità, Bernie.»
Sono una campionessa di altruismo.

«Juls, ma cosa diavolo...»
«Non mi chiamare così, Bernie.»
Si avvicina ancora, «ma che ti prende?»
Mi sento carichissima, assolutamente decisa a non mollare.
«Fra noi è finita, Bernie. Non starò più ai tuoi giochetti. Ho smesso di vivere nella tua ombra.»
Lui scatta all'indietro, «la mia ombra? Sono qui con te mentre Clarissa ha bisogno di me, Julia!»
«Ed è proprio per questo che ti sto lasciando! Che uomo sei, Bernie?»
«Quello che ami,» afferma lui sicuro, mostrandomi un sorriso prepotente.
Scoppio a ridere, «non più,» dico.
Lui si avvicina con un balzo a me, «non ti credo.»
Non parlo, improvvisamente intimorita dalla sua figura così vicina alla mia.
  «Non dici sul serio,» continua allora lui allungando una mano a sistemarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Di nuovo non parlo, resto immobile e quasi trattengo il respiro.

«Noi ci apparteniamo, Juls, lo sai.»
Sento la nausea salire a queste parole. Bernie non vuole appartenermi, non l'hai mai voluto. Vuole semplicemente la certezza che io sarò sempre dalla sua parte.
I suoi occhi sono puntati nei miei, la sua espressione è così convinta da mandarmi su tutte le furie.

Mi divincolo e mi allontano, «devi andare da Clarissa subito, Bernie... adesso!»
«No, Juls. Finalmente l'ho capito. Il mio posto è qui.»
«Ti ho detto di non chiamarmi così!»
Mi volto e mi incammino verso l'ingresso, quindi apro la porta, «fuori di qui, adesso!»
Bernie mi fissa in silenzio, adesso ha uno sguardo interdetto.

Poi il suo telefono squilla, e lui lo prende lentamente dalla tasca del giubbotto.
Osserva per un po' il monitor, quindi risponde, guardando me negli occhi.
«Amore, sto arrivando. Mi sono fermato solo un attimo a prenderti qualcosa in farmacia. Ci vediamo fra poco.»
Poi posa il telefono e ridacchia, sempre mantenendo lo sguardo nel mio.
Che stronzo.
E quanto mi dispiace per Clarissa... anzi, non per lei, ma per il povero bambino che porta in grembo.
Poi Bernie si incammina verso l'ingresso, «non finisce qui, Juju, questa è una promessa,» mi avvisa prima di lasciare la casa. Passandomi accanto mi dà anche un pizzicotto sulla guancia con un movimento rozzo.

Chiudo la porta sbattendola, poi mi appoggio con la schiena sopra.
Che scarica di adrenalina!
Mi sento leggera, libera, indipendente dalle catene che ha forgiato Bernie nella mia mente per tanti anni, vincolandomi a lui.
Mi sento pronta per andare avanti, per riprendere in mano la mia vita.
Poi un pensiero si fa pian piano spazio nella mia mente, quando diventa nitido mi mostra un solo volto: quello di Christian.

Fractured - quello che non vediDove le storie prendono vita. Scoprilo ora