Capitolo 9: Velenoso Come Uno Scorpione

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"Un giorno mio fratello mi disse: come hai fatto ad uscire da quell'incubo? Dove hai preso il coraggio e la forza di lasciarlo? E io gli ho risposto: è stata la forza a trovare me, aiutandomi a rialzarmi e a combattere."

Emmeline

Calabria ➳ Spezzano
Albanese.

La cosa che amo fare di più è scrivere. Scrivo sul mio diario dalla copertina rossa. È l'unica cosa che mi fa stare bene, che elimina i ricordi passati dalla mia mente, di quando ho scelto di sposarmi piuttosto che vivere in questa famiglia.

Ma non credevo che sposandomi avrei trovato un mostro.

Un demone capace di divorarmi perfino l'anima, che è riuscito a togliermi l'unica cosa che per me era più importante di tutto: un figlio. Un dolce bambino che non è mai stato suo.

Il giorno del parto, Nando non mi fece nemmeno stringere il bambino, me lo portò via, come se non lo meritassi.

Ancora oggi mi chiedo dove sia, dove lo avrà spedito... Come lo avrà chiamato...

Sospiro e mi distraggo quando mia sorella minore entra in camera, senza bussare ovviamente e lascio la matita sul banco.

«Il pranzo è pronto. Che stai facendo? Stai sempre a scrivere. È solo una perdita di tempo...» si avvicina e prende il diario. Ride leggendo ciò che ho scritto, facendomi sentire in imbarazzo, «chi cazzo è Kaname? Il tuo amante?» mi offende e strappa ogni singola pagina, gettando l'agenda a terra e i fogli ormai in mille pezzi si posano sul pavimento come coriandoli.

«Ma che cosa fai! Ci ho messo giorni a scrivere!» grido, mettendomi in piedi e la spingo, «perché sei così! Perché ogni cosa che faccio me la devi rovinare!» le do un altro spintone, e Piera finisce di schiena alla parete, accanto alla porta.

Sorride, in maniera maligna come se ci godesse a vedermi soffrire.

Non è giusto che mi faccia questo. Ci avevo messo giorni a scrivere la storia di Kaname, di tutte le tragedie che ha subito in passato e di quello che voglio che abbia in futuro. Quando un giorno riuscirà a tornare, a risvegliarsi.

Con gli occhi lucidi esco dalla stanza e vado ai piani inferiori. Raggiungo mia madre in cucina. Ha la pentola tra le mani, sta per scollare la pasta, ma si ferma quando mi vede.

«Mamma, ma puoi dire a Piera di non entrare mai più in camera? Ha fatto a pezzi tutto quello che ho scritto! Dannazione ci ho messo impegno!»

«Invece di passare ore e ore con quelle scemenze, perché non mi aiuti? Eh?» mi rimprovera, come se ciò che facessi non sia mai abbastanza per lei.

Piera è quella che non fa nulla, non io.

«Cosa vuoi che faccia scusa? Mi alzo presto la mattina, aiuto papà insieme a Socrate e poi a te qui in casa! Non posso fare tutto io! Comanda Piera ogni tanto!» le urlo addosso e mia madre invece di appoggiarmi, o di darmi ragione, mi tira l'acqua calda in petto.

Perfino la pasta mi investe ed è talmente ardente che strillo al male.

Mi ustiona la pelle e le lacrime mi scendono ferocemente dagli occhi.

Mi rigano le guance. Non riesco nemmeno a stare in piedi che cado sulle ginocchia e per quanto sia magra sento le ossa spezzarsi. Mi dondolo e mi tocco il seno coperto dalla canottiera nera, ormai fradicia e sporca. Singhiozzo terribilmente.

È insopportabile il dolore che sto provando, non riesco a smettere di urlare perché perfino quando mi sfioro mi dà fastidio. Come se fossero lame taglienti a pungermi, a rigarmi la carne senza pietà.

𝐇𝐢𝐭𝐦𝐚𝐧 ➳ ᴄᴏᴍᴇ ᴠᴇʟᴇɴᴏDove le storie prendono vita. Scoprilo ora