Memories Never Die

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È come se mi mancasse il respiro, come se tutto quello che mi circondasse cominciasse a girare intorno a me vertiginosamente. Come se vicino a quel nome, scritto in corsivo dalle linee affusolate, Calum, mi rimbombasse nel cervello come il ticchettio di un orologio. Devo metterla in guardia, devo proteggerla.
«Billity» richiamo la sua attenzione. Alza lo sguardo su di me e i nostri occhi si fissando davvero, davvero intensamente. «Togliti Calum dalla testa» le ordino, senza mezze misure, il tono deciso e calmo al tempo stesso. Ricordo quando i miei genitori lo usavano su di me prima di scoprire che avessi la leucemia.
«Cosa?» domanda, ingenuamente.
«Calum Hood è un puttaniere, uno stronzo - sto alzando la voce, - senza cuore. Billy, lui...»
«Ma cosa stai dicendo? Lui è così dolce» mi interrompe con un cipiglio. Dolce? Che cazzo sta dicendo?
«È un falso. Qualsiasi cosa ti abbia detto, non credergli» scuoto la testa mentre metto tutta la credibilità possibile nella mia voce.
«Quindi mi ha mentito?»
Sembra seriamente dispiaciuta, la voce le si spezza. L'afferro tra le braccia e la stringo a me quanto più riesco. «Non hai bisogno di lui» la rassicuro. Ha me. Ha tutto ciò di cui ha bisogno.

Le sue lacrime stanno di nuovo bagnando la mia maglietta. Teneva così tanto a lui da piangere per aver scoperto che persona è? Metto una mano sulla sua gamba, quella ingessata. Il gesso bianco è ruvido, muovo le dita come ad accarezzarlo consapevole che lei non lo può sentire.
«Non devi piangere per lui.»
Lei scuote la testa. «Scusa, non volevo piangere» mormora, mentre con il dorso della mano si asciuga le lacrime sulle guance. «Raccontami qualcosa di te» mi prega. La sua voce è implorante. Desidera davvero sapere qualcosa su di me, credo, ma non so se invece voglia solo vedere che faccia ha una persona che scava nella sua mente.
«Ho avuto la leucemia fino all'età di undici anni.» È una cosa che non poteva sapere, a meno che non gliel'avesse detta Wendy l'Infermiera. Ora siamo seduti con la schiena appoggiata ai suoi cuscini. Si stringe di più a me e il suo sguardo mi comunica ciò che pensa. Vuole che io continui a raccontarle.
«Non mi va di parlarne» ammetto, abbassando il mento sul suo viso, scrutando la sua espressione un po' delusa.
«Sei fortunato a ricordare» sorride tristemente. «Io mi ricordo, più o meno... Quando mi avevano descritto le possibilità che c'erano. Se non mi sforzo, però, è impossibile che mi ritornino alla mente.» Sospira. Mi guarda, i suoi occhi mi leggono l'anima.
«Ora riesci a ricordarli grazie all'incidente?»
«Penso di sì. Dopo l'intervento, mi son ricordata di alcune cose, tra cui te. Non so, forse cose che mi hanno fatta sentire viva» la sua voce si riduce ad un sussurro. «Il dolore in fondo era l'unica cosa che mi ricordava che ero ancora viva. Ma poi sei arrivato tu.»
Ho paura di arrossire. Mi sembra di cadere dall'ultimo piano di un grattacielo; non sono mai stato così importante per nessuno. Lei è troppo sincera.
«Cosa ricordi?» domando.

La sua descrizione è stata così viva che mi sembrava di far parte di tutto quello. Mi ha raccontato di un pomeriggio in quello studio, profumava di medico, di plastica e di guarigione. Le ho chiesto che profumo ha la guarigione e lei me l'ha descritta come il profumo della primavera, quando i fiori sbocciano e gli alberi riprendono a vivere. Il dottore era basso, bassissimo e il camice gli arrivava fino alle caviglie. La faceva sempre ridere.
Aveva tre possibilità, dopo l'intervento che avrebbe subito da lì a trenta giorni. Poteva morire, poteva vivere, o poteva restare ferma tra la vita e la morte; vivere sempre lo stesso giorno, ogni ricordo sarebbe morto allo scoccare della mezzanotte. Lei non sperava nemmeno più di sopravvivere, era convinta che l'intervento l'avrebbe uccisa. La notte prima dell'intervento salutò i suoi genitori, disse loro addio come vecchi amici e la mattina seguente raggiunse la sala operatoria con i loro volti addolorati nella mente. Le lacrime di sua madre, la forza di suo padre. Racchiusi entrambi in un'unica sensazione di vuoto o di pienezza. Pronta a morire o spaventata a morte.

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