Le giornate sono passate in fretta, ogni volta la stessa storia.
L'ho portata sulla ruota, me la son fatta, ho esaudito il suo desiderio di comprare zucchero filato o di fare un giro altrove e poi l'ho ferita e riportata all'ospedale.
E ogni volta, ogni cazzo di volta, Calum Hood ha rotto le palle a Billy.
«Devi darti una calmata, Luke» mi ripete Michael, seduto sulla nostra panchina. Io sono in piedi e mi guardo in giro. Lo sterrato è completamente vuoto, nessuno ai primi di settembre ha intenzione di portare i figli al parcogiochi. Ci sono giusto due bambini, la madre è seduta su una panchina che usa il telefono touch-screen.
«Calum le ha piantato gli occhi addosso, ti dico» insisto.
Michael non vuole crederci. Dice che dopo l'ultima volta non si azzarderebbe a toccarmi la ragazza. Il punto è che lei non è la mia ragazza. E non la voglio io, una ragazza. Non voglio una vita diversa, una vita migliore. Io voglio vivere soffrendo, perché solo la sofferenza riesce a farmi star meglio con me stesso.
Non voglio qualcuno che mi faccia star bene davvero, perché poi lo deluderò e lo ucciderò dentro.
E finalmente, mi rendo conto che ogni giorno la sto uccidendo. E mi piace.
«Fratello, lei è completamente nelle tue mani, ormai. Hai visto qualsiasi parte che il suo cervello possa averti mostrato.»
«Ne ho viste due. Sono giorni che non cambia umore.» Mikey fa una smorfia all'idea di essere corretto. «Io voglio vederla fragile fra le mie braccia. Stringerla nelle mie ali e soffocarla. È quello che si merita per essere così dannatamente malata.»
«Che cazzo stai dicendo, Luke?» dice lui. Si alza, con i capelli viola e mi sovrasta un po' con la sua altezza. L'espressione dura una volta mi avrebbe ammutolito, ma non ora. Non ora che ho capito chi sono.
«Sto dicendo che io ho lottato! Io sono guarito! Lei nemmeno si prende la briga di provarci, Michael.»
Giro sui tacchi e mi allontano sotto il suo sguardo che, lo ammetto, mi sta bruciando la nuca.
***
Junior muove le dita. Apre i palmi e gioca con le proprie mani tra le mie braccia. Gli occhietti finalmente semiaperti. Sta crescendo troppo in fretta e tra non molto compirò diciotto anni. Troverò un lavoro, comprerò casa e lui diventerà mio figlio.
Ma guardalo, mentre mordicchia con le gengive senza denti il laccio della mia felpa.
Sfoggio un sorrisone, mentre Billity si avvicina a me.
«Ciao» la saluto.
«Ciao» mi saluta.
Sorride, e io sorrido e tutte le mie convinzioni vanno a puttane.
«Sono Luke» dico. Lei si presenta e cominciamo a parlare come ogni giorno. È diversa, questa volta. Non è la Billy del luna park, né la Billy della bella addormentata. Ha un'espressione strana, non riesco a leggerla. Non riesco nemmeno a capire a chi assomiglia, ma dev'essere qualcuno di familiare.
Sorride al bambino. Sorrido di nuovo.
«Stavo leggendo questo libro» dice e mi porge Cercando Alaska di John Green. Ora capisco quale Billy ho davanti: la Billy sognatrice. «Il protagonista è alla ricerca di un Grande Forse.»
Annuisco, ma cos'è sto Grande Forse? Perché non ha senso. Non esiste un Forse. Forse lei è troppo bella, ma non è un Forse da annotare, la sua bellezza.
Però annuisco, come se avessi capito. Come se il suo cervello marcio fosse leggibile. Come se capissi che in quegli occhi blu le onde del mare di stanno infrangendo.
Allora la domanda entra nella mia testa, girovaga tra i miei vari pensieri, ma non arriva a destinazione, perché svanisce a metà strada.
Junior tossisce e io gli tolgo veloce il cordino della felpa dalla bocca, lo cullo un po' e lo sento. Un rumorino strozzato, simpatico, che appartiene a lui, a Junior.
La sua prima risata.
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Nashville
FanfictionLuke Hemmings è riuscito miracolosamente a guarire dalla Leucemia all'età di undici anni. Ora ha diciotto anni e lavora come volontario nel reparto pediatrico. Lì incontra Billy, diminutivo di Billity, una ragazza affetta da una malattia al cervello...