Do your best

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Entro nell'ospedale, l'occhio gonfio pulsa e sento tanto dolore allo stomaco e al polso. Penso sia slogato. Mi butto in ascensore e salgo al piano dove posso trovare Wendy l'Infermiera. Oggi, invece di essere in pediatria, è nel nido, dove c'è anche Junior. Non lo vedo da alcuni giorni, forse hanno perfino trovato dei genitori. Wendy mi saluta radiosa, mentre le vado incontro, ma quando vede le mie condizioni una ruga le si forma in volto.
«Cosa diavolo ti è successo?» domanda, con un fagottino di colore fra le braccia.
«Ho solo bisogno di qualche cura, Wendy. La mamma già ce l'ho.» Il mio tono è brusco, me ne rendo conto.
Lei lascia il bambino ad una dottoressa dal camice bianco e mi conduce di nuovo dall'ascensore. Mentre saliamo al reparto pediatria, sento il suo profumo di frutta fresca.
«Hai un incontro galante?» le domando e lei arrossisce. Si è perfino truccata!
Appena si aprono le porte, si fionda al bancone e tira fuori un kit del pronto soccorso. La scatola di plastica rossa ha una croce gialla disegnata su una delle due ante. Ne tira fuori alcuni cerotti. Uno me lo appiccica su una ferita sulla guancia, così piccola che il suo bruciore era stato nascosto dal dolore alle costole e al polso, ma ora che la sta medicando la sento benissimo; brucia come se fuoco e ghiaccio si incontrassero in quel piccolo profondo taglio sulla guancia.
Mette qualcosa sull'occhio, dice che serve a sgonfiarlo e l'effetto è immediato, piano piano riesco a riaprire la palpebra mentre mi fascia il polso, che come immaginavo è slogato.
«Per il busto devi farti vedere da un dottore, Luke» decide per me, credo che se non ci andrò io mi ci porterà lei.

A salvarmi dalle grinfie di quella donna è Billy, l'angelo che esce da quella stanza d'ospedale, guardandomi e lentamente le si disegna un sorriso in volto. Rientra in camera, chiaramente invitandomi a seguirla e così faccio, colpito ancora una volta dall'aria accogliente di quella stanza.
«Va meglio?» le chiedo, sedendomi sul suo letto mentre lei si affaccia alla finestra.
«Non sono io quella piena di lividi» mi punzecchia. Non ha tutti i torti, ma non mi chiede cosa sia successo perciò non glielo dico.
Sposto lo sguardo sul comodino, un libro dalla copertina vuota rosa attira la mia attenzione, così lo prendo tra le mani e lo sfoglio. Le pagine sono tutte bianche, completamente bianche. Tranne la prima. Ci sono poche parole, in alto la data di ieri.
«Cos'è questo?» domando e lei si gira subito, accorrendo a sedersi al mio fianco.
«Ho tanto da raccontarti. Mi hanno detto ogni dettaglio sulla mia malattia ieri. Non ricordo quasi nulla, ma non mi interessa, ciò che mi interessa è di ricordarmi ancora di te.»
La sua sincerità mi travolge e mi spaventa al tempo stesso. Sto diventando importante per lei, la sto tenendo tra le mie dita e, stringendo un po', la potrei schiacciare. Mi domando se è quello che voglio. Forse sì. Lei non ha combattuto contro la sua malattia, però lo sta facendo. Allora, forse no.
Ripongo la mia attenzione su di lei, sta accarezzando la pagina aperta del libro che tengo sulle mie ginocchia.
«Ho pensato che ogni giorno continuerò a dimenticare, dimenticherò cosa ho mangiato, dimenticherò che giorno è. Cose banali, che vorrei davvero ricordare appena mi sveglio, ma banali. Così...»
Osservo la scrittura corsiva, difficile da capire per via delle lunghe linee che la compongono, ghirigori qui e là. Continuo io per lei. «Così hai deciso che scriverlo sarebbe stato più facile?»
Annuisce, stringendosi nelle spalle. «In un certo senso, sì. Ma non scrivo cosa ho mangiato, quante volte sono andata in bagno o chi è venuto a trovarmi. Scrivo piccole parole, parole chiave che mi riportano ai ricordi.»
Mi obbligo a osservare la pagina. In alto, nell'angolino destro, la data di ieri. Sotto, poche semplici parole.

Malattia.

È la prima parola, deve servirle a ricordare il motivo per cui ha bisogno di un diario.

Luke.

Vicino al mio nome c'è un cuore, come nel diario segreto di una quattordicenne. Rido appena, immagino abbia una cotta per me. Ma quando scivolo con lo sguardo alla parola successiva, la mia risata si blocca, perdo un battito come se ne avessi paura.

Calum.

L'unico nome che per nessuna ragione avrei voluto leggere.

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