Rose rosse e bianche

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La mattina dopo, alle 7 sono già sveglio. Non ho voglia di alzarmi, così rifletto sulla giornata precedente.

Mentendo ai bimbi, invece di apparire misterioso e simpatico con la ragazza dei miei sogni, sono solo apparirò stupido e stronzo.

Nemmeno il tempo di sobbalzare al tonfo che ha emesso la porta sbattendo contro il muro che mio padre mi sbraita contro.

«COSA CI FAI ANCORA A LETTO?!» Rispondo con una scrollata di spalle e lui mi lancia un'occhiataccia come a dire O ti alzi, o finisci male. E con «Finisci male» s'intende essere bagnato marcio da una secchiata di acqua. E io sceglierei anche di alzarmi, se in meno di un minuto non mi ritrovassi fradicio insieme al mio materasso. Così balzo in piedi e gli rispondo a tono.

«MA CHE CAZZO FAI? Esci. Dalla. Mia. Stanza.»

Come previsto, Richard Hemmings esce sbattendo la porta e io sussulto, di nuovo. Sbuffo e mi alzo gocciolante dal letto, a passo svelto mi rifugio in bagno.

Ammetto di essere un ragazzo abbastanza vanitoso e vanesio. Mi piace guardare la mia immagine riflessa nello specchio. Sono davvero bagnato fradicio, i capelli sono appiattiti contro la nuca, disordinati e senza una linea in mezzo (fortunatamente).

Mio padre è disoccupato, ogni volta la stessa storia: si sveglia presto? Allora deve venirmi a rompere le palle.

Con le dita, tiro leggermente su i capelli in una piccola cresta bionda. Con gli occhi azzurri guizzo per il bagno limpido e pulito da mia madre, che dopo il lavoro - lavora in panetteria, quindi si sveglia presto - si mette a pulire tutta la casa almeno due volte a settimana. Non so come nè perché, ma questo la rilassa.

Apro l'armadietto azzurrino liscio alla mia destra e prendo il gel per capelli, ne basta poco, lo uso solo per non sembrare un barboncino con i capelli lisci sugli occhi.

Mi lavo i denti in fretta e furia, poi torno nella mia stanza. La scelta dei vestiti è ardua. Pantaloni neri e t-shirt nera o t-shirt nera e pantaloni neri?

Opto per la prima e mi vesto alla velocità della luce, infilo un paio di converse bianche e corro fuori dalla porta di casa, distante da quell'ubriacone che è diventato mio padre da quando è stato licenziato. La crisi sta colpendo tutti, in più i miei genitori si arrabbiano continuamente perché invece di trovarmi un lavoro serio faccio del volontariato. Ma mi sta bene, ho passato così tanti anni con la loro compassione, che ora mi godo davvero tutta questa rabbia nei miei confronti.

Prendo la mia solita vespa nera e parto a tutto gas verso il Nashville. Mentre guido, non posso fare a meno di pensare a come farmi perdonare da quell'angelo. Una ragazza così bella non dovrebbe nemmeno dare retta a uno come me, così incasinato ed egoista.

Immerso nei miei pensieri, ignoro un semaforo rosso e manco per un pelo

un incidente fatale.

«Mi dispiace!» urlo, ma l'autista del tir è troppo impegnato a bestemmiarmi.

Parcheggio come sempre di fronte all'entrata, spengo il motore ed entro veloce.

L'Inserviente mi guarda e sorride e io sorrido. Chissà se il mio sorriso è bello

come il suo, ma è impossibile restare mogi mogi di fronte a lei.

«Sai se qui vendono delle rose?» Di solito, nella sala di attesa ospitavamo marocchini o altri venditori ambulanti, ma raramente portano fiori. Oggi, invece, mi sento fortunato, infatti l'Inserviente annuisce, per poi tornare alle sue sporche faccende di pulizia e mantenimento del Nashville Hospital.

Corro in sala d'attesa e trovo un uomo dalla pelle scurissima, le labbra rosee e un mazzo di rose rosse e bianche in mano.

Mi guarda sbigottito , quando gli domando di darmele tutte. «Trenta dolari» dice, dimenticando una L. Gli lascio le banconote e prendo quel mazzo che emana un profumo meraviglioso.

Prendo l'ascensore e raggiungo il secondo piano.

Quando si apre, Wendy L'Infermiera mi saluta con un sorriso. Invece di sorridere, mi fiondo sul bancone. «Dov'è la ragazza?» domando, lei alza un sopracciglio. «Billity» specifico.

Ovviamente, indica la camera 266 ma non posso irrompere così, perciò mi siedo al fianco della grassa Wendy L'Infermiera e leggiucchio qualche cartella. Con qualche intendo la Cartella di Billity Kant.

Sotto la voce Diagnosi, si parla di un tumore al cervello mai visto, che la accompagna dalla nascita, ma ha iniziato a svilupparsi solo un anno fa. Non si può operare, ma si stanno tentando molte cure sperimentali a carico dei genitori.

Mi si stringe lo stomaco finchè non mi si appallottola in una voragine. Un tumore al cervello? Questo spiegherebbe la sua mancanza di capelli e la cicatrice che le segna la nuca.

Non ho mai conosciuto persone con un tumore al cervello. Quanto vivrà ancora? O meglio, per quanto tempo dovrà combattere con io ho combattuto contro la mia leucemia negli anni passati?

La vita è troppo breve per avere un tumore. Da quanto ne so, si può rimanere paralizzati con un cancro al cervello, oppure muti, anoressici e molto altro sempre peggio.

Come ho fatto a non accorgermene? È palese che ha qualcosa di grave! Che presto, potrebbe morire. Ma sono felice, parto già con la consapevolezza che non c'è certezza. Non c'è certezza nella sua vita, come nella sua testa. È da lí che la vita ha inizio, nel cervello e nel cuore. Forse è già morta, ma il cuore continua a battere. Ancora non capisco come posso non essermene accorto.

La preoccupazione e lo shock deve leggersi bene sul mio volto, perchè Wendy L'Infermiera si avvicina e mi circonda le spalle con un braccio.

«L'hanno trasferita qui, al Nashville Hospital, solo ieri e ci hanno avvertiti di quanto ama stare con i bambini, quindi l'abbiamo piazzata nella stanza 266, reparto pediatrico,» spiega, ma sono troppo concentrato sulle sue parole per chiederle gli effetti collaterali di quel tumore, deve averlo capito perché comincia ad accarezzarmi la spalla.

Il tempo di pronunciare il suo nome, che Billy è già alla porta della sua stanza e si guarda intorno con fare annoiato. Mi avvicino con le mie rose e gliele porgo, ma sembra davvero assorta nei suoi pensieri per accorgersi di me.

È sempre così bella, anche mentre mi ignora. Tiene lo sguardo fisso su Wendy L'Infermiera, mi volto verso di lei e con un cenno della mano mi invita ad interagire.

«Scusa?» cerco di attirare la sua attenzione, ci riesco e lei mi guarda da capo a piedi.

«Che vuoi?» mi chiede scocciata.

«È per farmi perdonare da ciò che è successo ieri, non dovevo trattare così i bimbi» abbasso lo sguardo sulle rose, ma lei sembra davvero incazzata e non ne capisco il motivo.

«Ma chi ti conosce?» e mi sbatte la porta in faccia.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ci ho lavorato con anima e corpo, come avrete capito tengo davvero moltissimo a questa fanfiction. Continuerò a 7 voti e 4 commenti, vorrei che mi dicesse davvero cosa ne pensate, se vi intriga, cosa vi aspettate dai prossimi capitoli. Non il solito 'continua'.

Presto pubblicherò Connect, prequel di Disconnect di inashtonarms. Quindi, leggere Disconnect e votatela.

Poi, leggete Piccole Cose di Hanna_Black, ne vale davvero la pena.

P D

I I

C S

C C

O O

L N

E N

E

C C

O T

S

E

Ripeto: 7 voti e 4 commenti possibilmente decenti e non i soliti 'continua'.

A prestissimo con un nuovo capitolo :3

Ps: leggete superhero di inashtonarms

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