Luke Junior

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Prima di iniziare, ci tengo a ringraziarvi per i fottuti VENTISETTE VOTI al capitolo precedente! CAZZO SE VI AMO.

Vi invito calorosamente a fare altrettanto con questo capitolo e, soprattutto, a leggere ONCE UPON A TIME, che è stata la mia primissima fanfiction seria e la sto ripubblicando.

Aggiungete alla biblioteca LE NEWS DI PTERIE per avere spoiler e news sui capitoli di Nashville. E, se volete, potrete farmi domande su di me, in quanto scrittrice vorrei davvero conoscervi tutti.

Buona LETTURA! VI ADORO, davvero, grazie per il supporto.

«Temo che tu abbia dimenticato di dirmi qualcosa riguardo al cancro di Billity» dico mentre mi dirigo a grandi passi verso Wendy L'Infermiera. Non pensavo potesse essere così arrabbiata con me! Lascio cadere i fiori a terra e mi siedo di fronte alla donna grassa. «Parla» le ordino.

«Lei vive sempre e solo una giornata, a mezzanotte la sua mente si azzera, puntuale come un orologio svizzero. Rivive sempre il quindici marzo, il giorno in cui il tumore è peggiorato.»

Sono sconvolto. Vive solo una giornata? Quindi lei non si ricorda di ieri e di me? Guardo Wendy L'Infermiera sconvolto.

«Per questo non si ricorda di me?» corrugo la fronte e sono consapevole che con quella ruga in mezzo alle sopracciglia sono orribile, ma non ne faccio un peso. Comincio a mordermi il labbro e a giocare con il mio piercing, la pallina nera a lato del labbro.

«Per questo non ha una famiglia» lei annuisce, affranta. In fondo, cosa possiamo farci noi? «Quando l'hanno portata qui, ci hanno detto che spiegarle la sua malattia sarebbe stato inutile, tanto avrebbe dato di matto a primo impatto e il giorno dopo neanche se ne sarebbe ricordata.»

Sospiro.

Come può convivere con un tale disastro? Chissà che casino, in quella testa. Però...

«Una cosa non mi è chiara» aggrotto le sopracciglia mentre, con un gesto della mano, Wendy L'Infermiera mi fa cenno di continuare. «Perchè ieri era così dolce e ora così... stronza

«Il tumore la rende lunatica, cambia umore come cambia le mutande» annuisce.

La porta dell'ascensore si apre e un medico, con un neonato fra le braccia, si rivolge a noi. È il dottor Newman, ostetrico. Alto, calvo e magro. Ha due pozze color nocciola al posto degli occhi.

Mi mette tra le braccia quel fagottino, poi si rivolge a Wendy L'Infermiera.

Il bimbo ha un nasino minuscolo, gli occhi chiusi e le piccolissime dita si stringono attorno al mio indice in una morsa stretta. Una creatura così piccola e così bella è tra le mie braccia, Fragile che potrei ucciderti, stringendoti un po', canto a bassa voce e il bimbo (o la bimba) sorride. Forse è il suo primo sorriso. Le gengive senza denti sono piace e lucide, rosse.

Gli sfioro il nasino con il dito, mi sento come se potessi scappare con questo fagottino tra le braccia, crescerlo e dargli una vita felice.

Nemmeno me ne accorgo, il dottore e L'Infermiera mi fissano.

«Che c'è?» chiedo, chiaramente sulla difensiva.

«Vuoi scegliere tu il suo nome? La madre è morta durante il parto, non ha famiglia. Resterà con noi finchè le deformazioni ai polmoni non si stabilizzeranno» dice il dottor Newman. Cazzo, certo che voglio scegliere il suo nome.

Quindi è solo, senza famiglia, ma per un attimo penso che sia meglio così, piuttosto che vivere con genitori come i miei. Voglio che abbia un nome significativo.

«Che ne dite di Luke Junior?» mi scappa una risata, ma loro sono seri e accettano con piacere la mia proposta.

Metto Junior tra le braccia di Wendy L'Infermiera e mi riprometto che, qualunque cosa succeda, verrò a trovarlo quante più volte mi è possibile finchè vivrà qui e non avrà una famiglia.

Mentre Newman si allontana ed entra a mani vuote nell'ascensore, fisso quel bambino tra le braccia di Wendy, con la pelle un po' più scura e i capelli neri come la pece. Non posso non augurargli un felice futuro con persone che gli vogliono bene.

Poi, senza neanche accorgermene, Billity è di nuovo al mio fianco. Ed ecco che si rivolge a Wendy L'Infermiera, come se io non esistessi. Come se lei non stesse respirando la mia stessa aria.

Però, mi piace la sua presenza. Le sue spalle arrivano più o meno ai miei capezzoli, ha una pelle bianca e soffice, liscia come quella di un bambino. È incredibile come il tumore non le abbia modificato l'aspetto, se tralasciamo la mancanza di peluria.

«Chi è questo?» Mi domando se sono io. Mi indica con il pollice. Non ci sono dubbi, questo sono io.

«Lavora come volontario qui nel reparto pediatrico,» poi si rivolge a me, «Luke Hemmings, lei è Billity Kant.»

Annuisco, alzo un sopracciglio e la guardo. Capisco che davvero non sa chi sono, che davvero quel tumore agisce su quella parte della sua memoria e realizzo che non esiste cura. Che quel taglio è la cicatrice di un intervento al suo cervello e non la abbandonerà mai, finchè vivrà. Capisco che ha i giorni contati, che qualsiasi medicina le procurerà solo più dolore più atroce ogni giorno e un senso di tristezza, un uragano di emozioni orribili si fa spazio nel mio stomaco e se non avessi passato di peggio nei miei primi anni di vita so che adesso le sue scarpe sarebbero imbrattate nel vomito. Ma non ha scarpe. Ha solo le ciabatte nell'ospedale dove rimarrà rinchiusa per il resto dei suoi giorni.

La fisso in quegli occhi blu e capisco, dalle sopracciglia biondo sporco, che i suoi capelli erano biondi, chissà quanto lunghi e chissà se lisci o ricci? Lei china la testa di lato. La sto fissando, dev'essere inquietata. Cosa penserà ora di me? Non me ne faccio un problema, domani non mi riconoscerà più.

Quasi svengo a quel pensiero. Forse la prima non è stata un'attrazione puramente sessuale. Forse mi

sono affezionata a questa ragazza, una ragazza con il cervello che probabilmente sta marcendo, divorato da questo assassino.

«Devo andare» le avverto e mi butto tra le ante dell'ascensore. Solo una parola mi viene in mente, per descrivermi.

Codardo.

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