I'll always stay

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Roma, Italia

Un anno, due mesi e sedici giorni prima

La prima cosa che ho provato appena fuori dall'aereo è stata il caldo.
L'Italia è caldissima.
I raggi del sole mi pungono la pelle e li sento perfettamente dentro di me, a riscaldare ogni mia singola parte.
Sono sicura che anche Louis ha provato la stessa sensazione. Ho visto i suoi occhi rimpicciolirsi ed è stato costretto a mettere una mano in orizzontale sulla fronte per vedere meglio cosa ci aspettava proseguendo in avanti.
Mi ha preso la mano e la stringe a sé. Non mi guarda in faccia, forse l'ha fatto per semplice abitudine. Io, però, lo guardo e dopo aver espresso una faccia confusa gli sorrido leggermente.
"Siamo arrivati"
Mi sussurra ed io accenno un "si" distratto con la testa.
Già, siamo proprio arrivati.

C'è il sole, c'è il cielo azzurro sopra le nostre teste, ci sono le persone, ci sono gli italiani disordinati, stressati e tanto agitati.
E' tutto così strano qui, tutto terribilmente diverso.
Louis continua a stringere la mia mano, non la molla un secondo, anche ora che entrambe sono piuttosto sudaticce.
Vedo nei suoi gesti un grande disagio. I suoi occhi si muovono nervosi verso destra e sinistra alla ricerca del posto in cui prelevare i nostri bagagli. Sono sicura che non è mai stato in mezzo a tanta gente e lo ammetto che un po' mi fa pena.
Eppure non mi chiede e non chiede aiuto.
Giriamo confusamente per dieci inutili minuti per poi ritrovarci il rullo con i bagagli di fronte alle nostre facce.
Afferriamo i nostri e finalmente, stanchi ma soddisfatti, ci dirigiamo nuovamente verso l'aperto.
E' solo aprile e qui già sembra giugno.
La gente indossa leggere maglie di cotone e alcuni azzardano addirittura infradito.
Noi, invece, non abbiamo altro che le nostre felpe e i nostri pallidi visi londinesi.
Louis, però, non sembra inglese quanto me. Ha la pelle più scura e i capelli castani. Ci penso su per un attimo e mi balena in mente l'idea che lui potrebbe perfettamente essere scambiato per un italiano.
Se non aprisse bocca, ovviamente. Perché Louis è la persona con l'accento più marcato di questo mondo, ne sono sicura.
Quella voce puntigliosa che non lascia spazio a nessun tipo di sfumatura.
"Felice?"
Mi domanda improvvisamente.
E mi chiedo se sia un semplice domanda o una specie di rimprovero, di quelli che si dicono ai bambini.
Nel dubbio gli rispondi con un "si" diretto e pieno, seguito da un sorriso.
Mi sorride a sua volta per poi lasciarmi un bacio sulla testa.

Questa mattina siamo qui e solo ieri eravamo oltre oceano.
Il sole batte sulle nostre spalle ancora e ancora, eppure di essere stanchi noi non ne abbiamo voglia.
Decidiamo, o meglio, Louis decide di prendere la metro e di raggiungere il Colosseo.
La felicità che ho nel cuore in questo momento non credo che possa essere calcolata o anche solo descritta.
E qualcosa che sento, sento profondamente, ma che proprio non riesco a toccare.
So solo che è una cosa bellissima.
Ha preso già confidenza Louis con l'Italia, si muove tra la gente inespressivo e abituale. Mi trascina dietro di sé e non perde un attimo in distrazioni.
Alle 11 esatte siamo sulla metro.
E solo dopo una manciata di minuti siamo alla stazione del Colosseo.
Mi sembra strano che ora ci sia quel monumento sopra le nostre teste, mi chiedo: "Davvero sono qui? E se fosse solo un sogno?"
Un pizzico distratto di Louis mi fa capire che, invece, questa è davvero la realtà.
Corriamo, ma io credo di star solo camminando.
Scostiamo le persone, ci calpestano evidenti incomprensibili parolacce, ci osservano spaventati alcuni sguardi.
E noi siamo qui per davvero.
Il sole mi acceca per un attimo per poi rivelare dietro un suo raggio un muro altissimo di mattoni grigi.
E' il Colosseo.
Non una riproduzione, un piccolo souvenir, una foto su di una cartolina.
E' l'originale, ed è a pochi passi da me.
Le mie labbra esclamano un "wow" silenzioso e quasi sto per piangere, lo sento. Ho gli occhi arrossati ed umidicci.
Louis mi distrae tirandomi oltre il marciapiede.
"Eccolo qua, è altissimo cavolo!"
"Visto? Questi romani erano intelligente da far paura"
Sorride, non risponde a quella che poteva essere una provocazione.
Si ferma sul punto e con le mani dietro il bacino si osserva a bocca aperta intorno.
Strizza gli occhi e respira affannosamente.
E' stanco e tutta ciò che lo circonda lo rende ancora più stanco.
E' il peso di una meraviglia che si rinnova in continuazione, che è iniziata ma che non avrà mai fine.
Secoli e secoli di vittorie, di nascite, di gloria, di fama, di onnipotenza ci circondano e scalfiscono quelle mura.
E tra le miriade di cose belle ci sono anche alcuni graffi. Ci sono i dolori, c'è il sangue, c'è la morte, ci sono le cicatrici.
E' una storia, quella di Roma, bella da far male. Anche a noi, che di italiano molto probabilmente non abbiamo neanche un gene. Perché in fondo non si può rinnegare tanta grandezza.
Si toglie la felpa e la intreccia al pantalone.
"Andiamo più in là"
Indica una salita e senza aspettare una mia risposta la attraversa.
Di italiani, però, qui ce ne sono pochi.
Ci sono tedeschi, greci, francesi, cinesi, filippini. Si riconoscono dalle loro facce gialle e dalle loro fotocamere eternamente puntate sul panorama.
Non so perché ma questa cosa mi rattristisce e cercando di scacciare questi pensieri accelero il passo verso Louis, che dista da me già parecchi metri.
Senza aver detto una parola si ferma e non appena ci ritroviamo faccia a faccia mi porge l'ultima bottiglia d'acqua.
La afferro e ne bevo avidamente parecchi sorsi.
La ritorno a lui che fa altrettanto, per poi versarsene un po' sulla testa.
Mi sorride.
Sotto il sole di Roma Louis non lo avevo mai visto.
Sotto il sole di Roma Louis mi sembra lo stesso eppure in qualche modo diverso.
Lo vedo più allegro, meno grigio, meno distratto.
Lo vedo più sorridente, più pieno.
Le occhiaie violacee e la pelle secca sulla faccia quasi non si notano.
Ed è bello, bello da morire, perché non c'è niente che doni a Louis più bellezza di un sorriso sottolineato da una azzardata luce.
Mi avvicino e lo abbraccio, nonostante i nostri corpi siano spaventosamente caldi e sudati. Mi scosta alcuni capelli dalla fronte e lascia un bacio anche lì. E' una sua abitudine pure questa: preferisce baci leggeri ad emozioni forti, e baci appassionati ad emozioni sfocate.

Roma è tanto bella quanto costosa.
Un bottiglietta d'acqua 3€ ed una Margherita 6€.
Alla vista di questi prezzi io e Louis sbianchiamo per un attimo per poi rassegnarci. Siamo o non siamo nella città eterna?
Mangiamo e beviamo avidamente. Siamo solo a metà giornata.
Il sole è ancora alto nel cielo e Roma non da' ancora alcun segno di tregua.
"Dobbiamo andare a vedere la Fontana di Trevi"
Esclamo, senza far caso al boccone enorme che Louis ha appena infilato in bocca.
Mi guarda con gli occhi spalancati. Manda giù il cibo e dopo un veloce bicchiere di acqua mi risponde: "Un attimo, Gabrielle. Possiamo farlo anche domani"
"E' a pochi passi davvero"
"Ma sono stanco, ti prego"
Una ruga di stanchezza gli solca la fronte e gli occhi si infossano improvvisamente nelle orbite. Sembra quasi un cane bastonato.
Quel visino mi fa terribilmente pena e così con un accenno rimangio tutto.
Mangiamo il resto della nostra pizza con calma e gusto. Intenti a non sprecare nemmeno un centesimo dei nostri 30€.
Alla fine ci alziamo e con passi decisi ci dirigiamo all'esterno.
"Andiamo all'hotel? Avevamo detto che saremmo arrivati questo pomeriggio"
"L'hotel può aspettare, questo giorno no"
E con un sorriso perfido mi afferra la mano e mi trascina dal lato opposto della nostra intenzionale direzione.
Non faccio altro che ridere ed urlare "Louis, fermati" ma lui non mi da' ascolto, anzi, la sua velocità aumenta sempre di più.
Improvvisamente si ferma in una traversa e mi si posiziona davanti.
"Dove siamo?"
Gli chiedo, leggermente scossa.
"Ora vedrai"
Mi dice, ancora con quello strano sorriso spiaccicato sulle labbra.
Mi tiene per mano e dopo alcuni passi è lì: la Fontana di Trevi.
Sorrido ancora e ancora. Credo nemmeno ai miei sorrisi ci sia una fine.
Quelle statue sembrano guardarci, sembrano vive.
Innumerevoli persone la circondano, innumerevoli altre lanciano monetine al suo interno.
"Avevi detti che eri stanco"
Gli dico, con un finto rimprovero.
"Roma non può stancare, dai"
E afferra di nuovo la mia mano per portarmi esattamente davanti alla grande fontana.
Ora c'è il tramonto.
E forse è anche più bello del sole stesso.
Con le sue sfumature arancioni e azzurrate.
Si spinge dietro il maestoso monumento e quasi sembra sfiorarlo.
Soffoco un respiro e porto una mano al petto.
Uno spettacolo del genere non capita tutti i giorni.
Louis mi si avvicina e afferra il cellulare dal pantalone.
"Qui ci vuole una foto"
Abbraccia le mie spalle stringendomi alle sue.
"Dì cheese"
Cheese.
E la foto è scattata.
La guardiamo e sorridiamo entrambi nello stesso preciso momento.
"E' bellissima".
Dice Louis, con fare soddisfatto guardandomi come per la prima volta.
"Siamo eterni come questa città, come queste statue"
Mi dice, stringendomi di nuovo.
"Che cavolo di destino mi sono scelto, eh?"
"Già"
"Ma il per sempre mi piace, e a te?"
"Tanto"


-SPAZIO AUTRICE

Salve gente!
Allora in questo capitolo ho voluto parlarvi del viaggio di Louis e Gabrielle verso Roma.
Vi ricordate dei due biglietti che Louis le aveva comprato, vero? Certo che vi ricordate!
Ed eccoli qua, più felici che mai.
E' stato un piacere scrivere questo capitolo perché Roma è in assoluto una delle mie città preferite e credo ciecamente nella sua magia. Ho adorato poter fare il paragone con l'eternità di questo posto con l'eternità dell'amore tra Louis e Gabrielle e ho adorato scriverlo come una specie di pagina di diario.
Spero sia piaciuto anche a voi.
Al prossimo.
Un bacio.
-Manu ♥
p.s. il titolo riprende una frase di Miley Cyrus - Stay



Ropes (Louis Tomlinson)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora